My Dying Bride – The Ghost of Orion [Recensione]

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Uscirà il 6 marzo per Nuclear Blast il nuovo album della band inglese My Dying Bride, “The Ghost of Orion”. L’album è stato registrato tra il dicembre del 2018 e l’agosto del 2019, e ci porta ad affrontare un viaggio spettacolare, con tante emozioni e facendoci distrarre dalla vita di tutti i giorni

All’interno delle lunghe canzoni contenute nel nuovo album dei My Dying Bride, “The Ghost of Orion” c’è qualcosa che ti fa rimanere “incollato” alle cuffie per tutta la durata delle lunghe tracce, senza farti neanche rendere conto della loro effettiva durata. Potrebbe essere magari l’atmosfera emotiva creata dalle varie canzoni, magari, più semplicemente, il modo in cui sono costruiti i riff. Insomma c’è quel qualcosa di spettacolare che rende questo album una delle cose più rilassanti ed emotive nella vostra vita.

Undici tracce di cui tre sono delle intro, che completano un album al dir poco immersivo, in cui ci si riesce a concentrare non tanto sulla lunghezza della canzoni ma su quanto ci si riesce a farsi trasportare.

Che siano i dieci minuti di “The Long Black Land” o di “The Old Earth” oppure dei due minuti di “The Woven Shore” (una delle tre intro dell’album) riusciamo comunque a capire quanto in questo album siano importanti quelle lunghe ripetizioni dei riff durante le varie tracce o anche di quanto siano importanti le linee vocali ben “posizionati” all’interno di ogni traccia. E già dalla prima traccia ci rendiamo conto di quanto tutto questo sia vero.

La prima traccia è “Your Broken Shore”, costruita sulla base di due riff che si amalgamano perfettamente alla linea vocale di Aaron Stainthorpe (uno dei tanti punti forti dell’album). Una canzone che scorre perfettamente, e presi dall’atmosfera della canzone arriviamo alla seconda traccia, ovvero “Tired of Tears”. Ed è grazie a questo cambio di traccia che viene fuori un altro punto forte dell’album. Ed è quello di avere tracce talmente ragionate bene da non farci accorgere neanche del cambio della canzone. E’ tutto costruito per far sì che le undici tracce dell’album sembrino tutti un’unica traccia.

Con la intro “The Solace” si apre la seconda parte dell’album. La “prima” traccia di questa seconda parte è la prima delle due tracce di dieci minuti, ovvero “The Long Black Land”. Una traccia che rimane fedele al titolo e che ci porta in un viaggio su questa “terra nera”, grazie anche alla divisione in due parti della canzone, il che rende la traccia ancora più immersiva. Arriviamo a “The Ghost of Orion”, title-track dell’album e un’altra intro che ci porta all’altra canzone più lunga dell’album, ovvero “The Old Earth”.

My Dying Bried

L’album dei My Dying Bride arriva alla sua fine con l’ultima intro “The Woven Shore” seguita dall’ultima traccia “To Outlive the Gods”, molto simile alla prima traccia, la cosa giusta per la chiusura di un viaggio mentale guidato dalle undici tracce di questo splendido album. Un album che probabilmente riuscirà a convincere chi non ama il doom e le sue lunghe canzoni, come nel mio caso, un album che mi porta ad approfondire la band, sperando in altri tanti viaggi.

My Dying Bried
Marco Mancinelli
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