Alps, terzo lungometraggio del regista greco Yorgos Lanthimos; uscito nel 2011 ma distribuito qui da noi solo cinque anni dopo, complice l’onda lunga del successo di The Lobster, viene oggi ridistribuito quasi in contemporanea con l’opera precedente del regista, Kynodontas (Dogtooth).
Chi ha imparato ad apprezzare il lavoro del cineasta greco con La Favorita (2018) si troverà probabilmente spiazzato da questi due film, così minimalisti e criptici. E’ tuttavia proprio dall’analisi di analogie e differenze tra queste due pellicole che emerge il percorso di crescita artistica che il regista stava attraversando in quegli anni, e che lo porterà a dirigere opere apprezzate dal grande pubblico come Il sacrificio del cervo sacro (2016) e il sopracitato La Favorita (qui la recensione).
In estrema sintesi, tra Dogtooth e Alps il regista muove da una prospettiva di tipo esterno-interno, ad una interno-esterno. Mi spiego meglio: se nel primo vuol descrivere come l’ambiente possa condizionare i comportamenti degli individui, mettendo in scena la storia di due ragazze e un ragazzo costretti dai genitori a vivere isolati e inconsapevoli del mondo, nel secondo è più interessato a come l’intenzione dell’individuo possa plasmare la realtà che lo circonda.
Più nel dettaglio, Alps racconta le vicende di quattro surreali personaggi, un paramedico, un’infermiera, un istruttore di ginnastica e una sua allieva, impegnati in una particolare farsa, che non ci viene spiegata direttamente, ma che le prime sequenze chiariscono inequivocabilmente: rimpiazzano persone morte da poco per aiutare parenti e amici a superare il lutto.
Al contrario dell’opera precedente, quindi, non abbiamo più un condizionamento esterno, ma un tentativo di modificare la realtà, di plasmarla rendendola meno dolorosa.
La prospettiva “internista” è evidenziata prima di tutto da alcune scelte registiche: ogni inquadratura in cui il punto macchina coincide col punto di vista dell’infermiera o degli altri componenti di questa associazione ci mostra personaggi fuori fuoco, i cui lineamenti sono del tutto indistinguibili. Dal punto di vista dei quattro attori, infatti, le persone non hanno una loro forma, sono materia plasmabile con la menzogna e il condizionamento.
La messinscena nel cinema di Lanthimos non è mai fine a sè stessa: nella produzione successiva sono esempio davvero eclatante i piani sequenza che dall’alto seguono i movimenti di Colin Farrell nei corridoi dell’ospedale ne “Il sacrificio del cervo sacro”: in quel caso comunicano la presenza di un dio che determina gli eventi, e che li rende inevitabili.
A questo proposito, nell’analisi del cinema di Lanthimos non si devono mai dimenticare le origini del regista: se questo diventerà palese nel già citato “Il sacrificio del cervo sacro”, riferito fin dal titolo alla Ifigenia in Aulide di Euripide, sia in Alps che in Dogtooth arriva un Prometeo che porta un fuoco, scatena un incendio, e viene punito dagli dei.
Come ho già detto però, tra le due opere il regista modifica il suo punto di vista, e ne risulta che in Dogtooth il Prometeo è un personaggio esterno alla casa, una donna che lavora per il padre. Sarà lei a regalare alcuni film alla figlia maggiore, la quale, dopo averli guardati di nascosto, inizia a vedere oltre il condizionamento imposto dai genitori; in Alps è invece il dramma familiare di uno dei componenti interni al gruppo, l’infermiera, che ha da poco perso la madre e che non riesce ad accettare il fatto che suo padre stia superando il trauma, a portare una ribellione che sarà punita.
La punizione divina è un tema che Lanthimos mutua dalla tragedia greca di epoca classica,e che ricorre nelle due opere in esame. Sono in entrambe punizioni grottesche, messe in scena con una sorta di macabra ironia: in Dogtooth il padre colpisce ripetutamente la figlia maggiore con una delle videocassette incriminate, mentre in Alps il paramedico usa un attrezzo della palestra di ginnastica ritmica dove lavora l’istruttore, una piccola clava, per colpire al volto l’infermiera: l’ironia sta nel fatto che, egli afferma, solo qualora la clava si colori di rosso l’infermiera dovrà lasciare il gruppo.
Una seconda analogia con il precedente Dogtooth riguarda la scrittura: in entrambi i film ci vengono presentate situazioni disturbanti e dalle quali ci sentiamo del tutto alieni, sensazione favorita da dialoghi asettici e perfino insensati. E’ emblematica in questo senso la sequenza nella quale il paramedico, capo della compagnia, comunica che l’associazione si chiamerà Alps: nessuna montagna, infatti, può sostituire le Alpi, mentre le Alpi possono sostituire qualsiasi catena montuosa. Chi noterebbe la differenza?
Beh, chiunque.
Pensa lo spettatore, mentre osserva gli altri tre personaggi che, invece, annuiscono convinti. Si realizza quindi un “artificio di straniamento” di brechtiana memoria: assistiamo agli eventi sullo schermo senza riuscire ad empatizzare in alcun modo.
Il contrasto più interessante emerge nel finale; confrontando infatti le due scene di massima tensione, la spannung delle due vicende, vale a dire quella dell’estrazione del canino in Dogtooth e quella della sutura della ferita al volto in Alps, si notano analogie nella scenografia (lavandino del bagno), nella messinscena (inquadrature che indugiano sul volto sofferente dell’attrice), e soprattutto che è la stessa attrice in entrambe le cruente scene; ora, escludendo una antipatia di Lanthimos nei confronti della povera (ma talentuosissima) Angeliki Papoulia.
Dobbiamo ammettere che queste similitudini non possono essere casuali, e che acquistano significato nell’evidenziare la situazione invece diversissima dei due personaggi: in Dogtooth l’estremo gesto è un atto di definitiva liberazione dal giogo familiare, mentre in Alps la protagonista rimarrà irrimediabilmente prigioniera di sè stessa.
Il messaggio finale del regista emerge allora con disarmante chiarezza: non c’è condizionamento peggiore di quello che imponiamo a noi stessi.
Se, quindi, Mean Streets parla della dicotomia tra peccato e redenzione sullo sfondo della Little Italy degli anni ’70, ed è in pratica un condensato di tutta la filmografia di Martin Scorsese, e Le Iene mette in scena dialoghi roboanti e una narrazione spezzettata che saranno il marchio inconfondibile del cinema di Tarantino, anche queste prime produzioni low-budget (o alle volte, come afferma Lanthimos stesso in alcune interviste, no-budget, Alps è infatti stato girato senza che ci fossero i fondi per pagare gli attori), sono una lente fondamentale per comprendere la poetica del regista, che poi si esprimerà compiutamente nelle opere successive.
Certo, aver visto La Favorita o The Lobster prima di questi due è un po’ come aver studiato il funzionamento di un reattore nucleare e poi aver capito le addizioni. Ma accontentiamoci di quello che abbiamo.
Ottavio Napolitano
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