Belvedere di Galeffi: recensione

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Belvedere è il nuovo album di Galeffi, uscito per Universal Music Italia, il 20 maggio 2022, seguito di Settebello – uscito in piena pandemia.

Galeffi non vuole parlare, ma solo cantare e suonare. Tutto quello che ha da dire lo si deve trarre da lì e bisogna farselo bastare. Questa è la prima cosa che si capisce quando lo si vede in concerto e l’ha sottolineato anche l’ultima volta che è passato da Milano per Spaghetti Unplugged. Una volta che ha cominciato a suonare non ha problemi a chiacchierare, perdersi in qualche descrizione delle canzoni e prendersi la confidenza di rivolgersi al pubblico o sedersi per terra. Sul palco è a casa, è perfettamente nel suo contesto, appena la musica si ferma non vede l’ora di andarsene. La fortuna di chi spera di poterlo conoscere è che mette il cuore nei suoi brani: la sua città, le se melodie e i suoi testi dipingono quadri così cristallini da lasciare l’illusione di aver passato qualche ora con lui sul divano, magari con una sigaretta e un bicchiere di vino, a chiacchierare della vita. Belvedere esce il 20 maggio, il giorno dopo il suo compleanno, in seguito a una promo portata avanti su palchi qua e là e l’uscita di tre singoli. Un sogno è la canzone di apertura: i toni delicati tipici del cantante trasportano in un’atmosfera onirica, ma malinconica. “So che ritornerai come una melodia […] Ho bisogno di te sulla terra, anche se tu di me non hai capito nulla”: questo brano è un’ottima porta che si apre sui temi che verranno ripresi più avanti e sui quali Galeffi è sempre maestro nel parlare. L’incomunicabilità di amori che funzionano, ma per qualche motivo falliscono, la differenza nei modi di amarsi che tante volte si cerca di nascondere per non far finire qualcosa di bello. Il primo brano tradizionalmente è il pezzo bomba che rallegra e mette nel mood dell’ascolto: Galeffi gioca in casa sapendo che il suo pubblico ascolta alla perfezione solo dopo che ha già cominciato a piangere.

Il secondo brano, Dolcevita, è uno dei più riusciti: è il primo amore che non si scorda mai, che “ricorda il 1900”. Le prime scoperte, le guerre, ma soprattutto la pace e il dolore di averla persa. Una canzone da ascoltare col vento tra i capelli in una serata d’estate, da cantare a squarciagola: Dolcevita, dolce notte, dolcemente mon amour.

Asteroide riprende le metafore oniriche con riferimenti a pianeti e galassie introdotti debolmente in Un sogno: anche laddove le melodie possono sembrare ripetitive, è impossibile non innamorarsi dei testi. L’artista racconta l’esperienza dell’amore come il viaggio più confortevole conosciuto da tutti: quello del piccolo principe, che scopre a poco a poco le cose più semplici e vedendole con occhi nuovi se ne innamora. “Ed in mezzo a questo buio puoi adesso vedo solo te, che mi spegni la luce e mi fa sognare” – in una stanza l’universo, in una persona tutto.

Leggermente non arriva a sorpresa per i fan, che hanno avuto l’opportunità di sentirla ai live mentre piano piano diventava quella che è ora. Il titolo si adatta perfettamente ai toni e al ritmo della canzone, che ricorda uno dei suoi più grandi successi, Tazza di te. Anche questo brano riprende il filo conduttore dell’amore che fa sembrare ogni spazio infinito, “da Lungotevere fino a Cartagine”, “oltre le nuvole”…

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In questa casa è uno dei brani migliori di Belvedere: non si parla di una relazione in corso, ma della riflessione su una passata. L’artista ripensa ad errori fatti nel passato e lamenta di aver perso una persona importante. Una collezione di parole che fa bene sentire, perché tutti conoscono qualcuno che merita 30 anni di galera per non aver creduto più a voi. È bello anche che finisca con “Porca miseria”, perché alla fine quando si sta male si torna sempre ad imprecare come gli anziani: con mestà.

San Francisco ricorda brani del primo Cesare Cremonini: il motivetto rimane in testa per tutto il giorno mentre il testo non è dei più riusciti, ma è comunque molto carino. Sono sempre vive le immagini che riportano al cielo e qui appare una delle più belle: “Pensa un po’, per la Luna siamo noi lo spettacolo”.

I due brani successivi sono Cinema Fantasia e Divano Nostalgia, due titoli che comunicano immaginari definiti anche se personali. La prima è introspettiva, malinconica e nostalgica, come le vecchie foto dei cinema mezzi vuoti illuminati solo dalla luce dei proiettori. Un film di Tornatore, un giro in macchina da solo nei luoghi dove prima si girava insieme. La seconda è stata accompagnata da un video girato qualche giorno prima a Milano ed è già da qualche tempo nel cuore dei fan, che la sanno già a memoria appena la introduce sul palco. “Mi hai lasciato così come butti i vestiti per terra, […] non ti ho cambiata per niente, lo so”: anche qui si ripensa ad una relazione dal bilancio negativo, ma il tono è diverso. Ci sono anche rassegnazioni serene e questo brano strappa irrimediabilmente un sorriso, quasi a dire “vabbè”.

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Tua sorella esula un po’ dai toni soliti dell’artista, ma sa farsi piacere: qui si vede il latin lover di Camilla e che si intravedeva quasi a vergognarsi in In questa casa. Un brano che sa di gioventù e spensieratezza, di sesso senza pensarci e senza alcuna conseguenza. “Domani è un altro giorno, chissà se mi innamoro di te”.

Appassire è stato il primo singolo da Belvedere: la musica e il testo malinconico ricordano il Galeffi di Settebello, ma ne mostrano l’evoluzione naturale. È bellissima la metafora della partner come una pianta che si lascia appassire, forse una delle più forti presenti nell’album. Un brano Leopardiano, una ricerca della felicità costante che però spesso porta ad ottenere il contrario e a non capire: sono i momenti di sconforto dei vent’anni, quando non si capisce perché tutti ce la facciano tranne noi, quando sembra che tutti riescano ad andare avanti e fare tutto e noi rimaniamo incollati dove eravamo prima. Anche Due Girasoli, rilasciata lo stesso giorno, è malinconica e lenta: cade la neve a Notre Dame, cade la neve dentro l’artista che guarda fuori il mondo muoversi e stare fermo e si abbandona allo sconforto che diventa confortevole.

 L’ultimo brano di Belvedere, Malinconia mon amour, è un perfetto compendio dell’album e dell’artista. C’è il francese, c’è la malinconia, c’è l’amore che dà tutto: forse in questo brano c’è davvero tutto Galeffi. “Anche se non so cos’è, anche se non credo in Dio, quando sei vicino a me non esiste più nessuno”: un po’ il Connor di Sally Rooney, d’altronde come lui millennial intellettuale e introspettivo, così Galeffi si mostra mentre chiude quello che è un altro bellissimo album.

Non è possibile pensare di conoscerlo, ma è inevitabile affezionarvisi. Non è possibile inserirlo in una sola categoria, perché la sua musica spazia ed è influenzata da stili che esulano dal pop ma che sono apprezzati più dai musicisti che dagli ascoltatori.

Questo Galeffi sicuramente lo sa e lo mette in pratica in Belvedere, ma è prerogativa delle persone speciali e complesse saper scegliere chi meriti di scorgerne più sfumature e chi si deve accontentare delle superfici.

Giulia Scolari
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