Eupnea, Pure Reason Revolution: recensione

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Dopo dieci anni d’assenza dalle scene, dieci anni da Hammer and Anvil, i Pure Reason Revolution sono tornati con un nuovo lavoro, Eupnea, già anticipato dal singolo New Obsession. E’ in uscita per Inside Out il 3 aprile 2020.

Fra le curiosità che l’onda lunga del prog rock degli anni ’70 ha svelato nella sabbia, ci sono anche i Pure Reason Revolution. Che sono giunti alla loro terza fatica – effettivamente non molto prolifici – dal lontano 2003 di attività.

Ecco, i PRR possono essere definiti i più pop del prog. Il loro Amor Vincit Omnia del 2009 possiamo tranquillamente definirlo “l’album che i Muse non sono riusciti a fare”: fusione perfetta fra l’elettronica erede dei lavori dei Kraftwerk e i Porcupine Tree dotati di melodie accattivanti e passaggi non angosciosamente distesi, ma drammatici e dinamici.

Beh, Eupnea risulta un po’ una sorpresa. Solo sei brani: caspita. Il mondo del prog odierno, però, ci ha abituato a ristrettezze nella lunghezza e nel numero delle tracce – Eupnea non è un’eccezione. Ciò che manca, però, in lunghezza, è ampiamente compensato in cura, eccellenza nella produzione, e un songwriting ispiratissimo. Il titolo: l’eupnea è la calma, rilassata – normale – sequenza di inspirazione ed espirazione. Termine col quale l’artwork, simil-Dalì, è decisamente in contrasto.

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Si parte già col duetto Chloe/Jon con il primo da singolo da Eupnea, New Obsession, in cui la componente prog è tralasciata ad essere qualche vaga dissonanza di chitarra elettrica ed una certa alternanza, presente solamente nelle strofa, fra tempi pari e dispari; le voci dei cantanti suonano chiare, chiarissime, protagoniste – il che dà un’impronta fortemente classica al brano, assieme ai synth delicatissimi che ci ricordano tanto del pop raffinato contemporaneo, di Aurora, di SOPHIE (conterranea), e della scena electropop british attuale.  Il secondo singolo nonché prima suite, Silent Genesis, porta ad un livello superiore la già eccelsa produzione del lavoro: in un missaggio atmosferico, evocativo, sognante, ipnotico, la intro trascina l’ascoltatore in un mondo fatto di fluttuazioni quantistiche, di infinitamente piccolo e di filamenti interstellari, con intrusioni, nella struttura del brano, del più recente post rock d’avanguardia dei God is an Astronaut. Ne è però scevro dell’aggressività, laddove la componente emotiva è, invece, dolcissima, decadente e carica di molle tensione, nei vocalizzi di Chloe. Alla lunghissima intro risponde senza interferire distruttivamente il refrain, orecchiabilissimo: l’intero brano è effettivamente costruito come una soundtrack – un soundscape composito – in cui una singola frase musicale viene ripetuta e ripetuta senza mai annoiare. Trascendendo, perfino, in un ben costruito intermezzo jazz/prog classico.

La complessità di Silent Genesis è poi seguita da Maelstrom, che Chloe, inizialmente, gestisce da sola in un cantato semi-lounge cui si affianca una linea di piano retrò – evolvendo in sonorità catchy e contemporanee, upbeat per gli standard della band: ci riporta, per l’appunti, ai lavori pop/neo-psichedelici odierni che allietano le giornate degli amanti del prog, quelli di Jenny Hval e della ben più talentuosa sorella di Beyonce, la bella Solange. Unica nota stonata: la voce di Jon, calda e rassicurante, cade, talvolta, in tremendi scivoloni.

If you see a light in the maelstrom,

Death will be defied

Ghost and Typhoons prosegue nella sperimentazione elettronica nel tema semantico marino da vecchio lupi dei mari, a tinte più fosche rispetto alla rassicurante Maelstrom, con cui condivide la struttura iniziale ma non gli accordi, che appaiono qui diminuiti; le struttura intera è sorretta da un’intelaiatura incredibilmente complessa di archi, un arpeggio di chitarra distante, mentre la batteria di Andrew Courtney mi arrischierei a dire che ricorda un certo Danny Carey nell’approccio geometrico allo strumento. Ci troviamo dunque di fronte ad una mini suite, che raggiunge il suo apice nel secondo “movimento” – sonorità decadenti, mollemente rapide, ed isteriche. La ben più placida Beyond Our Bodies ritorna nei rassicuranti ranghi upbeat di Maelstrom, fluendo lenta come un fiume in pianura in una dolcissima ballad.

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Eupnea è infine chiuso dalla title track, che si connette a Beyond Our Bodies con un synth leggero e le voci di Chloe e Jon che si snodano a cappella con l’uso di un vocoder: fortissima è la componente di psichedelia nella composizione sostanzialmente minimalista della suite, che attraversa complesse armonizzazioni di keyboard e voce, cui chitarra e batteria fungono solo da coloritura.

Se la prima metà di Eupnea è, dunque, minimal e delicata, la seconda metà ricade in sontuose sperimentazioni jazz fusion, impennate di synth, che, sebbene non eccessivamente elaborate, rappresentano il momento più tecnicamente elaborato dell’album – ed è un bene, senza strafare in malinconici ed abbrutenti tecnicismi fini se stessi. Sorprendente è, poi, il ritorno dell’iniziale chorus, che conchiude idealmente in se stesso il brano.

Sequestrando la violenza, nascondendola, imbrigliandola in dolci catene ed infine trasformandola in armonia, i Pure Reason Revolution di Eupnea hanno svolto una grandissima opera di commistione dei loro precedenti lavori, indubbiamente apportando innovazione ad un genere che sa regalare ancora molte gioie.

Giulia Della Pelle
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