Diego Maradona e la città di Napoli la doppia equazione della genialità e dell’estro sregolato

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Diego Maradona ci ha lasciati. “D10S è morto, ma non nel cuore di chi lo ha applaudito, amato, adorato”.

La morte di Diego Armando Maradona, il più grande calciatore di tutti i tempi, ha lasciato un vuoto incolmabile in chiunque sia un appassionato dello sport, non solo del calcio, ma di tutti gli sport. E anche di ogni napoletano.

A tal proposito faccio una premessa, non sono napoletana di nascita, lo sono di adozione. Napoli è una città che ti sceglie, prima che sia tu a sceglierla. Prima del mio trasferimento a Partenope per frequentare l’università non ero mai stata in contatto con una città così seducente, al mio arrivo l’ho scrutata con attenzione e rispetto, ma anche con un poco di timore visto che me l’avevano sempre descritta come una figura particolare e una città pericolosa.

Napoli mi ha sedotta al primo istante. La luce si insinua tra i suoi vicoli più stretti, i suoni e le voci della sua gente si mescolano con i suoni e i colori. E sì, ci si mischia. Ma per essere degni figli di questa città magica bisogna mantenere la propria sfumatura, perché il rischio è di esserne divorati senza rendersene conto.

Questa città è un mondo a parte, davvero. Non tutti riescono a viverla appieno questa città, alcuni provano a “sopravvivere”, altri decidono di non avvicinarcisi nemmeno, altri invece lasciano che gli entri nelle vene la sua aria, il suo clima, il suo folklore.

Diego Maradona: Genio e Sregolatezza nel documentario di Kapadia

Diego Maradona e la città di Napoli la doppia equazione della genialità e dell’estro sregolato 1

E questo clima Maradona lo ha sentito suo sin dai suoi primi passi nella città che ha condotto ad un doppio scudetto. E tutto ciò ci viene presentato senza veli nel documentario del 2019 diretto da Asif Kapadia, che narra le vicende del celebre calciatore Diego Armando Maradona nei suoi anni al Napoli, dal titolo omonimo.

Per questo lavoro, Kapadia si è concentrato ancora una volta su uno sport in cui non ho alcun investimento emotivo: il calcio, come aveva precedentemente fatto con la Formula 1, con il documentario su Senna. Eppure, riguardando proprio ieri sera questo ritratto tipicamente incisivo del figlio sportivo più famigerato dell’Argentina e adottato a Napoli, mi sono trovata afferrata da un racconto universalmente accessibile di un’anima divisa – una figura in le cui doppie personalità sono incarnate nei due nomi del titolo del film; Diego e Maradona. Genio e Sregolatezza.

Kapadia apre il suo film in uno stile perfetto che lascia l’utente senza fiato: un frenetico inseguimento in macchina per le strade affollate di Napoli, che ci mette rapidamente al passo con la carriera da stella cadente di Diego Maradona prima del suo trasferimento al Napoli nel 1984. Un montaggio da capogiro di immagini (ferite atroci alla caviglia) e suoni (Pelé dichiara che il suo successore spirituale “non è ancora preparato psicologicamente“) ci immerge nella mischia di una conferenza stampa sovraffollata, dove questo perdente argentino costa alla città di Napoli la sua firma più costosa in questo gioco.

“Vorrei sapere”, dice il giornalista francese che si pone come primo cronista in conferenza stampa, “se lei, Maradona, sa cos’è la camorra…”

È una mossa provocatoria e il giovane calciatore, colto dal bagliore delle telecamere e dei flash, guarda sconcertato. Inoltre espone perfettamente la bancarella di Kapadia; una storia di stracci e ricchezze, santi e peccatori, criminalità e calcio, ferite e vittorie, il tutto giocato sullo sfondo della città che arriva a incarnare il suo spirito diviso, esattamente come lo è per antonomasia quello della stessa metropoli capitale del Mezzogiorno d’Italia.

Il trainer di Diego Maradona, Fernando Signorini, fornisce la chiave che sblocca questa dualità. È Signorini a identificare la scissione tra il timido e affettuoso “figl’ ‘e mammà” dei bassifondi che avrebbe seguito fino ai confini della Terra; e la creazione in terza persona piuttosto mostruosa che sarebbe diventata il centro di un così intenso controllo pubblico.

Durante tutti i trionfi e gli scandali di alto profilo che ne derivano (bustine di droga, squalifiche, affari, discendenza contestata ecc.), Kapadia mantiene questa tensione dinamica in primo piano, ricordandoci le radici di Maradona, giustapponendo lo stile di vita stravagante che lo ha reso protagonista delle notizie con la dura realtà del suo passato.

