Manco, intervista al rocker un po’ bluesman, ma sicuramente cantautore campano

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Manco dice di se: “Potrei essere un rocker, forse un bluesman, ma sicuramente sono un cantautore. Sedicinoni è il mio nuovo album sospeso tra la melodica forma-canzone. Manco potrebbe essere un rocker, forse un bluesman, ma sicuramente è un cantautore e chitarrista sospeso tra la melodica forma-canzone nostrana e le sonorità filoamericane.”

Abbiamo deciso di scambiare quattro chiacchiere con lui per conoscerlo meglio e capire la genesi, oltre che le influenze, del suo progetto discografico.

A distanza di qualche mese dall’uscita del tuo album SEDICINONI sei già in grado di tirare in qualche modo delle somme dall’esperienza di musicista emergente che prova a portare in giro la sua musica?

Ciao Raffaele.
Si e no.
Si e no perché qualcosa è già stato fatto, ma ci sono ancora molte cose in gioco, soprattutto sul versante live, che devono ancora dire la loro.
Per me il live è una parte importantissima, ma credo lo sia in generale per qualunque musicista.
Sicuramente non è facile, ma questo lo sapevo già. Purtroppo il musicista indipendente oggi, se non riesce ad avere la forza per crearsi un team solido attorno, deve ancora fare molte cose da se.
Qui molto tempo è speso non solo per creare, ma anche per organizzare, gestire, pianificare.
A volte è avvilente per questo, ma alla fine la necessità di comunicare e l’amore per quel che fai l’hanno sempre vinta.

Da dove nasce il tuo amore per il genere musicale che porti in giro? Possiamo provare a incasellarlo in una categoria?

Come amo sempre dire in maniera goliardica, è tutta colpa di mio padre. La influenze che ho adesso mettono le radici nella mia infanzia. I viaggi in macchina con mio padre avevano la costante colonna sonora di Battisti, Pino Daniele, Edoardo Bennato, Venditti, alternati a Santana, Eric Clapton, The Eagles, Led Zeppelin, America. E quindi dopo anni il risultato è quello che sono adesso come musicista (o quel che almeno provo a fare). Una miscela tra il cantautorato di casa nostra e musica folk/blues/rock di matrice prevalentemente americana.
Quindi potremmo dire che è un cantautorato folk/rock con tanti colori blues.

I nomi di un artista straniero e di uno italiano che ti hanno ispirato nel tuo modo di fare musica.

Oh cavolo, questa è difficile.
Ne vorresti sempre dire tanti perché non c’è n’è mai veramente uno solo.
Piazzo Chris Stapleton per gli stranieri e il vecchio Ligabue (1990-2010 massimo) per gli italiani.

In questi mesi sei stato anche all’estero, come si pone il pubblico straniero rispetto a quello italiano nei confronti della musica live e degli artisti meno conosciuti?

In realtà, ora che ti sto scrivendo non ho ancora tenuto concerti. Avrò qualcosina di molto carino intorno Burxelles e a Parigi alla fine del mese. Ma in generale, in fase organizzativa, ho trovato un interesse per gli italiani da parte degli italiani all’estero. Questa cosa mi ha un po’ intristito. Ho avuto per anni sempre il mito dell’estero che valorizza di più la musica senza barriere o pregiudizi, ma alla fine le accoglienze qui le ho avute dagli altri italiani, dove infatti mi ospiteranno per qualche concerto!

Qual è stata la critica più costruttiva che ti è stata mossa da quando sei uscito col tuo album?

In realtà ce ne sono state due che ricordo, perché molto precise.
A volte sai, hai pareri generici che dicono tutto e niente, invece le cose chiare mi piacciono.
Una critica mi è stata data Luca Maria Stefanelli dei Kafka sulla Spiaggia, che mi ha fatto sinceri complimenti per il lavoro, ma che trovava i cori del ritornello finale del brano “Foto Panoramica” un po’ ‘esagerati’. Il tempo gli ha dato ragione, perché adesso sono d’accordo con lui.
Scenario simile per la critica che mi ha fatto Michelangelo Bencivenga di Blindur, dicendomi che le chitarre erano un po’ troppo dentro, dovevano essere più fuori e più “scostumate” come usiamo dire in gergo. Anche con lui mi sono trovato d’accordo.
Ma me l’ha detto in occasione di un live e infatti si è ricreduto, dicendomi che il live gli è piaciuto di gran lunga di più. Più “scostumato” per l’appunto!

“Necessità infernale” è il tuo ultimo singolo, vuoi raccontarci la genesi del brano ed il perché della scelta di questa canzone rispetto ad altre?

Innanzitutto è una delle mie canzoni preferite dell’album. L’ho praticamente vomitata. Io sono molto lento nello scrivere generalmente, ma questa l’ho scritta in un pomeriggio, se non consideriamo i soliti aggiusti di rifinitura che fai dopo in maniera analitica e poco emotiva.
Quindi è un brano che sento molto di “pancia”, anche durante il live.
Poi da quando è uscito l’album, tra chi ha ascoltato il disco o il live, è la canzone che ha riscosso più feedback positivi. Voi Federica Vezzo di Federa & Cuscini, di cui sono molto amico, mi ha praticamente quasi obbligato a farne un singolo, quindi non ho potuto dirgli di no! Non a caso ne ha curato la grafica….

Che cosa dobbiamo aspettarci per i prossimi mesi?

Live!
Tanti live.
Ci sono un bel po’ di cose belle e stimolanti.
In Campania, toccando aree e club mai esplorati prima d’ora, sia fuori ragione, con delle cose a Roma e in Lazio e anche in altri posti. Ma dirò tutto a tempo debito dai miei canali.
Come puoi immaginare è ancora tutto work in progress.
Ma sicuramente possibilità di poter uscire fuori dai confini regionali, se non addirittura provinciali (che come sai non è mai facile), è una delle cose che mi stimola di più.
Beh, ci vediamo in giro!

Raffaele Calvanese
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