Dopo aver trasformato la propria morte in un nft col suo ultimo cortometraggio di 57 secondi “The death of David Cronenberg”, Cronenberg torna in concorso a Cannes e al cinema con il suo nuovo “Crimes of the future”, a ben otto anni di distanza dal suo lungometraggio Maps to the stars. Da spettatori avvezzi a visionare autori quali Martin Scorsese, Clint Eastwood e Woody Allen incredibilmente prolifici nella loro senilità, la distanza da quel 2014 parrebbe siderale.
Per un conoscitore della sua filmografia, l’attesa cresce ancora di più: era dal 1999 di EXistenZ che Cronenberg non dirigeva e non scriveva un lungometraggio fantascientifico e ora, dopo ventitré anni, il regista canadese esplica la volontà di riconnettersi con sé stesso e con le proprie ossessioni.
Crimes of the future reimmerge lo spettatore in quelle atmosfere e in quelle riflessioni che hanno tanto reso celebre il regista canadese e, nel far ciò, Cronenberg durante il lockdown riprende ed ultima una sceneggiatura bruscamente interrotta nel 2003 dopo averne perso interesse.
(SPOILER ALERT)
In un futuro – non troppo remoto – sconvolto dalla crisi climatica, l’umanità si adatta per sopravvivere e combattere ancora una volta il suo più grande nemico: l’umanità stessa. Dinnanzi ai cambiamenti ambientali l’uomo reagisce sviluppando nuovi tratti tra i quali un notevole abbassamento della soglia del dolore e un’immunità da qualsiasi infezione. In un mondo in cui è sempre più difficile soffrire fisicamente, dolore e piacere tendono ad assottigliarsi confluendo in nuove forme di sessualità e performatività artistica in un connubio tra chirurgia e arte.
Medici, biologi e artisti lavorano a strettissimo contatto per realizzare performance dal vivo, le più famose sono quelle del sodalizio tra l’artista Saul Tenser e la chirurga traumatologa Caprice, interpretati da Viggo Mortensen e Léa Seydoux. Tenser soffre della sindrome dello sviluppo accelerato, una malattia idiopatica che comporta la crescita continua e aberrante di nuovi organi all’interno del corpo che vengono successivamente asportati nelle sue performance dal vivo grazie alla precisione chirurgica della sua partner Caprice.
I neo-organi vengono successivamente catalogati presso un apposito registro nazionale, i due burocrati Timlin e Wippet interpretati da Don Mckellar e Kristen Stewart sono incaricati di occuparsi specificatamente di Saul Tenser compilandone “l’organografia” in un registro sistemico della sua arte. Non tutti però sono favorevoli all’asportazione e alla catalogazione e un gruppo di evoluzionisti sovversivi implementa una serie di neo-organi sviluppando un intero apparato digestivo in grado di digerire e metabolizzare plastica e altri prodotti artificiali. Il governo decide di perseguitarli sguinzagliando la sua unità di crimini corporali, condannandoli ad esseri naturalmente innaturali e stigmatizzandoli con l’espressione “mangia-plastica”.
Uno dei leader dei ribelli vuole però inviare un messaggio all’umanità esibendo il corpo del suo stesso defunto figlio Brecken, il primo essere umano ad aver sviluppato naturalmente questo nuovo apparato ereditandolo ed esprimendolo geneticamente. Il cadavere del piccolo Brecken, da corpo svuotato di sé diventa un corpo intriso di significato, una nuova mappa per le sorti dell’umanità: la tecnologia non rappresenta un’interferenza in un fantastico processo naturale ma, al contrario, risulta indispensabile per arrivare ad un “salto evoluzionistico” e consentire il progresso della natura. Per esibire il piccolo Brecken al mondo, il padre chiede aiuto a Saul Tenser vista la notorietà delle sue performance. Riuscirà il governo ad evitare che questo messaggio possa trapelare?
