Il 20 maggio arriva su Chili Istmo, una prima visione della nuova opera di Carlo Fenizi che ci porta a scoprire una realtà comune, quella dell’agorafobia
Il cinema ci ha dimostrato più volte che non ha bisogno di fare sfoggio di mille ambientazioni, che un film può avere un suo Io anche se proiettato in una stanza. Ebbene, questo è il caso di Istmo – una sottile lingua di terra, bagnata su entrambi i lati da ingenti masse d’acqua appartenenti a oceani, mari o laghi, che congiunge tra loro due territori più vasti di cui uno continentale e l’altro generalmente insulare o anch’esso continentale – pellicola diretta da Carlo Fenizi, già regista di Effetto Paradosso e Umbra.
Ci racconta la doppia vita di Orlando (Michele Venitucci), che lavora da casa come traduttore, traducendo dallo spagnolo vecchi film latinoamericani commissionati in via telematica dalla sua datrice di lavoro, interpretata dalla pluripremiata attrice spagnola Antonia San Juan.
Ma Orlando è anche un influencer, conosciuto per le sue foto nude scattate in casa ma ricreate in vari angoli delle città. Perché, a differenza di quanto fa credere ai suoi amici virtuali, lui è uno che le città non le ha viste, che ha paura di prendere l’aereo, che gira in casa in vestaglia e ciabatte, che non ha alcuna intenzione di lasciare la sua confort zone.
Vittima di una fobia che gli impedisce di uscire all’aperto, è chiuso, per scelta, all’interno delle mura domestiche dove vede scorrere il tempo grazie al via vai di persone che si muovono dentro e fuori casa sua. Nel corso degli anni si è autoconvinto di aver trovato una sua alienata dimensione, a suo modo appagante, fino a quando non si rende conto che fuori c’è una vita che necessita di essere vissuta.
Orlando è Istmo
Orlando vive una vita sospesa tra passato, presente e futuro. Una solitudine autoindotta che lo ha portato a sviluppare una sorta di agorafobia, una forma di disturbo d’ansia, un disagio, una paura degli spazi aperti. Possiamo solo intuire, non esplicitamente, che un evento traumatico passato ha innescato il suo volersi chiudere in casa, perdendo lo scambio vitale con l’esterno e sganciandosi poco alla volta dalla realtà.
La sua vita domestica è ovattata, senza tempi definiti. Una monotonia caratterizzata da piccoli rituali: emicranie, incubi notturni, fissazioni culinarie, manie, passività, apatia. Questo stato lo porta ad avere conflitti ripetuti con Amad (Timothy Martin), coinquilino che si rivela custode di un’inattesa identità.
Ad aiutarlo ad uscire da quel limbo, da quella gabbia, costruita di ricordi e paure, è Marina (Caterina Shulha), una rider che gli consegna quotidianamente il cibo a domicilio. Orlando inizia a provare per lei, poco alla volta, dell’affetto, tanto da convincersi a prendere coraggio ed uscire da quella sua routine monotona e poco soddisfacente. Il suo disamore per la realtà e il suo mondo edificato artificialmente cominciano a mostrare delle crepe, fino a sgretolarsi. Il bisogno di un contatto umano, effettivo e tangibile – al di là di quelli occasionali – per quanto imperfetto e doloroso che sia, diventa difficile da ignorare.
Dietro la macchina da presa, Carlo Fenizi racconta una storia più comune di quanto si pensi e Michele Venitucci è perfetto nell’interpretare un soggetto tanto irascibile quanto irritabile. La colonna sonora, delicata e non invasiva nello scorrere delle sequenze, soprattutto per questo genere di pellicola, accompagna l’idea che, seppur non originalissima, è trasposta bene, sebbene con qualche situazione ed intento drammatico di esito infausto.
In Istmo mi è piaciuto l’aver fatto percepire allo spettatore che dietro l’algido, solo apparente, personaggio interpretato da Antonia San Juan c’è un velo di tristezza e dolore. Una sottotrama che, sicuramente, avrebbe meritato maggiore attenzione.
Bello anche l’aver usato registri visivi differenti, nonostante si sia affidato ad una visione futuristica casareccia, dove gli interni – coloratissimi e pieni di vita, che contrastano con l’umore nefasto del protagonista – rappresentano per lo spettatore stimoli e curiosità continui. Istmo risulta quindi interessante, soprattutto a livello sociale, ma la staticità dell’azione si fa sentire.
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