25 anni di Sanacore, intervista a Pier Paolo Polcari degli Almamegretta

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Sanacore degli Almamegretta è uno di quegli album che segnano un prima e un dopo nel sound di una band e di una città. Rimane la testimonianza di un periodo florido per la musica napoletana ed italiana.

Il dub, i contatti con le posse, i temi migratori, l’incontro dei popoli e le promesse disattese di un futuro che ha fagocitato tutto o quasi. Resta la musica incisa in quell’album e la preveggenza che tramite le canzoni già quasi trent’anni fa gli Almamegretta avevano inciso in uno degli album migliori degli anni 90 in Italia.

In occasione della ristampa in vinile con due inediti del disco abbiamo intervistato Pablo, al secolo Pier Paolo Polcari, che ha contribuito a forgiare quel sound ancora oggi potente ed evocativo, ripercorrendo la vita dell’album ma anche i temi di stretta attualità che riguardano lo stato in cui versa il mondo dell’arte.

A distanza di 25 anni Sanacore ritorna alle stampe, un disco che ha segnato una generazione ed un’ epoca. Legato ad una città ma non solo. Che impressioni hai a riascoltare quei brani a quasi trent’anni di distanza? Sono invecchiati bene?

25 anni di Sanacore, intervista a Pier Paolo Polcari degli Almamegretta 1
Pier Paolo Polcari degli Almamegretta

Riascoltare questi brani, quest’album, che è stato così importante per gli Almamegretta, per la crescita e l’affermazione di questa band, mi regala sempre forti emozioni. Li collego ad un periodo cruciale per noi. Fu un lavoro che venne fuori in modo molto spontaneo ma che era frutto del percorso e della ricerca che avevamo compiuto fino a quel momento, e quindi tutto il processo creativo si sviluppò in un’atmosfera bella e consapevole. E poi fu l’album che ci permise di porci definitivamente all’attenzione degli addetti ai lavori e del pubblico a livello nazionale. Ascoltando il bellissimo lavoro di remastering fatto da Giovanni Versari credo di poter dire che tutto il disco sia invecchiato molto bene.

La Napoli e l’Italia in cui quel disco è nato quanto sono distanti e differenti da quelle attuali? Sono migliori o peggiori?

In venticinque anni le cose cambiano, come è ovvio che sia. C’è da aggiungere che gli ultimi tre decenni sono stati davvero determinanti in termini di trasformazione della società. Per quel che riguarda l’Italia mi sembra di poter dire che negli anni ’90 si registravano i prodromi di ciò che poi si è andato estremizzando fino ai giorni nostri. Mi riferisco ad esempio al revisionismo ignorante che si è via via imposto dall’indomani della fine della guerra fredda a colpi di slogan urlati in televisione prima e via internet poi.

Fino a vent’anni fa un Partigiano era un eroe nazionale per tutti, oggi qualcuno (più di qualcuno) lo definisce traditore della Patria. Per non parlare di tutti i discorsi che si fanno sull’aborto, o del populismo dilagante che mi fa ritornare alla mente dinamiche affermatesi in Italia negli anni venti del secolo scorso. Napoli nel periodo dell’uscita di “Sanacore” viveva un periodo di sincero rinascimento quantomeno culturale ed artistico e il nostro album fu una delle “colonne sonore della città“ in quel momento.

Ci sentivamo tutti orgogliosi nel vedere quanta forza creativa e produttiva “up-to-date” si stesse sprigionando dalla città e del riconoscimento nazionale ed internazionale che tutto questo movimento andava ottenendo. Le cose sono poi via via andate spegnendosi e, a parte la cultura “dal basso”, che ci regala sempre e comunque tantissime cose interessanti, la Napoli mainstream che viene presentata oggi, quella che al momento proviamo a “rivenderci”, è nostalgica, intrisa di cliché e facili manierismi, populista per l’appunto.

In qualche modo Sanacore ha guardato al futuro, trattando temi come l’immigrazione e l’unione dei popoli che ora è di stretta attualità. Napoli probabilmente era un punto di osservazione privilegiato per questo genere di tema che ora vive di grossa conflittualità. Oggi è ancora così?

25 anni di Sanacore, intervista a Pier Paolo Polcari degli Almamegretta 2
Gli Almamegretta

Si, con Sanacore abbiamo affrontato temi che si sono poi mano mano, negli anni, rivelati di scottante attualità. E si, osservare determinate tendenze partendo da Napoli ci ha sicuramente agevolato. Napoli, in quanto città storicamente “aperta” o “porosa”, come la definiva Benjamin, è stata e può essere definita tutt’ora una possibile palestra per fenomeni ad oggi necessari ed inevitabili come l’integrazione e la convivenza tra popoli provenienti da luoghi diversi.

