Forrest Gump è l’opera magna di Robert Zemeckis. Una favola dell’innocenza e della perseveranza americana, una prodezza pop tecnicamente sorprendente dell’industria cinematografica statunitense
La parabola affascinante e creativa della storia degli Stati Uniti
A venticinque anni dalla sua prima uscita nelle sale cinematografiche statunitesi e da amante della storia, non posso non raccontarvi Forrest Gump e di come questo film abbia plasmato le menti e abbia regalato un punto di vista diverso a milioni di persone, compreso il mio. Uno dei manifesti del miglior cinema degli anni ’90, capace di mettere il segnaposto sulla strada delle pellicole senza tempo, Forrest Gump è una parabola affascinante e creativa della storia degli Stati Uniti, un’epopea raccontata attraverso gli occhi di un ragazzo dotato di uno sviluppo cognitivo inferiore alla norma e con un lieve difetto motorio.
Forrest Gump domina agli Oscar 1995, portando a casa la bellezza di sei statuette
Il film non sembra adattarsi ad un genere ben specifico in quanto sembra più un cross-over tra dramma, commedia e romanticismo. Forrest Gump, che ha cambiato il modo di fare e vedere il cinema, è uno dei pochi lavori che può vantare di aver messo d’accordo sia pubblico che critica, riscontrando talmente tanto successo da dominare agli Oscar 1995, portando a casa la bellezza di sei statuette e venendo classificato al tredicesimo posto dei 250 migliori film di sempre. Un’opera iconica, tanto quanto quelle scarpe da uomo bianche indossate da Forrest e quel suo “correre, correre, correre”.
Diretto da Robert Zemeckis, Forrest Gump è basato su un bizzarro romanzo di Winston Groom in cui un semplice uomo del sud diventa per caso testimone di prima mano della storia americana. Il film parte nei primi anni ’80 con Forrest seduto su una panchina del parco in attesa di un autobus a Savannah, in Georgia. L’intera storia è raccontata proprio su questa panchina a un diverso numero di persone che vanno e vengono.
Forrest inizia la sua storia partendo dagli anni ’50, da quando era un bambino nella sua casa d’infanzia in Alabama. Nel suo racconto descrive la sua vita da outsider: come era cresciuto con un QI di 75; come la madre lo ha aiutato ad emergere; come indossava un tutore per le gambe che limitava severamente la sua capacità di andare al college, di servire nella guerra del Vietnam e il suo ruolo in altri eventi storici.
Durante l’excursus della sua storia, Tom Hanks, ovvero Forrest porta alla ribalta personaggi importanti come Elvis Presley, Kennedy, Lennon, Richard Nixon e stabilirà un nuovo clima di pace tra gli Stati Uniti e la Cina essendo un’icona dello sport sia nel football che nel ping-pong. In questi trent’anni di avventure parla anche della guerra in Vietnam, discutendone dinnanzi ad un raduno hippy, non comprendendo la straordinarietà dell’argomento, e provoca involontariamente “lo scandalo Watergate“.
Tutti questi elementi coabitano perfettamente nel film grazie ad un gioco maestro degli effetti speciali e all’utilizzo dei primi esperimenti di editing digitale che hanno portato Forrest ad interagire con figure emblematiche degli anni ’60 e ’70 come appunto Nixon, Kennedy, Johnson, Lennon. E’ come se Forrest, seduto su quella panchina, fosse lo spirito pulito e pacifico degli anni ’50, quello che emerge indenne dalla confusione e dagli squilibri venuti dopo.
Con una sceneggiatura rivisitata intelligentemente, elegante, mai noiosa e vagamente dissacrante su tematiche scottanti come il razzismo, le droghe, la guerra del Vietnam e l’HIV, Forrest Gump mostra una forza narrativa unica comprensiva di forti emozioni. Tra le altre cose, a contribuire alla resa pressoché perfetta del film c’è anche la colonna sonora firmata da Alan Silvestri, che ha avuto un ruolo enorme nel montaggio finale.
Un elenco di brani che hanno inevitabilmente segnato la società tra gli anni ’50 e ’70, facendone un evergreen per gli amanti del sound di quegli anni. Quella di Forrest Gump è una della più riuscite colonne sonore di quel periodo d’oro – un periodo che va tra la seconda metà degli anni ’80 e la fine degli anni ’90.
In definitiva, il regista Robert Zemeckis ha avuto la straordinaria capacità di raccontarci quel famigerato “sogno americano” attraverso gli occhi delicati e attenti della diversità, regalando alla settima arte un film culto che ha segnato almeno tre generazioni, quelle che sono cresciute con la giusta convinzione che “la vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita”.
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