8 e mezzo è tra i più grandi capolavori che la settima arte abbia mai visto, in cui fantasia e realtà coabitano perfettamente e l’oniricità di Fellini si è fatta definitivamente maestra.
Di maestranze come quelle di Federico Fellini non se ne sono mai viste: La Dolce Vita, Amarcord e 8 e mezzo sono tra le tre opere più importanti di tutta la cinematografia mondiale. Il suo era un cinema moderno e universale, fatto di volti, di sensazioni, di macchiette, di personaggi iconici e irriverenti. Il mondo grottesco che lo circondava lo ha riassunto perfettamente, con quel suo pizzico di humor romagnolo, proprio in 8 e mezzo, uno dei più grandi capolavori mai fatti del ventesimo secolo.
Quest’opera rappresenta l’apice del genio creativo di Fellini, una sorta di spin off de La Dolce Vita, fonte di ispirazione per registi e materia di studio per cinefili e tecnici dei mass media, conquistandosi una moltitudine di riconoscimenti, tra cui due premi Oscar: miglior film straniero e migliori costumi. Un’opera personale, fin dal titolo: era infatti il suo ottavo film e quel “mezzo” si riferiva all’esordio diviso con altri registi. Un film a cui era impossibile chiedere “un titolo vero” (ma perché ci sono titoli veri o titoli falsi?), perché fondamentalmente era la storia di un’opera incompiuta. Un non-film che però diventa un film, per giunta magistrale.
Siamo nel 1963. Gli italiani sono famosi per “la dolce vita”, per quello stile di vita raccontato anni prima proprio da Fellini. Sono gli anni in cui l’Italia vive il suo boom economico e Roma il suo periodo d’oro, Via Veneto è il salotto del mondo e Cinecittá la “Hollywood sul Tevere”, il sogno per milioni di persone. Federico Fellini ha un successo senza eguali: la sua fama è paragonabile a quella dei grandi divi hollywoodiani; ha inventato parole nuove e diviso la Chiesa, ancora relegata al bigottismo.
Ma lui, che potrebbe adagiarsi sugli allori, entra in una crisi esistenziale e creativa, in un vortice interno bellicoso. E, proprio durante le sedute di psicoanalisi, ha un’intuizione per la nuova pellicola: vuole filmare il pensiero di un uomo, i suoi sogni, le sue paure, senza un’idea ben precisa, ma mescolando varie sensazioni: le sue. L’amico Ennio Flaiano non è convinto di questo progetto, per lui l’operazione è impossibile. Ma per Fellini niente è impossibile.
Così è arrivato 8 e 1/2: un film che parla di un film. O meglio, un film su un regista che non sa che film fare. Una cosa geniale e folle per quel tempo, per il 1963.
Un film che non è finzione cinematografica, ma realtà onirica. Pare strano a dirsi, ma Fellini veramente aveva perso l’ispirazione e aveva girato senza un copione prestabilito. Il regista non sa cosa mettere in piedi, cosa portare sul grande schermo, eppure vuole continuare ad andare avanti, a girare.
Forse allora Fellini non lo sapeva, ma in quel momento stava scrivendo la storia del cinema, stava segnando di fatto segnando un nuovo linguaggio comunicativo, stavo lanciando il messaggio che si poteva osare di più, che è inutile avere paura di mostrare le proprie emozioni, che è possibile raccontare storie, ma anche stati d’animo, facendo entrare lo spettatore in un cortocircuito sentimentale.
Tutto gira intorno a Guido Anselmi (Marcello Mastroianni), esplicito alter ego felliniano, un famoso regista in una crisi nel mezzo del cammin, alla ricerca di riposo in una stazione termale, con l’obiettivo di mettere ordine ai suoi pensieri assuefatti. Nella sua mente labile, realtà e fantasia si scontrano e si mescolano, è in confusione tra mito morale e fatto morale, e il luogo che avrebbe dovuto garantirgli un po’ di relax si trasforma invece in una inquietante ribalta di personaggi, memorie e chimere: è il caos.
