Ci troviamo al Mattatoio per il Romaeuropa Festival ed, entrando nella sala T2, troviamo un corpo a terra: è ferito o è stanco?
Mentre ce lo chiediamo sono le 23.10 e siamo tutti dentro, ammassati con affetto, rivolti verso questo corpo inerme, nel buio.
Quando la musica rompe il silenzio, Arssalendo inizia a rinvenire.
La posizione eretta la raggiunge – mentre indossa il microfono – solo alla fine del primo brano (Addosso/Insieme primo brano dell’ultimo EP), quando anche il pubblico vorrebbe essere in piedi con lui, ma purtroppo è costretto a stare seduto.
Per trequarti d’ora il suo corpo non fa altro che combattere contro la gravità, mentre passa tra i brani di Tutti ammassati senza affetto ad il suo ultimo EP Ma tu ci tieni a me?.
Il festival è una grande opportunità per la città di Roma (città natale dell’artista) che vedrà da qui a novembre nomi di spessore internazionale, per quei generi allergici a facili etichette e per cui si fa fatica a dare una collocazione tra pop, elettronica e avanguardia. Due nomi di spicco sono sicuramente Alva Noto (il 4 novembre) e Caterina Barbieri (il 15 ottobre), due nomi necessari, aggiungerei.
fonte: Facebook di Arssalendo
Anche nel nostro caso, nella serata del 7 ottobre, non parliamo di un concerto come tanti, ma di una manifestazione musicale che viene proposta all’entrata come performance.
Le luci – il set design – di Bianca Peruzzi e il corpo di Arssalendo (al secolo Alessandro Catalano)sono le sole cose in scena e si muovono benissimo, mentre l’audio, con una definizione impressionante e gestito egregiamente, indossa tutto come se il live fosse il suo vestito. In questa esperienza musicale hyper, sperimentale, i testi rimangono intimi e comprensibili, vicini al cantautorato contemporaneo, mentre la musica va altrove, verso le derive internazionali del glitch, in una visione ed esperienza personale del suono, adattata per l’occasione e diversa dalla versione registrata.
Il live è un viaggio al buio e senza rapporto con il pubblico, che vede uno spettacolo sempre più nudo, crudo, triste ed euforico. Un viaggio attuale, vivo ed intimo che traccia un climax perfetto in cui Arssalendo arriva a compenetrare il pubblico durante l’ultimo segmento di live, chinandosi ai piedi della platea centrale per fondersi e forse, per piangere insieme. L’ultimo atto di umanizzazione è anche l’unico intervento parlato, solo per i ringraziamenti con cui termina lo spettacolo.
Descrivere uno spettacolo del genere, diverso anche dal live set che lo stesso artista ha fatto per Versace, dove in quel caso era egli stesso ad occuparsi dei suoni e delle luci, è sicuramente complicato senza conoscere la musica di cui si parla, figlia di troppe cose per assomigliare a mamma o a papà, per essere messa a paragone con questo o quello.
foto di Chiara Borrelli
Il mondo dell’hyper da qualche tempo inizia a muoversi lungo lo stivale con rovesci su Napoli e Milano, mentre un tempo sereno sulla capitale, lascia ancora che il pubblico sia troppo pettinato per l’occasione.
L’invito a conoscere la musica di Arssalendo è un invito a conoscere uno stato dell’arte, che egli rappresenta a modo suo, ma che necessita di essere approfondito nelle sue diverse rappresentazioni, che sono numerose e raccolgono influenze disparate, dal punk alla dubstep.
Da ogni influenza possiamo prendere in prestito qualche aspetto: dalla dubstep l’estetica dei glitch, la ricerca musicale dall’elettronica sperimentale in senso lato, dal cantautorato il cuore fragile e dal punk un certo atteggiamento (anti-)sociale.
Prendiamoci a spallate dunque, e lasciamo che Arssalendo ci aiuti a sacrificare l’ordine delle lettere che compongono i nostri nomi, in cambio della consapevolezza del loro suono.
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