From Hell with Love, Beast in Black: recensione

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Il secondo album dei Beast in Black, From Hell With Love, è uscito l’8 febbraio per Nuclear Blast: e come il suo predecessore, Berserker, è stato un enorme successo.

C’è stato, per lungo tempo, una sorta di vuoto cosmico nella produzione heavy/power metal nordica: i Sonata Arctica sono dipartiti nel prog (con mio sommo piacere, ma non tutti l’hanno presa così), stesso dicasi per i Judas Priest; i Kamelot senza Roy Khan sono nulli e gli Helloween transitano in un periodo di N/D che dura fin troppo. Insomma, a portare alto il vessillo del metal nordico erano rimaste soltanto le band female lead: Nightwish, Epica, Within Temptation, sono superstar nei loro paesi d’appartenenza.

E superstar sono diventati, in tempi record, i Beast in Black. Formazione di giovani (nessuno supera di molto i trent’anni), guidati da un cantante con una voce angelica, Yannis Papadopoulos, uno dei più talentuosi vocalist che possano vantarsi di calcare palchi metal, ed un songwriting eccellente da parte di Anton Kabanen e Kasperi Heikkenen, in grado di unire influenze pop con le ispirazioni power metal più classiche. Si parla d’amore, di lupi mannari, di draghi, di principesse, ma il tutto rimescolato in una salsa gradevolmente anni ’80, gradevolmente Europe, gradevolmente elettronica alla ABBA maniera (come ci insegna Tobias Forge dei conterranei Ghost, anche loro svedesi). Quando Berserker uscì nel 2017, fu un immediato successo di pubblica e critica: per la prima volta, fra l’altro, un manga splatter come Berserk diveniva di pubblico dominio, in quanto l’intero album (e il nome della band!) è ispirato proprio all’opera del mangaka Kentaro Miura. Brani trascinanti come Blind and Frozen, Crazy Mad Insane, e delicate ballad come Ghost in The Rain hanno contribuito a far sì che, nel loro primo anno di esistenza, i Beast in Black divenissero band spalla di una delle realtà più importanti di quel panorama musicale: i Nightwish.

Neanche due anni dall’uscita di Berserker, che ecco il secondo capitolo della favolta dei Beast in Black: From Hell with Love.

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  1. Cry Out For A Hero
  2. From Hell With Love
  3. Sweet True Lies
  4. Repentless
  5. Die By The Blade
  6. Oceandeep
  7. Unlimited Sin
  8. True Believer
  9. This Is War
  10. Heart Of Steel
  11. No Surrender
  12. Killed By Death (Motorhead cover)
  13. No Easy Way Out (Robert Tepper cover)

Va fatta una piccola premessa. Io, giuro, mai mi sono divertita così tanto a recensire un album. Mi è parso di tornare bimbetta con le borchie, invece che con le camicette e i tacchi. Perché, se possibile, From Hell with Love è ancora più eighties, ancora più gioioso, ancora più elettrico. E Yannis canta come un cherubino.

Va, inoltre, premesso che From Hell with Love è un disco generazionale. Ricchissimo di rimandi al manga Berserk (che solo i trentenni apprezzano, perché è fermo da anni e anni, ben prima che alcuni fruitori di musica nascessero), citazioni cinematografiche qua e là, ed una dedica d’amore ad un mondo positivista e scanzonato, dolcemente tamarro, che è esistito solo nel decennio 1980-1990. In più, sembra che il buon Anton Kabanen abbia una personalità poliedrica, e infila citazioni di cultura pop qua e là.

Si parte da Cry out for an Hero – il cui titolo, già simile a Holding out for an Hero di Bonnie Tyler, ne rispecchia proprio l’animo eighties – che è appunto un’accorata richiesta di aiuto da parte di un eroe che ancora non arriva, condita di magistrale lavoro di cassa e riffing, per tre minuti energici che scaldano già le orecchie dell’ascoltatore. Continuiamo poi con la super elettrica title track, From Hell With Love, che riprende la tipologia di brano già costruita con Crazy Mad Insane, declinandolo però in modo più romantico, e con un gradevole intermezzo strumentale; il chorus, trascinante, ne fanno un vero e proprio inno. Già al primo ascolto, viene voglia di urlare “You’re my kryptonite”.

Alla intro di Sweet True Lies, singolo, così tanto Boston, così tanto Kansas, così tanto anni ’80, ho avuto un tuffo al cuore. Ricorda un po’ troppo Hard Rock Hallelujah dei Lordi, ma ci va bene così. Baby baby, tell me more of your lies!, grida Yannis sulla base di un’intelaiatura fortemente power che non lascia spazio a cambi di ritmo e al solo cambio di accordo sull’ultimo refrain. Brano un po’ monotono che ma che guadagnerà molto, moltissimo, nella versione live. Il videoclip, che troverete a fine articolo, merita una visione accurata: se Dance Macabre dei Ghost vi è parso un po’ trash, Sweet True Lies è nulla in confronto. Ed è bellissimo.

Ah, eccoci, penserà il powerster tipico, quando arrivano i synth pseudo-cornamuse di Repentless (senza pentimento), la doppia cassa, e tutto il resto della banda, a introdurre il cantato paradisiaco di Yannis. C’è molto, moltissimo, di Rhapsody of Fire, Dragonforce e Manowar, in un brano che è quasi una marcia militare, nella rigida scansione delle battute operata dalla chitarra di Heikkinen, che porta nel bell’assolo quanto da lui appreso durante la militanza nei Gamma Ray.