L’arrivo dell’amante Carla (Sandra Milo), poi della moglie Luisa (Anouk Aimée) e dell’attrice Claudia (Claudia Cardinale), nonché i colloqui e le parole scambiate con il suo produttore e con altri ospiti delle terme, aumentano la confusione di Guido e ne fanno venire a galla i suoi molteplici ricordi carichi di nostalgia e malinconia: il collegio dell’infanzia e i genitori scomparsi da tempo.
Guido si sente inadeguato e incompiuto: è paralizzato dall’apatia. Quando sembra sul punto di rinunciare definitivamente al film cui intanto sta lavorando, un momento magico dà vita a una sorta di convivial leopardiano. È il celebre girotondo circense dei personaggi del film e delle anime della sua vita scandito dalla musica di Nino Rota, in cui, una volta compresa la natura dei propri problemi professionali e privati, il regista si libera da essi riconciliandosi con se stesso e ritrovando quella gioia di vivere, quell’entusiasmo perso anni prima.
«Ma che cos’è questo lampo di felicità che mi fa tremare, mi ridà forza, vita? Vi domando scusa, dolcissime creature; non avevo capito, non sapevo. Com’è giusto accettarvi, amarci. E come è semplice! Luisa, mi sento come liberato: tutto mi sembra buono, tutto ha un senso, tutto è vero. Ah, come vorrei sapermi spiegare. Ma non so dire… Ecco, tutto ritorna come prima, tutto è di nuovo confuso.
Ma questa confusione sono io, io come sono, non come vorrei essere adesso. E non mi fa più paura dire la verità, quello che non so, che cerco, che non ho ancora trovato. Solo così mi sento vivo, e posso guardare i tuoi occhi fedeli senza vergogna. È una festa la vita: viviamola insieme! Non so dirti altro, Luisa, né a te né agli altri: accettami così come sono, se puoi. È l’unico modo per tentare di trovarci».
Il surrealismo di 8 e mezzo descrive al meglio i dubbi, l’evanescenza e la mancanza di punti di riferimento dell’arte moderna, e lo fa narrando una storia onirica dal punto di vista del narratore contemporaneo.
Lo stile kafkiano, in cui la fantasia, l’immaginazione e la memoria diventano l’essenza, con montaggi di immagini accomunate tra di loro come fossero sequenze assurde, danno vita a quello che poi verrà ribattezzato “metacinema”, in cui il fascino, il mistero, l’autoriflessione e l’incomprensibilità del contemporaneo diventano alte espressioni artistiche.
Fellini con 8 e mezzo ci ha insegnato a rompere le regole dettate dal tempo, di rendere il sogno fantastico il fulcro centrale della narrazione e che le storie vanno raccontate, sempre, anche quando non si capisce cosa significhino. Ci ha insegnato che non bisogna avere paura e che bisogna continuare a girare, esprimere, vivere. E bisogna farlo con qualità, emozione, disincanto e sincerità.
Posso dire senza dubbio che 8 e mezzo di Fellini ha reinventato il cinema degli anni ’60, consegnandoci un testamento prezioso e di inestimabile valore. Da quel momento in poi la settima arte si affaccia ad un mondo nuovo, modifica scopi e tecniche.
I film non sono più spensierati e realizzati per intrattenere mediamente il pubblico la domenica, bensì rappresentano la maniera profondamente personale con cui i registi vedono la realtà, riuscendo contemporaneamente a spingere in avanti i limiti del mezzo cinematografico. Un nuovo linguaggio cinematografico diffusosi rapidamente in cui Fellini fu il pioniere, il padre fondatore, colui che ancora oggi rappresenta la perfezione.
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1 commento su “8 e mezzo, l’opera più potente di Fellini che aprì le porte al metacinema”
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