Pretty Vicious, quarto album della band Britrock The Struts, è uscito lo scorso 3 novembre 2023. Quasi esattamente un anno dopo, il 21 ottobre, i ragazzi di Derby sono passati da Milano per una data esclusiva che poneva fine al loro tour The Grand Union insieme a Barns Courtney.
Sono andata a sentirli piena di curiosità, e per coronare gli anni passati ad ascoltarli nelle loro varie fasi – da quando li ho conosciuti con Kiss This fino all’ultimo progetto che ho avuto il piacere di scoprire in anteprima.
Al Fabrique di Milano, la loro è stata un’apparizione attesa: ultimi in lineup e giunti sul palco verso le 22. È stata anche abbastanza fugace (già verso le 23.30 mi avviavo verso casa), ma piena di energia. Il Fabrique ha cominciato a riempirsi in concomitanza col loro arrivo ed è esploso con l’inizio dello show.
Ero particolarmente curiosa di scoprire la lineup, ma ammetto di essere rimasta delusa. Le canzoni scelte non comprendevano i miei successi preferiti, ma nemmeno alcuni dei brani che – ascoltando l’album – mi erano sembrati più adatti per un live. In ogni caso, l’entusiasmo contagioso di ogni membro della band ha reso ogni performance energica e divertente.
Ad aprire le danze è stata Primadonna Like Me, che ci ha trasportati nel loro mondo fatto di panorami dotati di Big Ben, notti brave e donne da conquistare. Scaldare il pubblico è un’arte e prima ancora che inizi Fallin’ With Me siamo ormai pronti a seguirli ovunque ci vogliano portare.
Tra cori, balletti e brevi accenni di chiacchiere, siamo approdati insieme a Body Talks. È il momento in cui l’entusiasmo raggiunge il suo apice: Body Talks è uno dei più grandi successi della band, una collaborazione con Ke$ha, e nonostante manchi la sua parte il brano mantiene tutta la sua forza. Le grida e i salti nel parterre si abbinano perfettamente alle coreografie un po’ improvvisate di Luke Spiller (frontman) e agli assoli di chitarra di Adam Slack: il risultato è una vera esplosione di energia.
Too Good at Raising Hell e Dirty Sexy Money non fanno che amplificare la connessione che ormai si è creata tra pubblico e band, che pur arrivati a questo punto non ha pronunciato che pochissime parole. Iniziano alla fine di Dirty Sexy Money ad interagire per davvero, e ormai è chiaro che ci hanno in pugno.
Nel chiedere come ci si sente, Spiller ci impone di urlare più che possiamo e non sembra accontentarsi mai. Anche se il Fabrique è uno dei locali più intimi di Milano, i The Struts sembrano cercare l’energia di un’arena o di un San Siro, e sono bravi nel riuscire ad ottenere quello che più ci si avvicina.
Arriviamo così, finalmente davvero insieme, a The Ol’ Switcheroo, un brano che contiene tutto il loro sound e con un testo che contiene anche tutte le loro tematiche preferite. Non è uno dei più amati dal pubblico, ma Spiller è pronto a farci imparare una coreografia da fare insieme e dunque non si può non divertirsi.
E, visto che siamo stati bravi, ci meritiamo un’esibizione di Can’t Stop Talking, il nuovo brano uscito lo scorso 18 ottobre. Dà inizio ad una nuova era e promette poche novità ma sempre tanta energia. Dal canto nostro, noi fingiamo di non sapere che ha ottenuto questo onore quasi ogni altra tappa della leg europea, perché è il bello del live: c’è una fiducia totale del pubblico in quello che chi è sul palco racconta, e siamo pronti a credere di essere speciali e di esserci meritati un premio speciale.
E un po’speciali, d’altronde, lo siamo, perché la nostra è la data di chiusura: ci sarà pure un qualche onore riservato a chi prende parte al grand finale no?
I The Struts sono però molto democratici e non fanno grandi modifiche alla loro ben studiata lineup, così proseguiamo verso Kiss This. Era forse il brano più atteso da tutti, ma a differenza di Body Talks non ha mantenuto alto l’entusiasmo. Ammetto di aver rimpianto l’indimenticabile esibizione dei Maneskin a X Factor che ha reso iconica la canzone per il pubblico italiano.
Terminata, si arriva a Better Love, un’aggiunta in lineup che ho apprezzato molto essendo uno dei brani che avevo preferito dell’album, ma purtroppo il pubblico non matcha l’entusiasmo della band. Anche Pretty Vicious, introdotta come “un nuovo classico dei The Struts”, dell’atmosfera del classico ha ben poco.
Se sul finale ci si aspetta lo scoppio dell’energia, in questo caso non è così. Gli ultimi tre brani, In Love With a Camera, Put Your Money on Me e Could Have Been Me intrattengono ma senza l’emozione e l’intensità tipiche delle chiusure iconiche.
L’impressione, tornando a casa, è che – come avevo sostenuto parlando di Pretty Vicious – dai The Struts ci sia tanta voglia di divertirsi e fare musica, persino un notevole talento nell’emozionare e nell’intrattenere. Non c’è però la maturità che porta a reinventarsi, evolvere ed impegnarsi per creare qualcosa di unico.
Soddisfacente, ma mai veramente indimenticabile: si resta con l’amaro in bocca con questa band, in attesa che le cose davvero cambino. Sono bravi, ma non si applicano. Che peccato aver escluso brani come Rockstar e Do What You Want, che peccato non aver condiviso qualche ricordo sul tour appena concluso o sulla nascita dei brani che stiamo ascoltando. Ma non riesco a non sperare per la prossima volta, perché io ai The Struts alla fine della fiera non riesco a dire mai di no.
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