Gatsu e Grifis si ammazzano di botte (ma vestiti di lustrini, pantaloni di pelle, ed enormi teste capellute a fare headbanging) sulle note di Die By the Blade, brano fortemente dark fantasy e ricchissimo di synth, che è il primo di From Hell With Love ad esprimere apertamente l’amore sconfinato di Kabanen per Berserk, manga che iniziò proprio negli anni ’80.

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Gatsu, protagonista di Berserk.

Un pomeriggio, poi, dalla libreria ben fornita di Kabanen, sono poi scivolate fuori le Bucoliche di Virgilio; dopodichè, il chitarrista si è messo a comporre, e ciò che ne è nato è stato Oceandeep. Più realisticamente, il sound da soft ballad tipico di molti singoli dei Nightwish, composti da Marco Hietala, è trapelato nei Beast in Black durante il tour condiviso. Un delicatissimo arpeggio di chitarra, un flauto etereo, batteria leggera a scandire il tempo, per un risultato deliziosamente folk. Menzione d’onore al vibrato di Yannis.

Un momento di pausa è stato fin troppo, e torniamo sui binari già fissati con i synth europe pesanti, e le chitarre intrusive ed aggressive di Unlimited Sin, brano che purtroppo non aggiunge molto a quanto già detto nella prima parte dell’album, ma che è comunque gradevole.

Ora, per raccontarvi la seconda parte di From Hell With Love, è necessario fare una digressione.

Qualche tempo fa, sul PS store (sì, sono fazione Playstation!) c’era un videogioco a tre euro – i meglio spesi della mia vita: Kung Fury. Il protagonista era un tizio con una bandana che andava in giro menando. Il gioco in sé dura poche, pochissime, emozionanti ore, ma ne guadagna in epòs: è infatti tratto dal capolavoro quale è il film Kung Fury, dotato a sua volta di una spettacolare colonna sonora. Ovviamente, fortemente anni ’80. Regina ne è True Survivor, nel cui video, peraltro, il protagonista è interpretato da David Husselhoff! Sì, lui, quello di Supercar. Tralasciando queste cose triviali, l’ottavo brano di From Hell With Love sostanzialnte E’ True Survivor, ma si intitola True Believer. Beh, Anton, ti darei un bacio in fronte per aver avuto il coraggio di piazzare un brano del genere all’interno del tuo secondo album, col rischio di prenderti lo scorno dell’intero, crudele, mondo del metal; così non è stato, perché True Believer è un brano up-tempo trascinante che rimane in testa.

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Locandina di Kung Fury, che non rende il livello di trash del film.

Proseguiamo poi con This is War, brano alla Sabaton e Manowar, guerresco ed energico, che però lascia un po’ poco all’ascoltatore, data la composizione un po’ abusata e l’inflazionatissimo tema. Grazie a Dio Odino, però, i Beast in Black sanno come riattrarre l’attenzione dell’ascoltatore ributtandolo nel calderone di brodino metallaro quale era stata Blind and Frozen, ma aumentandone il canone epico: ecco che, trionfale, inizia Heart of Steel, che si conclude con un acuto che neanche Tarja Turunen. E tantissimi Nightwish ci sono nell’ultimo brano originale di From Hell With Love, No Surrender, tipico brano power metal, dal trascinante ed orecchiabile chorus, così maschio che quasi mi cresce la barba. Dieci e lode, perché, da sola, No Surrender mostra tutte le qualità vocali di Yannis, e di songwriting degli altri componenti, oltre che alcuni tocchi pregevoli imputabili alla produzione, quali alcuni synth piazzati in controtempo che creano continuità movimentando allo stesso tempo il brano.

Chiudono, infine, From Hell With Love, altre due dichiarazioni d’amore di Kabanen: la penultima traccia, Killed by Death, è stata composta e interpretata dai Motorhead ovviamente nel 1984 appositamente per il loro primo best of. No Easy Way Out, invece, di Robert Tepper, invece, vede finalmente la partecipazione godibile del bassista – finora riconoscibile solo da orecchie allenate – Matè Molnàr, e dona una nuova freschezza al brano che in molti ricorderanno come colonna sonora di Cobra e di Rocky IV, entrambi diretti da Sylvester Stallone.

In conclusione, From Hell With Love non è altro che una conferma a quanto già espresso con Berserker, di cui rappresenta un’estensione, più che un vero e proprio nuovo capitolo. Determinate tracce potevano essere tranquillamente evitabili, per non caricare di monotonia un album che già rischiava di molto di esserlo, date le intrinseche caratteristiche del genere rappresentato. Eppure, ciò che il metallaro che critica la piattezza di From Hell With Love e, in generale, la musica così eighties e orecchiabile proposta dai Beast in Black (così come i Freedom Call e gli Amaranthe), non coglie, è che il suo primario scopo è divertire, far ballare, intrattenere. Senza lanciarsi in arditi cambi di tempo, riff impossibili, profonda ricerca sonora e concept album ambiziosi.

Dunque, i Beast in Black hanno nuovamente centrato il bersaglio. E possiamo ammettere che il fuoriuscito dai Battle Beast, Anton Kabanen, si sia ampiamente riscattato.

Giulia Della Pelle
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