Presentato alla 77esima Mostra del Cinema di Venezia, Non Odiare è l’unico film italiano in concorso alla Settimana della Critica Internazionale. E’ l’opera prima del giovane regista Mauro Mancini. Una storia fortissima, dolente, più che mai attuale e trasposta in un periodo storico particolare
Guardare Non Odiare il giorno del 90° compleanno di Liliana Segre e dopo i fatti di cronaca di Willy Monteiro a Colleferro fa un certo effetto, lo ammetto. L’ho sempre sostenuto, ma questa volta, come mai prima d’ora, mi sono resa conto di quanto il cinema sia uno strumento indispensabile per la formazione culturale, un mezzo di educazione interculturale, che invita alla riflessione, alla ricerca e alla conoscenza degli altri.
Perché quelle due ore non sono solo svago. Il linguaggio cinematografico, nella semplicità con cui si accosta alla massa, permette di avviare un processo di conoscenza dei drammi della storia senza pari. Ed è questo che ha fatto coraggiosamente Mauro Mancini: ha raccontato il nostro presente, facendo in modo che ci porgessimo delle domande scomode che rimbalzano sulle nostre strade quotidianamente.
Scritto dal regista – al fianco di Davide Lisino – Non Odiare è ambientato a Trieste, nella suggestiva cornice dell’Italia nord-orientale, e si apre con una scena cruda ed esplicativa. Vediamo un bambino costretto dal padre (Cosimo Fusco) a fare un scelta difficile che avrà delle conseguenze e forgerà il carattere di quello che poi diventerà un uomo. Infatti, quel bambino scopriamo, nella sequenza successiva, che è Simone Segre (Alessandro Gassmann), ora noto chirurgo di origine ebraica. Schivo e refrattario alle emozioni e agli affetti, negli anni si è costruito una stimabile carriera.
Mentre è intento a fare canoa, Simone si trova a soccorre una vittima di un incidente d’auto. Senza pensarci due volte: abbandona la barca e offre immediatamente il suo aiuto all’uomo che era alla guida del mezzo e che appare gravemente ferito. Chiama i servizi di emergenza e cerca di calmarlo mentre improvvisa un laccio emostatico con la cintura di sicurezza. Ma, durante l’intento di salvargli la vita, c’è un piccolo dettaglio imprevisto e inaspettato che gli fa venire un brivido lungo la schiena: l’uomo di cui si sta prendendo cura ha un tatuaggio con la svastica sul petto. Memore della terribile esperienza del padre, sopravvissuto a un campo di concentramento, Segre allenta il laccio emostatico e scappa dal luogo dell’incidente, lasciando l’uomo al suo destino.
Divorato dai sensi di colpa, Simone cerca, in qualche modo, di rimediare al danno irreparabile che ha causato alla famiglia di quest’uomo. Spinto dal rimorso, Segre cerca di avvicinarsi ed aiutare i tre figli rimasti orfani e in bancarotta. E allora conosciamo Marica (Sara Serraiocco), la maggiore dei tre, sicuramente la più sensibile e responsabile dei fratelli; poi c’è Marcello (Luka Zunic), un adolescente neonazista come il papà, molto aggressivo e irascibile; ed infine Paolo (Lorenzo Buonora), il più giovane dei tre, timido e introverso.
Simone, per raccogliere i cocci causati dal tradimento del suo giuramento di Ippocrate, decide di licenziare la sua domestica e affidare le pulizie a Marica che, dopo la morte del padre, è alla disperata ricerca di soldi per sbarcare il lunario. Ed è così che, in quella lussuosa, fredda e ordinatissima casa, ben lontana dal calore familiare, nella vita di Simone arriva Marica. Tra i due inizia un intenso avvicinamento psicologico che porta Segre, ancora una volta, a fare una scelta faticosa, uno sforzo morale e politico rilevante.
Non sono un medico e non ho un padre sopravvissuto ad un campo di sterminio, ma è impossibile non comprendere le azioni e la voglia di vendetta di Simone, la cui storia trae spunto da un fatto di cronaca realmente avvenuto in Germania. Lo capisco e provo empatia perché il tempo livido di razzismo, odio e rancore lo stiamo vivendo ancora una volta. Oggi, di nuovo, a poco più di 70 anni, come se quanto successo non ci toccasse. Eppure quella maledetta storia è la nostra.
E allora si, lo comprendo, Simone. Perché è bellissimo riuscire a trasformare l’odio in qualcosa di nuovo, ma non tutti hanno quella forza. Non tutti riescono a cicatrizzare una ferita costantemente aperta, a passare sopra ad un dolore inesausto come quel numero impresso sulla carne del braccio.
Quello di Mauro Mancini è un esordio garbato e ben diretto, il messaggio di Non Odiare sulla vendetta e sul perdono che vuole passare arriva forte e chiaro. Ha saputo tracciare un apologo etico e morale sul malessere sociale, disegnando una comunità pregna di intolleranza e razzismo. Ma non si è pronunciato, non ha emesso giudizi, ha fatto un passo indietro, lasciando allo spettatore libero arbitrio. Peccato per qualche trasfusione poco chiara, per alcuni dialoghi mancati, per quel pizzico di impudenza in più venuto meno, per le sottotrame non approfondite e per quei tanti – troppi – tatuaggi che possono far scadere nel solito cliché.
Ma, nonostante questi difetti, mi sento di difendere l’intero lavoro in Non Odiare perché quei passaggi emotivi ed esistenziali sono più pesanti di qualsiasi mancanza narrativa o tecnica.
Un plauso a parte va fatto all’interpretazione di Alessandro Gassmann. Il suo Simone Segre è credibile, la sua solitudine e la sua profonda insoddisfazione ci arriva addosso in modo esemplare. E poi una strepitosa Sara Serraiocco, che non ha nulla in meno delle nuove leve hollywoodiane, anzi. Da tempo sostengo che è una delle migliori attrici italiane under 30 (se non la migliore), capace di immergersi totalmente nei personaggi che le vengono affidati. Menzione meritata anche per Luka Zunic, giovane promessa del cinema.
Per concludere, Non Odiare è un film dal respiro internazionale che si stacca nettamente dalla – ahimè – mediocrità del cinema italiano. Un’opera originale, in cui lo scontro tra antisemitismo ed ebraismo è solo un contorno per dare vita ad una storia più grande. E, sinceramente, nell’epoca dove il conformismo e i filmetti commerciali la fanno spesso da padrone, Non Odiare si rivela spiazzante, anche se imperfetto.
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a volte troppo lento, dialoghi non esaustivi… ma nel complesso l’ho trovato un bel film, pieno di contenuti reali, non pare nemmeno italiano. Molto bravi i giovani attori, Alessandro Gassmanm sempre impegnato nei suoi ruoli, a volte troppo fisso nell’espressione, trasmette, però, emozioni autentiche. La regia credo risenta dall’esperienza di Mauro Mancini quale creativo di filmati brevi, ha fatto bene a cimentarsi nel lungometraggio, impara presto. Buon proseguimento a tutti.