Uscito nel 2014, Il Capitale Umano è un ritratto amaro e feroce dell’Italia dell’alta finanza. Un opulento dramma di prestigio e un noir grintoso, in cui Paolo Virzì ha svelato il lato corrotto e oscuro di una classe dirigente.
Una fotografia lucida, cruda e cinica di un Paese votato verso il declino. È questo Il Capitale Umano di Virzì, una ricerca disperata della felicità che porta ad una triste e mordace presa di coscienza. Una delle più belle ed estasianti opere del ventennio, in cui il regista ha riletto in chiave italica l’omonimo romanzo di Stephen Amidon, ma senza stravolgerne l’essenza.
«Abbiamo alzato la posta, ci siamo giocati tutto, anche il futuro dei nostri figli. E adesso finalmente ci godiamo quello che ci spetta.»
Il film è diviso in tre capitoli che altro non sono tre modi diversi di raccontare la stessa storia, ma attraverso tre punti di vista e con una stessa morale. La pellicola si evolve attraverso le sequenze: inizia come una commedia sociale e finisce come un thriller familiare.
Nel primo capitolo conosciamo la storia di Dino Ossola (Fabrizio Bentivoglio), un agente immobiliare sposato con Roberta (Valeria Golino), una psicologa in attesa di due gemelli. Durante il primo matrimonio, Dino ha avuto una figlia, Serena, fidanzata con Massimiliano Bernaschi, appartenente ad una famiglia dell’alta borghesia brianzola. Approfittando di un incontro tra i due ragazzi, Dino cerca di entrare nelle grazie del padre del ragazzo, Giovanni Bernaschi (Fabrizio Gifuni), versando un importante contributo per accedere al fondo della famiglia, sperando così di iniziare la sua arrampicata sociale.
Nel secondo capitolo ci addentriamo nelle vicende di Carla Bernaschi (Valeria Bruni Tedeschi), un’ex attrice, ricchissima, insicura e misantropa moglie di Giovanni. Le sue giornate sono sterili e infelici, fino a quando non viene colpita dalla chiusura di uno storico teatro del centro della città. Così, decide di convincere il marito ad investire nel restauro della struttura. Tuttavia, dopo aver acconsentito alla richiesta della moglie, Giovanni, per risanare le sue finanze, mette in vendita il teatro a favore di un centro commerciale perché “Il teatro è morto e credo che sia chiaro a tutti”. Quella di Giovanni è una scelta che ha devastato Carla, che trova conforto tra le braccia di Donato Russomano (Luigi Lo Cascio), direttore artistico e professore teatrale.
Nel terzo capitolo la protagonista è Serena Ossola (Matilde Gioli), figlia di Dino. Nonostante non appartenga ad una classe sociale di alto rango, frequenta una prestigiosa scuola privata dove conosce il fidanzato Massimiliano Bernaschi (Guglielmo Pinelli). Una storia d’amore che non è così scontata come appare. Infatti, i due si sono lasciati, per volere della ragazza, ma continuano a frequentarsi per il legame materno tra Serena e Carla. A scombussolare la vita di Serena è la conoscenza di Luca Ambrosini (Giovanni Anzaldo), un ragazzo che è in terapia psicologica da Roberta ed è stato allevato dallo zio spacciatore.
A collegare le vite dei tre è un incidente stradale: un SUV travolge un cameriere in bicicletta, facendolo cadere in un burrone. E’ così che inizia l’intera vicenda che si sviluppa come una ragnatela capitalista, unendo le tre storie in un’unica linea temporale incrociata, coinvolgendo diverse classi sociali: dalla villa di un miliardario alla sporca baracca di uno spacciatore. Un incidente che incombe sulle vite dei protagonisti come la spada di Damocle in attesa di cadere. La storia procede rapidamente, fino ad un finale disastroso.
Ad esaltare Il Capitale Umano è un cast pressoché perfetto che sia avvale dalla straordinaria potenza espressiva. Al suo debutto cinematografico, Gioli forse è la vera sorpresa del film, regalando una performance appassionata e carismatica; ma è di Tedeschi l’interpretazione più interessante è, come sempre, una garanzia di professionalità ed eccellenza, maestosa e magnetica; Bentivoglio tira fuori il suo lato comico e meschino; Gifuni si conferma attore superbo; Golino offre una prova credibile e naturale; da ultimo, ma non meno importante, è Lo Cascio che ha il merito di ritagliarsi uno spazio disincantato, riservato alla cultura.
La magnificenza delle sequenze è resa da una regia mai leziosa ma attenta ai particolari: i droni e i carrelli hanno contribuito alla riuscita del film, aiutando il montaggio ad incastrare perfettamente i pezzi ed essere funzionali alla sceneggiatura. La fotografia dei francesi Jérôme Alméras e Simon Beuflis, sempre più cupa mano a mano che ci si avvii verso il finale, ci accompagna all’interno del giallo morale.
La sceneggiatura di Paolo Virzì – scritta in collaborazione con Francesco Bruni e Francesco Piccolo – è elaborata minuziosamente, in cui nei tre capitoli vengono disseminati brevi momenti asincroni di chiara importanza, come quando Dino intravede Carla piangere nella sua macchina o come quando Carla è intenda a fare shopping, apparendo come una donna della vecchia new wave all’italiana. Il prezzo della vita umana, la differenza tra ricchi e poveri, l’isolamento che viene dal denaro e la disperazione quando questo manca, sono tutti temi sviscerati con leggerezza.
Inoltre, più di ogni altra cosa, Il Capitale Umano riguarda gli obiettivi delle persone: vincere un premio di scuola superiore, raggiungere la ricchezza, non far chiudere un teatro, salvare una vita. Tutti temi raccontanti anche in altri film, ma la vera forza di Virzì sta nel mondo imparziale in cui vengono trattati. Non li giudica, non li deride, non li tratta come indegni, ma si limita a dare una prospettiva super partes, lasciando lo spettatore empatizzare con tutti e con nessuno.
Il Capitale Umano non è altro che un ritratto libero e feroce di una generazione nata tra gli anni ’50 e i ’60 – i cosiddetti boomer – rendendola impietosa e disincantata. Paolo Virzì ha trovato con estremo coraggio e magnificenza chi sono i responsabili della del nostro Paese. È uno studio fantastico sulle persone che vengono spinte ai propri limiti, non solo finanziari, ma emotivi e sociali. È affasciante come lo spettatore prova allo stesso tempo repulsione e attrazione nei confronti di una vicenda così verosimile.
Un’opera caleidoscopica dalla mille sfaccettature, lucidamente cinica e in alcuni momenti urticante, capace di fotografare gli stati d’animo di un’epoca che non si arrende al declino. Un noir che si avvale di intensi significati antropologici dove si anelano le pesanti sorti del nostro futuro. Il Capitale Umano è senza dubbio uno dei film più belli del Nuovo Secolo.
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