Quello che gli altri non vedono! E’ il 25/10/2021 ed io mi trovo, dopo tanto tempo, nella sala di un cinema a vedere De André#De André – Storia di un impiegato, definito come l’omaggio di un figlio all’eredità artistica, politica, umana di un grande cantautore.
Interamente costruito con immagini che corrono su più piani paralleli: spezzoni della tourneè di Cristiano De André (2019) che porta egregiamente sul palco l’intero disco del padre ‘Storia Di Un Impiegato’, monologhi di oggi di Cristiano, ambientati nel comune di Tempio Pausania (in casa, su terraferma, in mare), fotografie e ritagli vocali del tempo del padre Fabrizio, feedback del movimento in rivolta del ’68, e dolci incursioni di Dori Ghezzi.
La prima sensazione che ho provato è stata quella di diventare spettatore di me stessa. La telecamera ha inquadrato il palco, la cui scenografia mi catapultato subito, in quella magica sera del maggio 2019 (io c’ero): oggi però gli zoom sui musicisti, mi consentono di focalizzare il dettaglio, su cose che dalla galleria non avrei mai potuto vedere allora, e i volti del pubblico, sdoppiano la mia persona, riportandomi lì a quella sera.
Compare Fabrizio De André, e lancia il primo concetto umano con la parola “radici”. Il mio sguardo si sposta sulla natura, e intanto la sua voce racconta di quale potere possono avere le radici per ognuno di noi.
A quel punto mi trovo immersa nella campagna sarda, a bordo di una Jeep, di fianco ho un autista d’eccezione: è Cristiano, un uomo sorridente che, sottolinea l’insegnamento del padre quando descrive la Sardegna come una mamma, terra e isola che guarisce ogni cosa. E mi porta a casa sua.
La platea inizia a sentirsi come un ospite in casa De Andrè; già proprio quella casa, caratterizzata dal tipico stile di abitazione di isolano, ora riadatta e sempre viva, ma proprio lei, quella del padre.
Ambiente prezioso, perché spettatore di concepimenti di ogni ordine, da alcune delle più mitiche scene della commedia italiana, per la continua frequentazione di personaggi come Paolo Villaggio (le furtive polpette) e Ugo Tognazzi, a collaborazioni musicali fondamentali per ‘Storia Di Un Impiegato’ come Giuseppe Bentivoglio (paroliere) e Nicola Piovani (per le musiche) per la caratterizzazione di un suono tipico degli anni settanta, a collaborazioni di musica e amicizia con Francesco De Gregori.
Fabrizio e Bentivoglio rappresentati da Cristiano come “due orsi incazzati” in quel salotto, irrequieti, mai fermi, portatori da rabbia di un movimento studentesco che avrebbe dovuto coinvolgere la totalità delle persone perbeniste e non, limitandosi invece ai soli rivoluzionari e ribelli. Scherzosamente Cristiano ci mostra il pianerottolo, dal quale spiava le fertili serate del padre! Avrei voluto essere lì anche io.
Ma intanto continuano gli insegnamenti del padre; il secondo concetto è imparare a guardare le stelle.
In che modo e perché? Da terra, schiena per terra, più precisamente, da coricato. Perché? Solamente per vedere il passato perché in realtà noi umani non possiamo navigare nel tempo! E sul passato Cristiano De André sembra voler rimuovere parte del suo passato, ma comunque ne fa un censimento. Racconta di quando suo padre lo richiama all’ordine in Sardegna, a quel tempo i suoi genitori si erano separati e lui viveva a Genova con la madre, ma non frequentava buone compagnie; il padre lo richiama a sé, e lui seppur contrario va a vivere con il padre.
Sono periodi difficili. Per stemperare l’atmosfera mi porta al mare, improvvisamente mi trovo immersa sott’acqua. Poi arriva la quiete, un Cristiano vestito, fa il bagno in mare con i cinghiali che, metaforicamente vengono citati dal padre, che si avvale del mammifero peloso, come un “cinghiale matematico” per definire un individuo che vive senza utopia, sogni e passioni. E li capisco che non sono un cinghiale.
Meravigliosamente viene citata la canzone scritta da Ivano Fossati “Dietro la porta” cantata da Cristiano a Sanremo nel 1993. Traccia che ricorda come dietro la porta di ogni pensiero, gesto o movimento c’è il nuovo, l’andare oltre, e di come l’andare e l’attraversare sia un passo che spetta solo a noi. Solo noi possiamo decidere se spingere quella maniglia o meno. Compare così “Verranno a chiederti del nostro amore”, la canzone più politica di tutto l’album o di amore come politica, o di amore come rivoluzione. Canzone scritta per la moglie, nonché mamma di Cristiano. A Fabrizio lei non bastava!
Ma è la sua meravigliosa idea di famiglia allargata che viene poi esaltata: famiglia dalle svariate diramazioni seduta attorno ad un tavolo e, famiglia su un palcoscenico; a quel punto mi trovo al Brancaccio nell’ultima tournée musicale del 1998, c’è anche Luvi De André. Mi rendo conto che l’ascoltare i suoi monologhi mi coinvolge a tal punto da sentirmi il cuore tra le mani. E il continuo contatto che Cristiano con la natura mi fa sentire a mio agio. Improvvisamente ci troviamo sul terrazzo e lui si mette a fischiare dei suoni soffiando tra le sue mani. Come per magia, la natura risponde! E’ fantastico.
Diverse sono gli intagli di concerto che lo ritraggono, anche lui con un leggerissimo occhio semichiuso, anomalia tipica del padre. Diversi sono i suoi monologhi che affrontano i temi del disco e diversi sono gli insegnamenti che ha ereditato dal padre e umanamente cerca di tramandarli, quali il concetto di potere/accordo.
Siamo tutti impiegati di noi stessi, e siamo dittatori di noi stessi; con la natura troviamo l’accordo alla vita; non ci sono poteri buoni, ma solo accordi. E il momento, per me più emozionante, è stato vedere la sua gioia dietro le quinte durante la tournee di ‘Storia Di Un Impiegato’. Io credo che vivere all’ombra non è facile. E lui forse ha trovato il modo per vivere.
E’ questo film è un gesto concreto, è comunicazione, è andare oltre alle cose. E’ la rappresentazione dell’amore di un figlio verso il padre.
Immagine che comunque viene riproposta oggi con la presenza di Filippo De André, figlio di Cristiano, in alcuni istanti. Ma arriviamo al dunque. Quando sono uscita dal cinema mi sono sentita come quella sera di due anni prima, uscendo dal concerto al Teatro Colosseo di Torino. Ci sono cose che si legano a te, ti accompagnano e ciclicamente ritornano, resta a te trovare il modo di gestirle e conviverci.
D’altronde Cristiano, nel momento più emozionante del film, con quel sorriso e quell’esultanza da dopo concerto, ha urlato nel backstage “ci siamo riusciti!”. “Da sola” al teatro e “da sola” al cinema, ma in fondo “da sola non ero”. Mi piace pensarlo. E’ questo è il mio accordo e/o il mio potere.
A cura di Alessandra Testù
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