Credo però anche che un’osservazione della realtà circostante, attenta e libera da pregiudizi, atta a sviluppare poi una percezione di ciò che sarebbe potuto accadere in seguito, fosse possibile ai tempi, volendola, da un qualsiasi punto di osservazione.

Com’è cambiato rispetto al 1995 il modo di concepire e di ascoltare la musica? Sanacore era un disco aperto al mondo, con sonorità cosmopolite che riuscivano a contaminarsi con l’elettronica, fondendo al contempo la tradizione napoletana con la sperimentazione. Oggi questo tipo di dischi avrebbero la stessa accoglienza?

Il modo di ascoltare musica è cambiato radicalmente. Il modo di concepirla credo si sia solo sviluppato naturalmente nel corso degli anni. “Sanacore” è un disco scritto e prodotto anche secondo le modalità e la nostra sensibilità dell’epoca.

Credo comunque che l’idea di fondere un certo tipo di musica elettronica ed elementi e strumentazione della musica tradizionale, questo modo di fare musica, dopo un periodo di crisi, stia attraversando una fase florida ed interessante. Organic e Global “beats” sono presentissimi nella scena elettronica attuale e queste commistioni stanno producendo cose bellissime. Che poi sono le cose che provo a selezionare nei miei mixtapes della serie Globalista.

Credo sia anche da segnalare il fatto che oramai, in maniera definitiva, sia possibile distribuire la propria musica worldwide e facilmente da qualsiasi angolo del pianeta. Questo ha fatto si che artisti, provenienti da paesi che in ambito discografico (e non solo) erano storicamente svantaggiati, siano potuti emergere. E molti di questi artisti stanno, intelligentemente, mettendo in campo e nella musica che suonano tutto il loro vissuto, tutto ciò che gli arriva dal passato e dal presente dei propri paesi d’origine.

Rispetto ad allora quali sono le nuove frontiere del sound che ricerchi come artista e in funzione della band?

Il mio percorso in qualità di compositore e producer credo sia stato abbastanza coerente. La commistione musicale, la ricerca di un suono che sia “del mondo”, l’utilizzo di sonorità organiche che possano in maniera fluida e naturale incontrare tutto ciò che la tecnologia mi mette a disposizione, la volontà di sperimentare utilizzando ingredienti provenienti dal passato come dal presente, una sorta di “rewilding” musicale, sono tutti elementi che hanno sempre fatto parte della musica che produco e continuano a farne parte. E sono tutte caratteristiche che fanno parte del bagaglio che poi metto anche a disposizione della band.

Hai qualche aneddoto o brano in particolare a cui sei legato in riferimento a questo album degli Almamegretta?

Almamegretta
Gli Almamegretta

Aneddoti ce ne sono tanti, il disco fu scritto e prodotto quasi interamente a Procida, che tra l’altro è un’isola che amo particolarmente. Passammo alcuni mesi in questa villa sul mare, in autunno e quindi è ovvio che collego l’album a quel posto, a quel periodo passato tutti insieme.

Fu emozionante veder crescere questo disco giorno dopo giorno, esattamente come ce lo eravamo immaginato.

C’era il mare fuori la porta, e in questo grande soggiorno il camino acceso da una parte e il mixer col computer, il campionatore e i synths dall’altra. Un’immagine molto “Sanacore” ripensandoci.

In questo momento storico in cui il mondo dell’arte rivela le sue grandi fragilità ma al contempo risulta forse l’unico in grado di dare un orizzonte di rinascita quali credi siano le vie d’uscita dalla crisi per i professionisti dell’arte?

E’ molto difficile dare una risposta considerando che siamo ancora nel bel mezzo di questa cosa. Spero di poter rileggere quest’intervista quando questo triste periodo sarà passato, e voglio visualizzarmi rasserenato dal fatto che tutto sia tornato nella norma.

Per il mondo dell’arte c’è il forte rischio che le realtà più deboli o meno strutturate possano avere difficoltà a resistere a questa bufera. La musica in particolare ha già dovuto soffrire parecchio la transizione digitale che ha ridotto di moltissimo le risorse, in quel caso stava provando a reinventarsi non senza traumi. Bisognerà necessariamente trovare la forza per resistere anche ai disastri che questo periodo si sta portando dietro.

Insisto comunque nel pensare che i vari soggetti che partendo dalla Rete sono diventati oramai potentissimi colossi finanziari, e che hanno sempre usufruito, direttamente o indirettamente, e ottenendoli quasi sempre gratis, di contributi audio-video, debbano fare la loro parte, specie ora.

Raffaele Calvanese
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