Genesi, sviluppo e separazione sono fasi che contraddistinguono in tutto e per tutto la parabola della creazione artistica. Come evidenziato dall’attrice Léa Seydoux in un’intervista, è rintracciabile l’intento metaforico del film: Tenser volontariamente o involontariamente riesce a far crescere all’interno del proprio corpo degli organi. In questo processo, soffre a causa degli squilibri ormonali che la crescita di un nuovo organo comporta e resiste fin quando l’organo non viene asportato, messo in mostra e catalogato in una “organografia”, un iter che è condiviso dalla stragrande maggioranza delle opere d’arte.
Tenser è l’artista che concepisce nel subconscio l’idea o un concetto che dimora e si nutre della propria interiorità e che infine viene messo al mondo concludendo l’atto di creazione artistica che abbraccia inevitabilmente un abbandono, concedendo la propria opera allo sguardo e alla significazione altrui. La questione artistica viene ulteriormente esplicitata e risolta anche all’interno del film: perché Tenser è da considerare un artista e non più semplicemente un donatore di organi? Se Caprice si occupa di tatuare e asportare gli organi perché non è solo lei l’artista?
Una domanda complessa, insieme alle tante altre questioni e riflessioni che il film pone sull’arte e sulla corporeità. Nonostante le premesse, purtroppo l’impianto strutturale del film non sempre riesce a far decollare una storia che potenzialmente avrebbe avuto molto da dire. Non aiuta nemmeno un budget superiore rispetto a tanti altri precedenti lungometraggi di Cronenberg, si avverte infatti una certa povertà espressionistica e stilistica in Crimes of the Future, probabilmenteaggravata dal fatto che in un racconto fantascientifico solitamente le fondamenta giacciono sul worldbuilding e sulle motivazioni profonde dei personaggi.
Crimes of the Future, sotto questo punto di vista, non ha una funzione descrittiva del mondo e dei suoi esistenti, preferendoli abbozzati: le scene in esterni sono veramente poche e la narrazione procede per interni, come lo spoglissimo ufficio dei due burocrati. Lo stesso possiamo dire dei personaggi che rimangono più che altro stilizzati.
A identificare la mano del governo vi è semplicemente il personaggio di un poliziotto, perennemente in borghese; la burocrazia è rappresentata da due funzionari; dei tanti artisti performativi vengono mostrati solo Tenser e un ballerino greco con tantissime orecchie sparse per il corpo; la corporazione biotech Lifeformware che dà adito ad una risoluzione cospirativa del racconto è riassunta nelle figure femminili dei due tecnici. In tutto questo fanno da sfondo anche tutto il gruppo dei sovversivi che compaiono in pochissime inquadrature, così come anche gli spettatori delle varie performances sempre intenti a scattare fotografie o a riprendere l’happening.
Provocazione o semplificazione?
In un film che vuole riflettere sul concetto di bellezza interiore comunicandoci che è proprio dalla vacuità del nostro corpo che bisogna ripartire per trovare nuovi significati, terminata la visione il peso di questo vuoto risulta ingombrante. La sensazione è che Crimes of the Future, sebbene splenda in alcuni momenti, sia un’opera a tratti stranamente ingenua, che avrebbe potuto essere molto di più. La bellezza concettuale e il design delle macchine quali il letto Orchidbed, la sedia Breakfaster e l’unità autoptica Sark sono interessanti e mostrano macchine sempre più biologiche in un mondo dove il biologico è sempre più macchinico.
Tuttavia, la componente poliziesca della narrazione, l’abbozzatura del mondo diegetico e l’assenza di una coesione tra tutti gli elementi interni lasciano un sentore di amaro in bocca e conferiscono un macchinismo anche alla narrazione. Noi spettatori non possiamo che prenderne atto e visionare comunque un’opera che offre spunti di riflessione. In fin dei conti, sono riflessioni che Cronenberg ha sempre portato avanti e vi segnalo che recentemente, in occasione dell’uscita di Crimes of the Future, il regista ha messo all’asta come token digitale una foto dei suoi diciotto calcoli renali, intitolandola tra l’altro “Inner beauty”. E voi, parteciperete all’asta in ethereum oppure più semplicemente andrete a vedere il suo nuovo film? L’uscita di Crimes of the future è prevista nelle sale italiane a partire dal 24 di agosto.
Recensione a cura di Alessandro Zuccarini
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