I Big Thief: carezze e violenza in UFOF e Two Hands [Recensione]

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I Big Thief sono una band americana, precisamente di Brooklyn, New York, che ha all’attivo, in soli quattro anni di attività, ben quattro album. Tutti applauditi dalla critica. Gli ultimi due, usciti nello stesso anno per 4AD, sono UFOF e Two Hands.

Per introdurvi ai Big Thief, partirò con una domanda. Vi ricordate dei Neutral Milk Hotel? Due album, splendidi, e poi prontamente dimenticati. Tranne che per il loro strano nome e le copertine degli album.

Ecco, io mi auguro fortemente che i Big Thief non facciano la stessa fine. In un’epoca in cui nessuno studia più musica seriamente, i Big Thief (a partire dalla leader Adrianne Lenker) sono tutti laureati al Berklee Collage of Music. Il che crea delle curiose similarità con i settentrionali Arcade Fire.

Comunque, il motivo per il quale vi parlo del ladrone deriva dalle loro – doppie e gemelle – release del 2019: UFOF in maggio, Two Hands in ottobre. Per conoscere tale band bisogna scavare un po’ nell’indie d’oltreoceano attuale ed essere abituati a sonorità decisamente slowcore, ma vi assicuro un’esperienza assolutamente magnetica.

big thief ufof  recensione

Il che dipende in larga parte dalle qualità espressive e canore di Adrianne stessa, che passa da un delicato sussurro in Betsy all’iptonica ninnananna che introduce l’album, Contact. Spazzole sfiorate e arpeggi delicatissimi – per quanto estremamente complessi – introducono invece la title track UFOF, in cui la Lenker ci introduce al suo amico extraterrestre:

Just like a bad dream
You’ll disappear
Another map turns blue
Mirror on mirror
And I imagine you
Taking me outta here
To deepen our love
It isn’t even a fraction

 L’attentissima costruzione stilistica dei brani – apparentemente semplici, ma che si avvicinano al prog da camera degli iamthemorning e che si allontanano dai modelli americani, quali i Red House Painters muovendosi verso sonorità più europee – è presente in tutto UFOF, che sfocia spesso e volentieri in progressioni post rock come in From – altro brano indispensabile dell’album, introdotto da found music a là Brian Eno. Curioso è l’utilizzo della voce della Lenker per tutto l’album: naturalmente intonatissima, finge spesso (Cattails, la splendida country/folk Orange) portamenti e perdita di tono al solo scopo di aumentare la sua firma timbrica. Momenti melodici ed intensi si respirano in Open Desert, brano dal significato criptico ma che pare rimandare ed epoche lontane, post-mortem, ectoplasmi che vagano per il Texas selvaggio. Il basso di Max Oleartchik, il più delle volte obliato e ridotto al minimale come tutte le intelaiature sonore dell’album, si fa invece sentire su Century – un’adattissima colonna sonora per una serie tv di adolescenti in un mondo post-apocalittico. Cadenzata dalla batteria di James Krivchenia è invece Terminal Field, forse il brano migliore dell’album, per eleganze nella psichedelia e – concedetemelo – rimandi al folk europeo dei Sigur Ròs e dei conterranei islandesi Of Monsters and Men. UFOF si conclude con Jenni e Magic Dealer, rispettivamente un abissale brano distorto, quasi noise, ed assolutamente originalissimo, mentre la più placida ending sconfina in un bel folk fatto di accordi maggiori e diminuiti che si rincorrono come nel cantautorato più raffinato, mentre lo storytelling – fatto di immagini nebbiose ma efficaci – raggiunge la vetta più alta dell’album.

Ora. Come ho annunciato all’inizio, i Big Thief non hanno pubblicato solo UFOF nel 2019, ma un altro album: Two Hands.

big thief, two hands recensione

Ho omesso di dire che UFOF conteneva due brani dall’album solista della Lenker, intitolato abysskiss, precisamente From e Terminal Field (impreziosite però dall’arrangiamento dell’intera band). Il suo improvviso e scatenante sequel, come in molti casi, purtroppo, risente della breve ma persistente eredità del genitore e, nel costruire le delicate e chilly intelaiature che sono il marchio di fabbrica dei Big Thief, pecca in mancanza d’originalità. L’opening Rock and Sing si lascia ascoltare senza lasciare nulla, mentre Forgotten Eyes, per quanto ben scritta e meravigliosamente suonata e prodotta, manca della voglia d’osare di sei mesi prima. Si muove su binari post rock la bella The Toy, mentre la title track Two Hands si distingue per l’intrusiva – finalmente! – presenza delle percussioni e della band tutta, quasi fosse una sessione acustica di un brano power metal, spezzando il sentore di mollezza ribollita che viveva fin dall’inizio dell’album. Stesso sentore si respira in Shoulders, accorata e sentita ballad riguardante la violenza domestica – e come quel demone si erediti:

They found you in the morning
The blood was on your shoulders
They found you at the corner
Your head was doubled over
And the blood of the man
Who’s killing our mother with his hands
Is in me, it’s in me, in my veins
It’s in me, it’s in me, in my veins

Se la prima parte di Two Hands rimaneva sostanzialmente in sordina rispetto al coraggioso UFOF, la coppia Shoulders e Not – lunga suite up tempo aggressiva e distorta – contribuisce alla definizione di uno stile originale che è, ancora, in piena evoluzione e che sicuramente lascerà il segno nel soft rock moderno: brani quasi recitati, privi di tergiversamenti e in cui ogni suono non è mai lasciato al caso. Come si confà a musicisti di professione. L’ending progeggiante di Not convincerà anche i più duri di cuore – così come le efficacissime figure retoriche di negazione che vengono usate nel testo. Wolf riporta, forse in maniera forzata, la musica di Two Hands verso quanto già espresso in UFOF e nella prima parte dell’album – senza, di nuovo, nulla aggiungere se non, come sempre, le splendide liriche della Lenker. Replaced, invece, registrata a mò di presa diretta, è il brano più folk cui siamo di fronte: chitarre country un po’ malinconiche, molli e lynchiane.

Cut my Hair – anzi, la preghiera di tagliare i capelli – chiude Two Hands dei Big Thief, e chiude idealmente il cerchio di violenza iniziato in Shoulders: la protagonista del brano sembra avere manie sia autolesionistiche che aggressive nei confronti di chi ha attorno, ed è chiusa nella sua malattia mentale che non sembra avere via d’uscita; vorrebbe, almeno, essere liberata dal peso di quei capelli aggrovigliati.

La coppia UFOF / Two Hands, sebbene fra luci e ombre – queste ultime dovute principalmente all’eccessivo autocitazionismo e ripetitività dei brani – va comunque a creare un sound variegato ed una poetica estremamente definita per i Big Thief, che, seppur fortemente influenzati da cantautrici come Aldous Harding, si configurano come gli attuali modelli dell’alt rock americano.

Giulia Della Pelle
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