Lucifer, Lucifer V: recensione

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Lucifer V è il quinto album dei Lucifer, band tedesco/svedese hard rock, uscito per Nuclear Blast il 26 gennaio 2024.

Mentre la coda lunga di Sanremo non accenna a chetarsi, in Svezia infuria Lucifer.

Ma chi sono, costoro? Johanna e Nicke Platow Andersson, Linus Bjiorklund, Martin Nordin, Harald Gothblad  vengono da Stoccolma, Svezia. E fanno hard-rock. Hard rock vero, non quello dei Maneskin, sciacquato nel pop. I loro suoni sono interessanti, rotondi, occulti e complessi. I titoli dei loro album ricordano quelli dei Led Zeppelin – semplicemente, da I a V, sino all’attuale Lucifer V, rilasciato per Nuclear Blast il 26 gennaio 2024.

Dire che Lucifer V sia un album ottimo è dir poco. È un inizio trionfale del 2024, è uno schiaffo al synth – bello e brutto, bombastico o melenso, spicciolo e malfatto o intelaiato e ordito di labor limae – che sempre più spesso contamina il genere.

Al contrario, Lucifer V riporta, coi suoi quaranta minuti scarsi di durata, in auge suoni dimenticati: Deep Purple, Black Sabbath, Scorpions. La bellezza della semplicità di una voce acuta ed intonata, un paio di chitarre ben accordate, una batteria dinamica e colorata, un basso sempre presente a dare profondità.

Possiede echi un album dei Blue Oyster Cult, Secret Treaties, che forse neppure i BOC stessi ricordavano di aver composto; si avvicina allo splendido The God-Shaped Void degli Psychotic Waltz, ma allo stesso tempo possiede un’anima personalissima. Perché Lucifer V è un album ironico, divertente; ed è evidente che i Lucifer stessi si divertano un mondo a parlare di morgue, di cripte, di bare marce, inventando storielle inquietanti e morbose – e Johanna diventa una cantastorie di cose orribili ma dalla voce angelica. Lucifer V è un flirt con la morte adolescenziale e semiserio, ma tremendamente ben fatto.

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Da Fallen Angel a Nothing Left to Lose But My Life, Lucifer V è una collezione di hit anni ‘70/80. C’è l’energia di Fallen Angel, il melenso e sardonico waltzer di At The Mortuary – un’improbabile storia d’amore iniziata in una morgue, la For Whom the Bell Tolls dei Lucifer – e l’immancabile ballad: Slow Dance ina Crypt, jazz e swing fra morti rinati. Brano che, peraltro, è corredaot da un interessantissimo videoclip  – altrettanto divertente – con la bella Johanna che diviene protagonista di un z-movie di Ed Wood (ovviamente, zombie inclusi). I suoni nostalgici di A Coffin Has no Silver Lining  e Strange Sister non faranno però rimpiangere – da ottimi inni quali sono – i tempi andati dell’hard rock, fra chitarre imbizzarrite e refrains estremamente accattivanti. Ad ogni modo, però, per la scrivente, la punta di diamante di Lucifer V è rappresentatae da The Dead Don’t Speak: essa, nel suo groove intelligente e dinamico, è una summa dell’intera poetica e concezione musicale dei Lucifer. Un piccolo album nell’album.

Lucifer V è un lavoro di una bellezza disarmante, perché godibile, divertente, facile da ascoltare e fruibile: un lavoro d’altri tempi ma aggiornato ai tempi correnti – non necromanzia degli antichi idoli dell’hard rock, ma continuazione di un percorso e inizio di uno nuovo, personalissimo, per i Lucifer.

Giulia Della Pelle
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