Jackpot Juicer, Dance Gavin Dance: recensione

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Jackpot Juicer è il nuovo album, uscito il 29 luglio per Rise Records, dei Dance Gavin Dance, band originalissima e mai banale.

Con un brano acustico di appena poco più di 30 secondi si apre il secondo album dei Dance Gavin Dance, Jackpot Juicer. La band di Sacramento aveva raggiunto le classifiche 2 anni fa con AFTERBURNER, uscito solo in versione digitale. “Are you sleeping in the woods? Are you sleeping like you should?” scream Tilian appena dopo, ovvero appena comincia il vero brano di apertura: Cream of the crop. Non lasciano spazio all’immaginazione, non censurano le scomode verità sui retroscena del mondo della musica. A chi li ha aspettati, rispondono subito, prima di dire qualunque altra cosa: loro non si limitano a fare musica, la vogliono fare bene; meglio uscire con una bomba dopo anni che vendersi per uscire prima. Una canzone che è anche per tutti coloro vogliano seguire questa strada: un invito a non mollare, a lavorare sodo e a non perdere la propria integrità. Iniziano con una bomba e non si fermano: il terzo brano, Synergy, è un altro tassello che permette di ricostruire la vita dei membri della band. La cosiddetta faccia nascosta del successo, fatta di dipendenze, insicurezze e schermi che mostrano soltanto una verità parziale. “I’m living life as if I’m already dead”: la ricchezza e la fama danno e tolgono, le attenzioni creano un circolo di dipendenza che necessita di essere costantemente alimentato. Forse uno dei brani più forti di Jackpot Juicer. Holy Ghost Spirit è il cuore dell’album: il tropos della vita dietro la maschera creata dalla fama viene perfettamente esplicitato. Il testo è pieno di metafore che toccano nel profondo e l’armonia tra le parti unclean di Jon Mess e il ritornello di Tilian Pearson raggiunge il livello più alto. For the jeers subito dopo arriva inaspettata e potente come un complesso di divinità dopo una crisi per un ostacolo minimo: “I’m an addict for the jeers”, canta Andrew Wells, sono dipendente dagli scherni, mentre il compagno Pearson die di essere re di ciò che sa e schiavo di ciò che non sa. È di nuovo brillante il racconto dell’insicurezza che si cela dietro la maschera di invincibilità che si è costretti a portare sul palco, ancora una volta è un racconto che è così tanto loro da essere di tutti.

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Ember sposta il focus dalla band ad un contesto più intimo, quello di una relazione che non funziona più. I problemi vengono taciuti, ma il loro peso si fa sentire e la comunicazione manca arrivando a creare disagio. “Do you remember how to build a fire?” chiede Pearson alla persona che ha davanti, è un ultimo tentativo di ricostruire una casa ormai a pezzi. Il brano non è dei più convincenti, sicuramente è messo in ombra dalle tracce precedenti. Sarà più convincente, riprendendo questa narrazione, la quattordicesima traccia, Back on deck. La relazione passionale e malsana descritta in Pop Off! è presentata con un ritornello ritmato che è tra i più orecchiabili, vari riferimenti poco sensati appaiono qua e là rendendo riconoscibile la penna di Jon Mess. È d’obbligo annotare che questo brano è stato fatto uscire il 4 maggio, lo Star Wars Day, in memoria di Tim Feerick, lo storico bassista che è morto il 13 aprile. One Man’s Cringe riprende il tropos iniziale dell’ipocrisia della scena musicale, la band ricorda di non volersi mai vendere per un pubblico che non li apprezzerebbe per quello che sono e per un’industria che punta ad apparire più che ad essere. Discorsi falsi, testi non capiti, emarginazione di chi si rifiuta di far parte del gregge: la band denuncia di nuovo ciò che rende l’aria difficile da respirare e promette ai fan di non diventare mai altro che non sia la versione migliore di loro stessi. Feels bad man ha un titolo esplicativo che riprende la celebre “risposta – tipo” che chi conversa in modo disinteressato con qualcuno che sta male utilizza per mostrare supporto senza per forza aggiungere empatia. In questa traccia la band illustra un tentativo di fuoriuscita da tutto ciò che provoca malessere, si parla di alcool e di droghe abusate nella piena consapevolezza di starsi autodistruggendo e di star deludendo le persone accanto e chi si vede come persona esemplare. È una traccia sicuramente d’impatto, quinto singolo prima dell’uscita di Jackpot Juicer e ha infatti riscosso subito successo su internet.

