Fake News dei Pinguini Tattici Nucleari: Essere giovani in un paese per vecchi – Recensione

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Ai Navigli, quando fa freddo, è un freddo che si insinua nelle ossa e sembra strappare la pelle delle mani. Soprattutto quando le giornate non portano pioggia, al mattino c’è una fastidiosissima aria gelida che non sa essere né vento né brezza.

È in quest’atmosfera che i Pinguini Tattici Nucleari hanno cominciato quella che sarà una lunghissima promo in cui si raccontano evoluti e scompongono il loro ultimo album a noi che dovremo cercare di riportarne tutte le sfaccettature. Nella stanza, colma di gente, il calore si diffonde molto lentamente.

Il primo intervento è telegrafico, da parte di un rappresentante di Sony Music che ripercorre velocemente la storia della band con la major e sottolinea di come questo album sia perfettamente nel “DNA della Sony”.

Il microfono poi lo prende Riccardo Zanotti (voce) ed entra subito nel vivo. Fake News è stato creato durante un lungo lasso di tempo, se prima erano soliti scambiarsi idee e tentare arrangiamenti in sala prove, per la realizzazione di questo album hanno preferito provare direttamente le canzoni in studio. Tentativi su tentativi le hanno stravolte e sconvolte per perfezionarle. Lo scambio di idee e consigli è direttamente sul posto, nonostante le lamentele di chi voleva solo suonare – raccontano ridendo.

La ricerca del brano perfetto, del suono da trovare, è al centro del processo compositivo ancor più che in tutti gli altri album. Sanno di avere finalmente un gran successo, ma mantengono “l’etica lavorativa Bergamasca”: più si va bene, più si deve lavorare. Inoltre, sentono sempre di più il peso che hanno sia nei confronti dei fans (che analizzano, cercano le falle, cercano i riferimenti accorti) sia per il pubblico più vasto (che deve saperli identificare e collocare all’interno di un mercato per definizione sempre saturo).

Cominciamo l’analisi dei brani proprio con il brano perfetto: Non sono cool. Nonostante sia posto sul finale, Non sono cool è l’essenza dei Pinguini e il cuore di Fake News. Ricorda il successo di Sanremo (Ringo Starr) e allo stesso tempo è fresca, un po’ controcorrente. Parla di loro, ma parla di tutti coloro che non hanno paura di ribellarsi alla vita algoritmica. Il sound è incalzante, non è il solito pop, tornano le schitarrate e i giochi di parole dei primi Pinguini… insomma: quattro sì! 

Il concetto di Fake News parte quest’estate a Cattolica: parlando del più e del meno durante un’attesa, i ragazzi si sono confrontati sul peso che questo tipo di notizie ha nella società odierna. Già dal design il disco si mostra simpaticamente d’impatto: i più esperti avranno notato un rimando a Thick as a brick dei Jethro Tull mettendo le mani sul disco avvolto da un foglio di giornale che riporta una fake news ad hoc sulla band.

Sorridono nel dirlo ad un pubblico di giornalisti, sicuramente in prima persona responsabili, ma sentono che anche i musicisti (e in generale chiunque abbia una piattaforma importante) abbiano le proprie colpe.

“Molto spesso anche gli artisti ricorrono alle bugie, mixando esperienze di amici/conoscenti con le loro e convincendosi siano vere.” – dice Riccardo – “Volevamo fare un album vero e anche un po’ autoreferenziale”.

La prima canzone, Zen, è infatti colma di riferimenti specifici. Sicuramente descrive una situazione personale, ma è solo un altro esempio della loro crescita in termini di scrittura. I riferimenti alla vita vera non risultano mai poco relatable, il ritmo è incalzante: ci si immerge con gran piacere nella nuova era. Già in questo primo brano vi sono immagini molto chiare dell’industria musicale italiana vista da dentro, seppur con l’occhio di chi sa di stare su un piedistallo.

Melting pop, la sesta traccia, riprenderà questo filone dell’autoreferenzialità misto a critica sociale, ma a differenza di Zen è un brano meno forte. Un altro brano debole è L’ultima volta – schiacciata tra due bellissimi pezzi – con un testo dimenticabile e una base prevedibile. Un’accozzaglia di momenti un po’ nostalgici che forse fa troppo millennial. Non riesce comunque ad essere un brano brutto, risulta coerente con il sound cui il pubblico è abituato da anni e sarebbe stato forse troppo penalizzato se posto a fondo album.

