È Finita la Pace di Marracash: se lo dice lui… [Recensione]

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È uscito ieri (13 dicembre) a sorpresa “È finita la pace”, l’ultimo album di Marracash che va a completare la trilogia iniziata con “Persona” e “Noi, loro, gli altri”.

Un progetto formato da 13 brani di cui è l’unico autore e interprete che analizzano con una lucidità unica la realtà, e vanno ascoltati (e riascoltati) per bene.

Mi piace pensare che lanciare un album a sorpresa non sia sempre una mossa di marketing à la Taylor Swift né un modo per sottolineare come una volta diventati “big l’hype non serva più. A volte c’è una ragione per lanciare a un pubblico che perde l’interesse quando i TikTok durano più di due minuti (colpevole) più di dieci brani senza avvisare: a volte, come credo in questo caso, è una metafora.

“È finita la pace” di Marracash non poteva che uscire a sorpresa perché parla di un mondo che costantemente presentiamo come qualcosa di arrivato a sorpresa. Com’è che sono questi i prezzi? Com’è che abbiamo questo governo? Com’è che ci ritroviamo a non aver tempo per vivere perché finiamo di lavorare sempre due ore dopo quelle scritte sul contratto?

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È finita la Pace è il terzo episodio di una trilogia iniziata con “Persona”, il suo album più intimo che ha completamente rivoluzionato il rap moderno ricordando ai protagonisti che avere un cervello e usarlo non è un optional, e continuata con “Noi, loro, gli altri”. L’obiettivo, chiaro fin dall’inizio, era fare un compendio della società: partire dal microcosmo (la persona), per poi descrivere il gruppo (la coppia, la famiglia, gli amici) e infine la società tutta.

Non è il primo ad aver cercato di raccontarci senza sconti – già il giovanissimo Kid Yugi a inizio anno aveva fatto un ottimo lavoro – ma è quello che, immancabilmente, riesce meglio, e non solo perché appunto dedica a questo progetto diversi anni (e oltre 30 brani). Credo che a renderlo L’Unico sia una combinazione di elementi.

Prima di tutto, la sua vita privata: “Persona” è uscito nel 2019, all’alba dei suoi 40 anni, notoriamente quel periodo della vita in cui gli uomini escono dall’adolescenza. In questi cinque anni gli è stato possibile guardare alla sua vita e fare bilanci senza più l’illusione di potersi reinventare, di poter ricominciare da zero: il dado è tratto, questo è quello che ho e questo è quello che mi manca. Dove si va da qui?

Inoltre, se negli ultimi anni il numero di rapper, trapper e wannabe superstar protoanalfabeti sono indubbiamente aumentati, per gli emergenti è aumentata la competizione mentre per “gli OG” (come lui, Guè Pequenho, Salmo, Gemitaiz…) si è creato per la prima volta un vero e proprio Olimpo.

Se l’adorazione del pubblico e la nuova istituzionalizzazione della sua persona hanno portato indubbiamente sulle sue spalle un peso diverso (non privo di fastidi), è pur vero che ciò gli ha dato una responsabilità che non poteva ignorare.

Un’altra conseguenza di questo nuovo environment all’interno della scena rap è che – volenti o nolenti – la narrazione si deve evolvere. Parlare della calle con la casa in centro, ricordare i giorni dello spaccio a quasi quarant’anni (e con figli in molti casi), risulta poco credibile e ridicolo. A un certo punto non si ha più l’età per spararsi nei parcheggi e questa consapevolezza Marra ha cominciato ad averla (ancora: a differenza di molti).

È Finita la Pace di Marracash: se lo dice lui... [Recensione] 1

Giunti alla fine di questa trilogia ambiziosa ma infine quanto più di vicino alla perfezione, non posso che dirmi estasiata per l’uscita di questo album. Ammetto di aver apprezzato sia “Persona” che “Noi, loro, gli altri” – soprattutto il secondo perché ammetto di essere una radical chic – ma di esserne rimasta sempre un filo delusa. Molte riflessioni erano davvero precise, mentre altre le ho trovate deboli (anche un po’ da boomer, scusa Marra). Penso, nel secondo che è quello che ho ascoltato di più, a brani come “Cosplayer”  e “Gli altri (Giorni Stupidi)” (veramente Elodie non gli ha mai spiegato la metà dei concetti di cui finge di non aver capito niente?).