Die another day è la prima traccia della seconda metà di Jackpot Juicer, è stata il terzo singolo che l’ha preceduto e Pearson l’ha descritta, a ragione, come la traccia che “ha tutto”.

Riprendendo il titolo dall’ultimo capitolo della storia di James Bond, la band riprende a descrivere di ciò che li fa sentire privi di forze, ma che non gli porta via la voglia di rialzarsi e fare casino. Indubbiamente uno dei brani più forti dell’album, un singolo perfettamente riuscito che ha creato hype e che si ricollega tramite riferimenti testuali e presenti nei video agli altri brani scelti per anticipare l’uscita.

Two Secret Weapons ha la struttura sonora più particolare, alternando un ritornello orecchiabile con uncuts potentissimi, un assolo di chitarra che fa da cesura tra il finale e il resto della canzone. È un ritratto un po’ offuscato della realtà, che stona un po’ con la maturità dei testi precedenti. Una lente forse un po’ troppo millennial per poter avere la pretesa di essere universale, ma nel complesso un brano tra i più interessanti. Current Events, più avanti nel corso di Jackpot Juicer, riprenderà questo punto di vista: il rifiuto di far parte di una politica binaria e polarizzata, il rifiuto di esprimere opinioni per assicurarsi di rimanere influenti e il sentirsi superiori a chi si integra, ma persi perché fuori da tutti i campi tracciati. Polka Dot Dobbinss è una versione più riuscita di Pop Off!, molto più convincente e con maggiore armonia tra le parti. Entrambe le canzoni non denotano un particolare amore per le donne né talento nella loro comprensione (men che meno interesse), il che non arriva a sorpresa visto che Pearson ha annunciato di prendere una pausa dalla band a partire da quest’anno per gestire delle accuse di violenza sessuale. Forse il testo non l’hanno capito nemmeno loro, però la musica è talmente efficace che potrebbe farne a meno. Long nights in jail è ispirata a un’esperienza che un fan ha condiviso con Pearson e riprende il tropos della lotta per la rivoluzione e di giovani scapestrati che le due canzoni che la precedono hanno introdotto. Pray to God for your mother è un’altra canzone energica e ritmata sul perdere la retta via e sentirsi persi, che rischia di essere schiacciata tra i brani che la circondano e risulta pesante così infondo all’album. Sicuramente il “brano in più”, non aggiunge nulla né musicalmente né a livello concettuale, a Jackpot Juicer. Il tono comincia invece ad andare verso lo spegnimento e l’introspezione con il brano successivo, Swallowed by eternity, il diciassettesimo e penultimo. Il titolo si rifà ad una celebre frase di Blaise Pascal e vi è la partecipazione come chitarrista di Martin Bianchini. L’outro di Wells è la parte migliore, forse contenente un minuscolo riferimento ad uno dei più grandi successi dei Linkin Park (o forse semplicemente mi piace pensare così). Have a great life è l’ultima traccia e offre un riassunto completo dei concetti espressi nel corso dell’album: “No one makes it out, go have a great life”.

In generale, Jackpot Juicer, purtroppo, risulta veramente ridondante: i concetti vengono ripetuti quasi ugualmente nella maggior parte dei brani, le sonorità sono sempre le stesse e ricordano più le sonorità emo che non la scena rock. I brani potrebbero essere dimezzati e sicuramente si poteva tentare una maggior variazione di stile, però vanta comunque di alcune perle e molti testi sono diretti e condivisibili.

Giulia Scolari
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