Intruder, Gary Numan: recensione

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Intruder è il nuovo album di Gary Numan, leggendario cantautore new wave, uscito in maggio 2021 per BMG/The End. Il nostro pianeta ne è il furioso protagonista.

Passano gli anni, i decenni, i governi cambiano, la musica si fa liquida così come la società – profezie di Bauman che si avverano – ma Gary Numan è sempre lì. C’era, immobile sotto la pioggia degli eventi che correvano, mentre l’URSS cadeva; era là, quando Berlino venne riunita. Era là per le guerre del Golfo, era là per le ultime propaggini del punk e per la nascita della new wave. Ed era lui, animo sensibile, a fondere dure sonorità elettroniche con la cultura goth, col decadentismo.

Ricordato dal grande pubblico dei nati negli anni ’60 per Are Friends Electric, Gary Numan è un compositore estremamente prolifico. Sembra non avere tempi morti, nella sua capacità creativa. Sfornando un album circa ogni quattro anni. Volendo tracciare un rapido affresco dell’uomo Numan, abbiamo di fronte un artista riservato, ancora legato all’estetica anni ’80 punk/goth che ha contribuito a creare – e ora ci si straccian le vesti per Damiano dei Maneskin con un po’ di trucco sugli occhi. Ha sposato una fan, ha tre figli. Si guadagna, dunque, onestamente da vivere con un progetto che è unico e apprezzatissimo. Sull’ultimo aggettivo beh, diciamo, apprezzatissimo nella sua nicchia. I successi commerciali di The Pleasure Principle del 1979 sono infinitamente lontani. Eppure, Gary Numan è ben noto fra i cultori della musica della mia generazione, complice anche la passione che Hideo Kojima coltiva per il cantautore.

Intruder, uscito in maggio 2021, è dunque l’ennesimo originale lavoro di Gary Numan, cristallizzato nel suo abito post-apocalittico, abbigliamento da stalker di superficie di un mondo devastato, trucco pesante – un artificio che rende splendido il volto di Numan, un’opera d’arte decadente.

E la decadenza, nella poetica di Numan, ha una declinazione ben precisa e sostanzialmente unica: l’angelo distruttore dell’Inquinamento ha invaso il mondo, e costretto, fra radiazioni e piogge acide, l’umanità ad una vita miserabile. L’ambientazione di tutte le sue opere è, dunque, questa: lande desolate, malinconico ricordare un mondo che non esiste più, mentre demoni mutanti dalle ali avvizzite solcano i cieli. In Intruder, al contrario, non è l’umanità disperata a parlare, ma il pianeta che abita.

La Terra è la protagonista del nuovo album di Gary Numan: una terra sofferente, che urla tutto il proprio odio verso l’intruso che si è intrufolato, prendendo abusivamente possesso, di lei – Intruder. Ispirandosi ad una poesia scritta dalla figlia undicenne, Gary Numan compone un album che è più potente, forse, dei tanti speech di Greta Thunberg: il collasso ecologico della Natura che ci ospita.

Così Intruder inizia con Betrayed, synth taglienti e low-key, ma con una forte tendenza all’epico, con la Terra che narra la sua disperazione: i suoi figli, cui ha fornito luce, aria, cibo, l’hanno tradita, e la stanno uccidendo. The Gift, seconda traccia, testimonia ancora più fortemente come questo pianeta stia soffrendo e, se avesse una coscienza, essa sarebbe in subbuglio: interferenze e segnali disturbati, una creatura che sta soffocando.

At the end when your God forgets you

Does a moment of truth touch the heartless?

Does it take, take your breath away?

Ancora più crudele, sebbene si muova sulle corde della malinconia più che su quelle del delirio, I Am Screaming, ballad che è compendio di quanto espresso nelle precedenti tracce, e punta di diamante di intruder. Il brano successivo, la title track Intruder, scopre le carte ed accusa apertamente l’umanità per ciò che sta facendo alla terra, piccoli alieni invasivi. Come nelle operette morali di Leopardi, è la Natura stessa a lanciare una crudele invettiva verso chi ha cercato di domarla, l’ha stuprata, ed ora, mentre lei si vendica, la incolpa nuovamente. Tornato, siccità, inondazioni, pandemia: l’anima delirante e incattivita del pianeta gode di ciò che l’umanità patisce.

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Ci sono tantissimi Massive Attack e Nine Inch Nails in Intruder, evidentissimo in This World is Not Enough, che, mossa dall’ateismo che caratterizza da sempre Numan, fa dire alla Terra come sia furiosa che l’umanità, invece di adorare lei, reale, capace di aiutarla ad evolvrsi e a vivere in armonia con essa, preferisca riferirsi ad un Cielo lontano e distante, ad un dio Sole silenzioso, invece che a ciò che calpesta ogni giorno.

I am real

And Heaven is the world you know

La Terra parla al suo funerale in A Black Sun, ballad che è contraltare luttuoso di I Am Screaming, mentre l’acida traccia nu-metal The Chosen insiste ancora sull’invettiva che la Terra lancia ai suoi supposti caregiver, che l’hanno tradita: un giardino in fiamme. And It Breaks me Again è uno swing malinconico, uno sguardo su rovine fumanti, le parole che restano incollate in bocca e non sanno evadere. Saints and Liars è invece un curioso esperimento, in quanto sostanzialmente identica a The Promise, famosa traccia di Gary Numan, da The Fallen del 2018 – personalmente, pensavo avesse inserito un reworking. Now and Forever si muove fortemente nineties (c’è molto dei Radiohead), mentre The End of Dragons, fantasy, torna per un istante nel goth-rock che rese famoso Numan, con la Terra che, con minacciose parole, pregusta vendetta, in una versione perversa di Dungeons and Dragons. Vendetta che il nostro pianeta poi annuncia nella finale When You Fall – quasi isterica e con una punta di sociopatia e scollamento dalla malinconica empatia che ha caratterizzato l’anima del pianeta vivente ad inizio Intruder. Dunque, il nostro Pianeta colpirà e lo farà con tutta la sua forza, contro di noi. E, di nuovo, abbandonata, dall’umanità che non la adora più, perché adora Lui: l’entità che abita quel Cielo irraggiungibile. Un’entità che ride di quei mostriciattoli disgraziati.

In the dark, when you fall, does He wait for you?

Can you hear in the quiet? Does He whisper to you?

In the storm, when you scream, does He call for you?

But can you see just for a moment that He’s laughing at you?

I suoni sviluppati in intruder sono estremamente unitari, quasi come fosse, per l’appunto, sempre la stessa voce a parlare, con frequenze inudibili – la Terra. Ed è come se le tracce fossero tutte legate da un invisibile filo che sono i pensieri sconnessi di una mente sull’orlo del baratro, la follia senza ritorno, un abisso oscuro di disperazione. Che, dunque, si estrinseca, nel mondo reale, con la violenza di un tornato, con l’assordante rombo del vento di un deserto che prima non esisteva: polvere, polvere, pioggia e distruzione. Sebbene, dunque, non eccezionale dal punto di vista compositivo, in quanto non apporta significative innovazioni alla musica di Gary Numan, Intruder fa compiere un balzo avanti invece alla poetica del cantautore: lo inscrive su una scia che unisce Bob Dylan al punk, passando per l’attuale generazione di giovani, capaci di recepire – sebbene non tutti – i messaggi da lui lanciati e in grado di apprezzare i molteplici piani di lettura delle sue opere e della sua figura tutta. Un album che può colpire come passare inosservato: tutto sta nella ricettività dell’ascoltatore.

Giulia Della Pelle
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