Out of Myself dei Riverside, la ristampa dell’esordio del 2004

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È con interferenze radio ed un tributo, archi sommessi,  ad Angelo Badalmenti nella colonna sonora storica di Twin Peaks che si apre il prima capitolo dell’avventura dei polacchi Riverside, guidati allora da Piotr Grudzinski  e Mariusz Duda (qui l’ultimo capitolo dei Lunatic Soul).

Recentemente, la InsideOut ha deciso di rinverdire le proprie pubblicazioni rimasterizzando e rilasciando, in vinile, proprio Out of Myself, esordio della band.

Eravamo rimasti a Wasteland, del 2018, figlio dell’improvvisa dipartita del chitarrista e fondatore della band, Piotr Grudzinski. Straziante, rappresentazione della secca e arida valle di lacrime quale è il nostro animo a lutto; sonorità aspre, dure, lontanissime dalla romanza raffinata quale era stato Love, Fear & The Time Machine.

La strada fatta dalla band è stata lunga: Out of Myself, infatti, già gettava le basi per quel prog metal emozionale che ha reso famosi i polacchi. Il sound è avvolgente sin dalla suite iniziale, The Same River, che in pad e accordi diminuiti ci introduce in un mondo oscuro e distorto, il negativo di quello reale – che cresce e si sviluppa, organico, con un basso tonante e batteria in controtempo. Si prosegue con la title track, che, incredibilmente, anticipò il sound attuale degli Opeth, a loro volta debitori dei Pain of Salvation: sussurri, delicatezza, per un brano guidato dal martellare della batteria, per poi un ending nel cantato cavernoso di Duda. L’alienazione di cui è oggetto l’album è acuita col chiacchiericcio di sottofondo e sigarette riflessive che aprono I Believe, ottima power ballad che, con i malinconici arpeggi di chitarra acustica, diventerà una delle hit dei Riverside.

out of myself riverside 2003 recensione

In Out of Myself c’è spazio anche per significativi interludi strumentali, quali Reality Dream I e II, intervallati dalla bellissima Loose Heart, che riprende gli accordi dell’opening The Same River, ed è forse il brano più maturo dell’album, che si allontana da Pain of  Salvation, Ulver, Porcupine Tree vari, e va a creare un proprio stile personalissimo, un po’ retrò, ma che va a toccare corde dell’animo che nessuna band prog metal era riuscita prima.  La componente strumentale è qui eccezionale: pad ed effetti tastieristici aggiungono enorme pregio ad un brano con già un ottimo songwriting. Lo stesso si può dire di In Two Minds, in cui le linee vocali di Duda risultano appassionate, efficaci, liriche – ed incredibilmente orecchiabili. La ending OK, poi, scuce e inverte la opening The Same River, in un intelligente esperimento dagli echi lounge misti al prog metal.

A distanza di anni, Out of Myself è un esordio di eccezionale maturità ed eleganza: mi dissocio da chi, snob, quindici anni fa diede delle “brutte copie degli Anathema” ai Riverside; la ricerca, sebbene larvale, di un sound proprio, era ben evidente, e Out of Myself contiene fra le gemme più rare dell’intera discografia della band.

Giulia Della Pelle
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