The Room Next Door: recensione del Leone d’oro a Venezia 81

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Il maestro del cinema spagnolo Pedro Almodóvar torna in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, dopo aver ricevuto il Leone d’oro alla carriera nel 2019, e lo fa con il suo primo lungometraggio in lingua inglese, The Room Next Door (La stanza accanto). Premiato dalla giuria presieduta da Isabelle Huppert con il premio più importante del concorso, il Leone d’oro al miglior film, The Room Next Door tratta il delicato tema dell’eutanasia con la solita eleganza e ironia tipica del regista, e si poggia sull’ottima prova delle sue due interpreti principali, Tilda Swinton e Julianne Moore.

“Quando si è stati amici una volta lo si è per tutta la vita” sentenziava Titta Di Girolamo ne Le conseguenze dell’amore di Paolo Sorrentino, riferendosi a quello che lui considerava essere ancora il suo migliore amico nonostante i due non si vedessero e sentissero da vent’anni. L’inizio di The Room Next Door è proprio all’insegna del ritrovare un vecchio amico dopo tanto tempo, tornando a reinstaurare quel vecchio legame che sembrava perduto, accompagnato dalla smania di voler recuperare e colmare quel vuoto con racconti e aneddoti.

Da una parte c’è Martha (Tilda Swinton), stimata reporter di guerra, dall’altra Ingrid (Julianne Moore), scrittrice di successo. Il motivo che le fa riunire è triste e tragico: la prima ha un cancro terminale alla cervice, e dopo aver provato varie cure sperimentali non efficaci e stanca di soffrire, ha deciso di voler morire a suo modo prima di venire consumata lentamente dalla malattia. Compra così una pillola per l’eutanasia sul dark web, e chiede a Martha un gesto estremo di amicizia: accompagnarla verso la fine negli ultimi giorni della sua vita, rimanendo con lei nella stanza accanto del luogo designato per la dipartita (una splendida villa immersa nella natura, nei pressi di Woodstock). Le due però hanno rapporti diversi con la morte, e se Martha l’ha vista talmente tante volte in faccia tanto da non farle più paura, Ingrid ne è terrorizzata; come è lei stessa a dire nella prima scena del film, che si apre con un firmacopie del suo ultimo libro, la morte per lei è un atto contro natura, non riesce ad accettare l’idea che qualcosa di vivo non lo sia più. Alla fine, però, l’amore che prova per Martha la spinge a seguirla nel suo ultimo viaggio, accettando anche di essere complice di un’azione illegale, e a farle fare i conti con sé stessa e con qualcosa che fino ad allora aveva sempre negato.

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Ispirato al romanzo Attraverso la vita di Sigrid Nunez, The Room Next Door è un melò composto e di chiara impostazione teatrale (girato quasi tutto in interni), fondato certamente più sulla parola che sull’azione. Fin dal principio è chiaro che il centro drammaturgico del film siano le lunghe conversazioni tra le due donne, che attraversano le stanze delle loro memorie attingendo a fatti e ricordi (spesso messi in scena in maniera stranamente poco elegante e non sempre efficace) nel momento in cui sono chiamate a fare i conti con le proprie scelte di vita. Si aprono così parentesi e digressioni che ci permettono di indagare del passato di queste due donne, e che insieme alla sua ricca dimensione intertestuale (dai quadri di Hopper al Joyce di Gente di Dublino) donano al film una dinamicità non scontata. Laddove poi non arrivano le parole, Almodóvar lascia che a raccontare le emozioni delle protagoniste sia la messa in scena; scenografie e costumi sono il vero cuore di un film che sembra essere stato ideato per un catalogo di moda o di arredamento (un po’ come il precedente corto del regista, Strange Way of Life), e donano un piacere visivo mai fine a sé stesso ma sempre coerente con l’approccio estetico ed emotivo usato.

A muoversi in queste cornici perfette sono due interpreti straordinarie, fra cui svetta sicuramente Tilda Swinton, come sempre aliena, proteiforme, funerea ed elegante, corpo attoriale unico in grado di restituire attraverso segni corporali così forti un’interiorità spiazzante, che stupisce a ogni inquadratura. Le fa da contraltare una Julianne Moore vitale e costantemente in lotta con se stessa, in un balletto irresistibile ed emozionante in cui l’una si completa con la personalità dell’altra, portandoci a voler indagare tutti i loro trascorsi appena accennati. Una recitazione però a volte troppo impostata e di maniera, come se il regista non fosse del tutto a proprio agio con la lingua inglese, lascia scoperto il fianco a qualche passaggio meno fortunato di altri.

Alla lunga, e soprattutto quando deve tirare le fila, The Room Next Door perde un po’ di mordente, non certo aiutato da una sinossi così esile e dallo sviluppo blando, che sembra voler rinunciare fino alla fine a ogni possibile ricaduta nel genere nonostante le varie esche che dissemini lungo il percorso (a partire dalla colonna sonora da thriller dell’ormai solidale Alberto Iglesias). Se l’ultima parte lascia quindi un po’ con l’amaro in bocca, a venire fuori nel complesso è l’esplorazione del carattere più interessante tra le due protagoniste, quello di una Ingrid sempre in bilico tra complicità e terrore, le cui conversazioni con il “terzo incomodo” Damien (un John Turturro in un ruolo breve ma incisivo) non aiutano di certo. Vecchio amante condiviso da entrambe le donne, ora ritrovato in segreto dalla sola Ingrid, Damien è un professore esperto di cambiamenti climatici, convinto che il neoliberismo e la nuova ascesa delle destre stiano accelerando la fine del mondo. Nei dialoghi tra i due (spesso tendenti al didascalico) si nasconde l’idea di allargare una situazione così intima a qualcosa di più universale che riguarda l’umanità intera, e in cui si incrociano anche i postumi della pandemia, un modo per parlare di morte da più punti di vista.

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Eros e Thanatos, pulsioni sessuali (e quindi di vita) e di morte sono d’altronde un tema da sempre centrale nel cinema di Almodovar, che però mai come negli ultimi anni, avvicinandosi forse al tramonto della sua carriera, sembra ossessionato da questa dualità (basti pensare al meraviglioso Dolor y gloria). Alla morte, vista comunque come un passaggio naturale e su cui trionfa il libero arbitrio, risponde con la vita e l’amore per la bellezza e l’arte, che sia il canto degli uccelli o il piacere di godersi un buon film con un’amica (e tra l’Ophüls di Lettera da una sconosciuta e The Dead di John Huston non c’è che l’imbarazzo della scelta!).

The Room Next Door (La stanza accanto) è l’ennesimo tassello della straordinaria carriera di uno dei registi più influenti del cinema contemporaneo. Almodóvar fa i conti con la morte ma sceglie la vita, la rinascita, l’eterno ritorno sotto altre spoglie, valorizzando quello che resta e che lasciamo di noi per il futuro, con un inno pro-eutanasia che è anche un atto d’amore verso l’arte e l’amicizia.

Pur non privo di difetti e sicuramente non tra i capolavori del regista spagnolo, The Room Next Door è animato da un’idea autoriale così precisa e potente che appartiene solo ai grandi maestri, capace ancora di regalare momenti di cinema poetici e struggenti, come una neve rosa che cade, presagio funesto ma forse anche speranza di qualcosa di nuovo. Al cinema dal 5 dicembre.

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