Brain Pain è il settimo album degli americani Four Years Strong, ultimi paladini (nonchè regnanti) del pop punk americano. L’album è uscito Pure Noise Records in febbraio 2020.
Spesso, da amanti della musica o critici, o gente che ha studiato teoria musicale per troppo e poi ha finito per fare tutt’altro nella vita – qualunque riferimento a fatti o persone è totalmente casuale – ci si trova ad ascoltare un po’ di tutto ed un po’ di niente.
Qualche anno fa, quando iniziò la mia avventura nel giornalismo parallelamente a quella da ricercatrice, scoprii che la vena punk rock americana di inizio ’00 è ancora stupefacentemente viva. I Sum41, ad esempio, non hanno attualizzato il loro sound – il che può essere visto come un pregio o un difetto, e continuano a proporre le stesse sonorità che ce li hanno fatti amare. Il che non attrarrà nuovi fan, ma di certo non te ne fa perdere, perché i nostalgici sono fra noi. Stesso si dirà per i Blink 182 o i Rise Against, tutte band con le quali costoro che vi andrò a presentare hanno svolto tour assieme.
E poi ci sono i Four Years Strong, che, di tutta la gente di cui sopra, hanno raccolto l’eredità. Fondati nel 2001 (non proprio dei novellini) raccolgono l’energia del pop punk oramai estinto fondendolo col più moderno metalcore dei Bring me The Horizon (qui la recensione di amo), e svolgono esattamente il ruolo che vogliono avere: divertire. Far passare del tempo godibile e di qualità all’ascoltatore, farlo cantare, ballare, distrarre. I loro concerti sono un tuffo nel passato e, sebbene non propongano nulla di rivoluzionario, hanno conquistato una grossa fetta di pubblico e critica.
Me compresa, perché il loro nuovo album, che arriva a distanza di cinque anni dal precedente omonimo e a dieci dal capolavoro Enemy of the World, intitolato Brain Pain, è un concentrato di energia, classe, fruibilità, che non può far altro che conquistare tutti. Ed è una vera e propria capsula nel tempo di un genere che non morirà mai.
Sin dalle prime battute della opener It’s Cool si capisce che, stavolta i Four Years Strong, hanno deciso di puntare su sonorità piene ed esplosive, senza un attimo di riposo – esattamente come la vita di un malato d’ansia e depressione è. Affrontare una tematica simile nel punk è difficoltoso, ma la musica divertente, colorata, e caotica di Brain Pain sembra colpire in pieno: Get out of My Head, e le voci che tutti (o quasi) sentiamo. Il tappeto sonoro pop-punk perfettamente disegnato evolve spesso in bridge drammatici, che spezzano e fanno sì che i brani non siano monotoni. Altrettanto degne di nota sono Crazy Pills – che, con un chorus trascinante, si candida ad essere nuovo singolo da Brain Pain – e il singolo Talking Myself in Circle.
Quest’ultimo brano è degno di una più attenta analisi: sorretta da un bel riff di basso che ci riporta ai tempi andati, tira fuori da noi quanto di più emo è rimasto, bruciandolo in un catartico vaffanculo all’autoimposta depressione. Primo singolo azzeccatissimo.
Brain Pain prosegue su un livello di produzione e di mixing decisamente elevato: non ci sono mai cadute di stile o di pathòs, e la sensazione di divertimento e scazzo è sempre presente.
La stupenda title track e l’altrettanto maestosa Seventeen ci portano al core di Brain Pain: un male generazionale, che si allontana dal punk degli anni ’70 e diverge anche da quanto espresso in Enemy of the World. Quello che ci capita è fondamentalmente ineluttabile: si può accettare, si può ballare sotto la pioggia. Seventeen, riff malinconici, è la ribellione di un adulto che ricorda i suoi anni verdi, mentre The Worst Part About Me introduce alcuni stilemi musicali più puramente -core (dai momenti più recenti dei Bring me The Horizon) che ancora mancavano in Brain Pain: doppia cassa, grande intensità emotiva, e risulta il brano tecnicamente più pregevole dell’album.
Vent’anni di carriera e ancora non sono stanchi: i Four Years Strong non hanno intenzione di lasciar cadere la corona da re del punk rock moderno, attualizzato, reso profondo e reso catchy. Brain Pain ci dà, inoltre, una lezione di songwriting: come rendere fruibile, ed accessibile a tutti, un genere che ora è dimenticato. Ma che ebbe, vent’anni fa, un risalto enorme. Una capsula del tempo, per tutti noi, per tutta quella generazione che ha dimenticato che, un tempo, la musica veniva effettivamente suonata e non campionata.
I keep repeating the same thing without any meaning
(Without any meaning)
Just hoping that it takes me back to the beginning
I just keep talking myself in circles
Talking round and round in circles
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