Ovviamente fare un bilancio senza sconti dei propri sbagli è un’operazione a dir poco ambiziosa: a un certo punto persino il rapper più cuor di leone sente il bisogno di proteggersi, di alternare un brano come “Dubbi” a uno in cui ricorda che comunque lui mena.

Fa meno paura parlare degli sbagli di tutti, e del risultato degli sbagli di altri che ora paghiamo come società. Ecco perché credo che “È finita la pace” sia il meglio riuscito tra i tre: è qui che davvero Marracash non si mette mai paletti, non si contraddice mai, ci regala un ritratto severo di noi, delle nostre vite, di quello che ci aspetta. E soprattutto ci sbatte in faccia come ci siamo arrivati: è una sorpresa, ma – sorpresa! – se ci sorprendiamo è perché siamo i soliti bufu.

Ci serve a tutti un “Power Slap”, come dice all’inizio, e non esita a darlo con “Crash” – in cui non prende quasi fiato per indicare tutto ciò che non funziona eppure accettiamo ogni giorno. Dagli eccessi del capitalismo che ci rendono sempre più poveri e infelici (“Crash”, “Factotum”, “Pentothal”) ai nuovi problemi relazionali di una generazione costantemente in limbo e un’altra che non conosce l’intimità se non mediata dal digitale ( “Gli sbandati hanno perso”, “È finita la pace”, “Soli”, “Mi sono innamorato di un AI”).

È finita la Pace è un album di cui avevamo tutti bisogno, ma che credo sia un vero regalo per i fan del rap che ha perso la bussola da troppo. È un genere che nasce dal basso e che ha portato i suoi migliori interpreti a raggiungere vette alte di soldi e successo, ma che mai come negli ultimi anni si è ritrovato a inneggiare a un mondo che niente ha a che fare con la realtà della gente, la vera vita che non è né quella della strada né quella dei borghesi (che poi non esistono più, chiamiamoli ricchi).

Un vago sentimento anticapitalista dovrebbe essere intrinseco allo stile rap, mentre abbiamo assistito per almeno dieci anni ad eserciti di cretini con collane in 24k raccontare i soldi fatti e gli appartamenti comprati dimenticandosi completamente di non stare parlando realmente con nessuno.

Il rapper non dovrebbe essere una figura aspirazionale, ma il portavoce della realtà scomoda che non vogliamo vedere: dovrebbe parlare del disagio, certo, ma non romanticizzandolo (colpa in cui è incorso lo stesso Marra, come detto sopra). La street credibility altro non è che la possibilità di sedersi al tavolo delle Mean Girls e vestirsi di rosa il mercoledì se non serve a mediare tra due mondi cercando di offrire ad entrambi nuove prospettive. Se non mira ad aumentare il benessere e la consapevolezza di tutti, per cambiare davvero le cose. Tutto questo non esiste più da un pezzo, e invece sarebbe ora di riportarlo in auge. Non serve l’ennesimo giovanotto uscito da un Bronx immaginario e che non ha gli strumenti per comprendere, forse serve davvero un uomo di 45 anni che ha capito che i soldi davvero non fanno la felicità, ma nemmeno creare una famiglia rischiando di tramandare i propri traumi. Se c’è davvero una generazione che ha bisogno di capire le ragioni del suo malessere, serve che certe cose le dica Marra: l’importanza della coscienza di classe, del porsi domande sul perché non siamo più in grado di trovare qualcuno con cui passare la vita, della rabbia che ci diciamo non abbia nome e invece ce l’ha, è rabbia di classe.

Forse, prima di finire a sparare ai ricchi per strada, serve che qualcuno fornisca gli strumenti per capire il mondo. Ce lo dice Marra in È finita la Pace : ascoltiamolo.

Giulia Scolari
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