Il Cinema, soprattutto quello statunitense, ha avuto spesso come protagonisti i motociclisti, intesi come singoli o più spesso gruppi di persone che fanno della loro passione per le due ruote un modo per ribellarsi alla società. Basti pensare a due insuperabili capolavori come Il Selvaggio (1954) e Easy Rider (1969), ma potremmo citare altre pellicole più recenti, interessanti e ben fatte senza che però siano riuscite a raggiungere il livello delle due appena citate
Ultimo esempio di questo filone è The Bikeriders, prodotto da Regency Enterprises e Tristar Pictures e che sarà distribuito nelle sale italiane da Universal Pictures a partire dal 19 giugno. Il regista Jeff Nichols, già autore di Take Shelter e di Midnight Special- Fuga nella notte (solo per citarne alcuni), parte dal libro di Danny Lyon del 1968, che possiamo definire un vero reportage fotografico in cui veniva documentata la vita di uno dei tanti gruppi di motociclisti che crearono una vera e proprio cultura negli Stati Uniti.
The Bikeriders è in effetti straordinariamente fedele al libro di Lyon, e quindi è caratterizzato da uno stile documentarista. Nichols, qui anche sceneggiatore, sembra quasi non prendere posizione sulle scelte dei personaggi che animano la trama.
Al centro del racconto ci sono Johnny (Tom Hardy), il leader dei Vandals, il suo amico Benny (Austin Butler) e quella che poi diventerà la moglie di quest’ultimo, Kathy (Jodie Comer). Il primo è un camionista, indiscutibile capo dei Vandals (nome fittizio dei reali Outlaws MC al centro dell’opera di Lyon), il secondo un ragazzo che prima sarà il pupillo e poi soprattutto amico di Johnny, e che nonostante la vicinanza a questi, manterrà sempre un certo atteggiamento indipendente rispetto al resto del gruppo. Kathy invece è una spettatrice privilegiata delle vicende dei motociclisti.
Di tutti è forse il personaggio più interessante, perché non è mai completamente dentro gli avvenimenti della “famiglia” dei Vandals, ma piuttosto un tramite con la società civile nella quale gli altri non si riconoscono. Infatti è lei la voce narrante del film, partecipe, ma sempre un po’ distaccata. La scelta di avere un personaggio femminile come voce narrante è senz’altro interessante in quanto, ed è forse inutile specificarlo, stiamo parlando di un film decisamente maschile e al maschile.
Potremmo definire l’opera del regista americano, anche come un’epopea, che racconta un fenomeno sociale nato come una ribellione in primis di persone ad una società che emarginava chi non corrispondeva ai canoni (che fossero poveri, reduci, hippies o semplicemente ribelli).
Una sorta di utopia, perché i riders, volevano e pensavano di riuscire a vivere in un mondo parallelo, dove potessero esprimere sé stessi, fuggendo dalla deriva (soprattutto a causa della guerra in Vietnam, che stavano prendendo gli USA.) Libertà ed anarchia insomma. Ma come troppo spesso succede, forse purtroppo, le utopie sono destinate al fallimento. I Vandals infatti col tempo diventano altro: una gang criminale.
Aldilà del giudizio morale che possiamo dare per una simile evoluzione (The Bikeriders non esalta i protagonisti), è difficile non provare nostalgia per un’epoca che non c’è più, e che comunque, è stata pervasa di sogni. Sogni e orizzonti infiniti davanti a sé che oggi difficilmente abbiamo.
Tecnicamente il film ha un’impostazione classica e, senza aver paura di esagerare, ricorda i classici “on the road”. Questo anche grazie alla fotografia di Adam Stone , evocativa e insieme attenta a riprendere la realtà.
E’ doveroso dire che una gran parte del merito va al gruppo di interpreti e in particolare ai protagonisti. Tanto è stato già detto sul loro talento, ma il film vive e brilla per le interpretazioni.
Tom Hardy come sempre è perfetto nella parte di un personaggio, che nasce come outsider e diventa un capobranco violento e addirittura una sorta di gangster, che finirà per doversi guardare dai nemici sia esterni, sia interni. Jodie Comer è bravissima ad interpretare un donna che entra in un mondo che non è sempre a lei proprio. Ci entra per amore di Benny e per amore prova ad allontanarlo da esso.
Ma a brillare è soprattutto Austin Butler, nel ruolo di Benny. Magnetico, interpreta perfettamente il ribelle che è refrettario anche alle regole di un branco e del suo capo, soprattutto dopo la deriva criminale. Ma che da quel mondo è restio ad uscirne, vittima di una fame di libertà che gli sembra solo quel mondo possa dargli. Con la malinconia di fondo sempre presente nel suo sguardo, Butler da vita ad una delle migliori rese di ribelli del cinema non solo recente.
Tutto, dalla linea narrativa scelta da Nichols, all’intensità delle interpretazioni, alla fotografia, alla colonna sonora di David Wingo, fanno viaggiare lo spettatore in un mondo che non c’è più.
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