America Latina è il nuovo film dei fratelli d’Innocenzo. Un thriller psicologico che offre ad Elio Germano un’altra occasione per brillare e rendersi protagonista di un’interpretazione viscerale.
Presentato alla 78° edizione del Festival del Cinema di Venezia, America Latina è disponibile nelle sale cinematografiche dal 13 gennaio 2022. I fratelli gemelli Fabio e Damiano D’Innocenzo, dopo aver guadagnato consensi con l’inquietante Favolacce, sono tornati a raccontare una storia alienante, di estrema follia. Un’opera che scava all’interno della psicologia del protagonista, tormentato e disturbante.
La storia si dipana a Latina, città laziale dell’Agro Pontino. Un’area a cui la bonifica dei terreni durante il ventennio fascista e il semi-sviluppo del dopoguerra hanno generato una triste atmosfera degradata, una povera terra di nessuno in cui urbano e rurale si confondono. Seguiamo le vicende di Massimo (Elio Germano), un dentista benestante, con un carattere calmo, introverso, sensibile e raccolto.
La sua vita privata si svolge all’interno di una grande e maestosa villa immersa nelle paludi del sobborgo romano. Vive con una bellissima moglie Alessandra (Astrid Casali) e due figlie Laura (Carlotta Gamba) e Ilenia (Federica Pala), la prima adolescente e la seconda poco meno. La famiglia è la sua comfort zone, è tutto ciò che considera il suo punto fermo, per lui sono angeli eterei, un nucleo perfetto su cui contare e rifugiarsi.
Ma il suo idillio domestico serenamente borghese viene sconvolto quando ad un certo punto si reca nel seminterrato e trova una verità scioccante: una ragazza senza nome (Sara Ciocca) è legata ed imbavagliata. Urla, strepita, vuole uscire da lì. Ma Massimo non la libera, vuole capire cosa e chi c’è dietro. Da qui inizia il suo calvario, un tormento che lo porterà verso l’abisso e fino all’annientamento più totale.
Sarà stato il suo migliore amico Simone (Maurizio Lastrico), un tipo losco ed altamente sospettabile, oppure sarà stato suo padre (Massimo Wertmüller), con cui ha un rapporto teso e distaccato? E se invece sarà stata la moglie Alessandra? Queste domande lo portano fuori controllo e verso il baratro dell’autodistruzione, dove inizia a mettere in discussione la sua memoria e la sua sanità mentale. E qui mi fermo nel racconto, con la paura di svelare troppo.
Un film di un’ora e mezza dove Elio Germano mostra tutta la sua arte e maestria.
Una performance centrale, efficace e dirompente, d’altronde io non ricordo un’interpretazione sottotono di Germano, la sua capacità di calarsi in ruoli complessi, portando in scena personaggi che hanno bisogno di una carica emotiva travolgente è ammaliante. Vederlo passare da un Massimo sicuro di sé a un uomo vulnerabilmente paranoico è stato estasiante. Una prova perfettamente modulata, studiata nei minimi dettagli.
La sceneggiatura non si fa scrupoli nel farci capire solo dopo una mezz’ora circa chi è il colpevole, anche perché il finale è ermetico, dove il thriller lascia spazio all’horror. Tuttavia la trama si regge tutta sulla bravura di Germano che porta la pellicola sulle sue spalle. La narrazione è scarna, non riesce a dare quel guizzo in un’opera così sontuosamente estetica.
Nonostante la scrittura di America Latina non sia del tutto avvincente ed il ritmo è per lo più blando, anche se il lato inquietante non manca, possiamo dire che il comparto tecnico ed il gusto estetico sono esemplari. Il montaggio di Walter Fasano è deciso e frammentato, alimenta la voglia si scoprire cosa c’è oltre. La colonna sonora dei Verdena si inserisce nelle sequenze in maniera impeccabile, la fotografia di Paolo Carnera è estasiante nel rendere teso lo stato d’animo dello spettatore.
Mentre la mente del protagonista va completamente fuori controllo, la regia è invadente, coraggiosa e ardita. I registi si mettono al servizio dello spettatore per aiutarlo a capire quel processo di inquietudine e smarrimento, enfatizzando con primi piani e un uso sapiente delle luci quell’angoscia e quel tormento di un personaggio che ad un certo punto mette a nudo la sua anima, soffocando la sua esistenza.
Un film che mostra tutte le contraddizioni della vita, il sogno dell’America e la realtà delle terre bonificate di Latina. I due mondi, inizialmente separati, ad un certo punto si uniscono, fino ad annientasi l’un l’latro.
Alla fine ho ritrovato in America Latina un omaggio – anche se qualcuno potrebbe parlare di “scopiazzata qua e là” – ai film italiani di genere degli anni Sessanta e Settanta, con chiari riferimenti scenici e l’uso di colori primari. Ma possiamo parlare anche del carattere disturbante dei film di Yorgos Lanthimos e con un lieve riferimento a Parasite.
L’opera è certamente il lavoro più maturo dei fratelli D’Innocenzo, un film enigmatico, inquietante e psicologico, con un pizzico di attualità. Un thriller horror che corrode ed altera lo stato d’animo. America Latina è sicuramente una pellicola divisiva.
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