Semplicemente, possono fare di più.

E infatti lo fanno: Hold on, appena dopo, è (posso dirlo?) Antartide. Antartide, but make it 2023. Il testo è più maturo, la base più studiata: è una canzone che parla di crescere insieme, vicini e distanti. Soprattutto, per spiegarlo a chi si è ostinato a non capire, parla di chi sta crescendo ora – schiacciato tra i ricordi delle ragazzate (“Se tornassi indietro avrei meno paura di sentire lo scatto della serratura”) e le responsabilità della vita adulta (“Barattare il farfallese con le skills del tuo cv”). Da queste insicurezze e paure ci si salva insieme: come due En e Xanax (forse un po’ più radical chic), i due protagonisti si scambiano le ansie e si fanno forza a vicenda completandosi.

Non potrebbero raccontarsi senza filtri senza fornire anche le sfaccettature del complesso lavoro che fanno. Accanto alle critiche ad un sistema basato sulla competizione, fatto di pressioni che arrivano anche ai più privilegiati, appaiono anche i riferimenti più piacevoli alla vita del musicista.

Stage diving, per esempio, Riccardo la presenta come una canzone che è anche una filosofia: lui ha sempre avuto paura di questo rito, ma ora lo fa perché lo fa sentire amato. È partita come una necessità per arrivare in fondo alla sala e raggiungere il banco del merch, oggi è un tentativo di sentire il contatto e la vicinanza, riempire quello spazio tra pubblico e cantante che Matty Healy raccontava mesi fa.

“Tu sei quel brivido che provo prima di fare stage diving ai live”.

Parlando del loro successo, restano sempre umili ma non sfociano mai nell’incredulità. Se Riccardo definisce il successo a partire dal pubblico e dai risultati (“Ci rendiamo conto di esistere perché ci vediamo riflessi negli occhi degli altri”). L’ultimo traguardo, il tour negli stadi, è fresco fresco e sta per raggiungere il sold out a tutte le tappe. Anche se i presenti conservano remore, la band ha già un’idea chiara di come muoversi.

Gli arrangiamenti andranno semplificati per poter arrivare a spazi più ampi e pubblico più disperso, le interazioni andranno calibrate e anticipano di voler oggetti simbolici per creare scenografie adatte alle varie fasi in cui si dividerà l’evento. Vengono messi alla prova e superano tutto a pieni voti, offrendo un esempio live di quell’industria che tanto bene descriveranno nei brani.

Elio è meno diplomatico, non teme di esporre quelli che sono i loro punti di forza: dal punto di vista musicale, della loro proposta a livello culturale e di quello che hanno da offrire al panorama. Mi fa sorridere sentirlo parlare, mi fa piacere notare di averli un po’ capiti: certe cose avevo infatti provato ad indovinarle qui e sentendoli parlare mi rendo conto che non avevo assolutamente capito Ricordi, ma avevo almeno capito i Pinguini.

Sottolinea l’importanza di essere una band in un panorama dove sono sempre di più i volti singoli, la coerenza dei loro valori e della loro immagine anche dopo aver attraversato così tanti generi. Si spinge a dire che sono una band che parla a una generazione e viene criticato e incalzato a riguardo più volte.

Io mi spingo con piacere oltre, dicendo che non parlano a una generazione sola (come i citati the1975 o Lo stato sociale), ma sanno parlare a due inter-generazioni, le più complesse che compongono il pubblico giovane. Lo fanno bene perché conoscono i drammi dei millennials e i tropoi della genZ; sanno giocare con l’immaginario e con i riferimenti generalmente specifici in modo da arrivare ad entrambi; non hanno la pretesa di appesantire, ma non rischiano essere superficiali.

Tentando di spiegare questo concetto a chi non aveva né i mezzi né la voglia per capirlo, raccontano anche delle loro scelte d’immagine (molte volte anche sofferte) che mirano proprio a renderli riconoscibili, seri e che non fanno mai pensare gli interessi altro se non la musica.