Diego Maradona: lo scugnizzo di periferia, da Buenos Aires a Napoli

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Cresciuto nella povertà di Villa Fiorito, a sud del centro di Buenos Aires, il prodigio sportivo Diego ha effettivamente provveduto alla sua famiglia dall’età di 15 anni. Ha lottato come se fosse figlio della città di nascita di fronte ai cori beceri del Nord, al suono di “Vesuvio lavali con il fuoco”. E non c’è da stupirsi che il Napoli non volesse lasciarlo andare quando Maradona ha segnalato il suo desiderio di allontanarsi dai suoi riflettori.

Come sempre, Kapadia è particolarmente bravo a posizionare eventi chiave all’interno di un contesto culturale più ampio. Imposta la famigerata vittoria dell’Argentina da cui ha preso il soprannome “mano di Dio” contro l’Inghilterra come vendetta per la guerra delle Falkland, con Maradona che gongola che “il guardalinee non ha visto!”.

Descrive come un’importante famiglia criminale abbia utilizzato la crescente dipendenza da cocaina e la passione di Maradona per gli orologi Rolex per cooptare il suo marchio per i propri scopi. Più astutamente, svela il significato culturale della semifinale dei Mondiali del 1990 in cui Maradona ha giocato per l’Argentina contro l’Italia nell’ambiente carico dello stadio San Paolo. “Napoli non è l’Italia”, ha dichiarato avventatamente Maradona, credendo che la sua città natale adottiva in qualche modo si schiererebbe con lui contro la loro squadra nazionale.

Quel sottile confine tra adorazione e abiezione: il dualismo e la fragilità di Diego

Con bravissimo talento drammatico, Diego Maradona serve a un certo livello come ammonimento sul lato oscuro della celebrità. Sentiamo come una fiala del sangue di Maradona sia riuscita in qualche modo a entrare in una chiesa: una sacra reliquia degli ultimi giorni. E ci viene mostrato quel sottile confine tra adorazione e abiezione che chiunque vive la propria vita in pubblico deve camminare, con Maradona che si trasforma da dio in diavolo quasi in un istante.

Come i precedenti documentari, i filmati d’archivio sono la chiave, con Kapadia e il montatore Chris King che cercano centinaia di ore di materiale per trovare le immagini (molte inedite) in cui si annida la loro verità. Anche il sound design è cruciale, con l’evocativa colonna sonora del compositore di City of God, Antonio Pinto, che si scontra con un assortimento di calci, schiaffi e pugni che accompagnano l’azione che si svolge, mantenendo le cose urgenti senza mai perdere di vista il polso umano della storia.

Nel corso del film, diventi esperto nel cogliere il lampo di panico o risentimento negli occhi di Maradona. Assorbire oltre due ore di smalto televisivo e linee di scansione sullo schermo del cinema induce una sorta di isteria, soprattutto quando è uno spettacolo di tale passione incessante, euforia incessante, catastrofe incessante, isterismo di massa per le strade di Buenos Aires e Napoli.

Obiettivi, locali notturni, obiettivi, adulazione, obiettivi, gangster, eccitazione, fidanzate, gravidanze, diniego di gravidanza, cocaina, aumento di peso, incostanza della stampa, disperazione: è come una sequenza di titoli di Match of the Day di 130 minuti creata da Sofocle.

“Voglio diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli”

Durante la presentazione con il Napoli, nel 1984, in un San Paolo entusiasta, ma neanche lontanamente consapevole di quello che Maradona avrebbe fatto, Diego parla così:

“Voglio diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perché loro sono come ero io a Buenos Aires”.

Definirlo idolo sarebbe riduttivo.

Grazie Napoli io con te sono diventata “femmn’”, Maradona un genio del calcio. Come una madre ci hai nutriti, coccolati, svezzati e lasciati camminare liberamente. Ci hai insegnato addirittura una nuova lingua, facendoci dono di un po’ di accento napoletano, almeno così dicono le persone che ci rivedono dopo tanto tempo.

A proposito di tempo, a Napoli riesci a passeggiare senza una vera meta, incontrare persone semisconosciute che diventano fratelli per la vita, perderti nei pensieri e animarti tra i tuoi sogni. Come quello di rivederti di nuovo in campo, lo stesso che tra pochi mesi porterà il tuo nome.

Maradona non può essere misurato con un metro normale, ma con quello dell’epica e del mito”. Ciao Diego, Napoli ti ama.

Fabiana Criscuolo
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