Tornando a Fake News: la traccia numero 7, Forse, ha uno dei testi più belli di tutta la collezione. Lo sanno chiaramente i Pinguini, che infatti annunciano la possibilità che arrivi in ritardo per chi scaricherà l’album solo in versione digitale. Forse è un brano che rimugina su una storia finita, come hanno già dimostrato di saper fare fin troppo bene nel lavoro precedente. Questa volta ripensarci non fa ridere per niente, forse qualcuno ha imparato la lezione…

Fake News affronta tantissimi temi diversi, alcuni anche complessi e profondi. È il caso per esempio di Hikikomori, un brano che parte dal parallelismo tra la condizione psicologica estrema osservata in molti casi di ragazzi giapponesi e la paragona alla vita di una coppia, divisa nel periodo della pandemia. C’è attenzione ad affrontare la condizione senza sfociare in semplificazioni sbagliate e controproducenti, soprattutto perché c’è la volontà di spostare il focus dagli apparenti problemi dei singoli e renderli problemi della società. L’aspetto comunitario è, come sottolineano ove possibile, importantissimo:

“Pensiamo che le risposte ai problemi della vita siano sempre indissolubilmente comunitari.” Se le sofferenze sono comuni, ma pesano su ognuno in modo diverso, secondo i pinguini – abituati a pensare “a sei” – c’è un solo modo per potersi salvare: “Ci si aiuta insieme.”

Altro tema bollente è al centro di Fede, una canzone che descrive una società che fa il giro e torna indietro. Dopo la post-ideologia e la post-verità sembra esserci il ritorno evolutivo alla fede cieca, che sa donare sostegno e assuefare. Da maneggiare con cura: proprio come il concetto attorno cui si muove, è una canzone forte con un testo ricercato e una base che forse è il più vicino possibile al loro passato rock. 

Riparlando di Dentista Croazia, c’è una bellissima frase che uno dei ragazzi dice quando spiega il loro rapporto col camioncino puzzolente dei primi giorni. C’è l’intenzione di “dare un’anima alle cose”, non con un punto di vista materialistico ma affettivo. È questo il caso anche di Barfly, una canzone nostalgica che ripercorre alcuni luoghi di Londra – una città che sta a cuore a Riccardo tanto quanto a me – e che quindi mi ha colpita forse più di quanto colpirebbe il resto del pubblico.

Qualcuno chiede loro se hanno mai pensato, come molti altri cantanti italiani, di comporre in inglese e tentare di inserirsi nel mercato internazionale che oggi più che mai ha l’orecchio teso verso la musica italiana. La risposta arriva lentamente, tra risate e borbottii, ma arriva molto chiaramente: “È difficile collocarsi in un posto dove sai che forse non saresti potuto nascere”. Non credo ci sia nulla da aggiungere.

Fake News è un disco ampio con pezzi che auspicano ad essere molto diversi tra loro. Sentiti uno dopo l’altro, al primo ascolto non sembrano essere così diversi, anche se ad un orecchio attento ed allenato risultano evidenti le novità dal punto di vista di sound e produzione. Si esula dal pop tradizionale di Ahia! strizzando l’occhio a generi sperimentali, up-tempo, fino ad arrivare a canzoni che ricordano la tradizione cantautoriale.

Quest’ultima è rappresentata da Cena di classe (che Elio cerca di citare dovunque riesce): una cena di classe che “diventa cena di classe sociale”. Il testo sa essere duro e a tratti fa sorridere, su una base famigliare risulta ancora più d’impatto.

Anche questo brano racconta la realtà di una generazione che non ha finito di studiare poi da così tanto e si affaccia alla vita un po’ in punta di piedi. La realtà della cena di classe è la realtà che questa generazione vive ogni giorno: una serata in cui si deve dimostrare di essere arrivati “fino a qui”, in cui i successi ottenuti grazie alla resilienza vanno esposti a discapito delle cadute e degli sforzi fatti per raggiungerli. Con “Ci vediamo il prossimo anno” la voce di Riccardo chiude Fake News, Cena di classe rappresenta la perfetta cesura per un album che vuole essere “un rito apotropaico per allontanare la finzione”.

I Pinguini, destreggiandosi tra tutti i tentativi di essere incasellati, concludono dicendo: “Non vogliamo essere esempi di persone che ce l’hanno fatta nella vita, ma persone che sono felici della vita”. Fake News, secondo me, li mostra proprio così: osservatori di una realtà complessa e schiacciante, ma osservando insieme se la raccontano come meglio credono e trovano il modo anche di ridere. Che la vita è una e bisogna prenderla come viene.

Giulia Scolari
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