Foglie al Vento è il nuovo film di Aki Kaurismaki, ed è un delicato elogio alla solitudine. Una solitudine, però, sempre più diffusa. I proletari finlandesi di Foglie al Vento sono sì poveri, solitari, e malinconici: sono, però, soprattutto, giovani. E hanno già rinunciato ad amore e speranza.
Molte parole sono state spese già, dalla critica, sul nuovo film di Aki Kaurismaki, ma a volte capita che un’opera d’arte sembra che parli al suo interlocutore, e si presta ad una personalissima interpretazione.
Ansa e Holappa sono due trentenni di Helsinki, due poveracci del sottoproletariato quasi Accatoniano. Lei, una bionda e bella Madonna mai scelta, però, dallo Spirito Santo; costretta a ripulire i peccati di plastica di un supermercato Lidl, effige di una civiltà indifferente ed atomizzata. Lui, riparatore di treni mai partiti, scioglie i suoi dispiaceri nell’etanolo. Si incontreranno per caso in un bar karaoke prima, e fuori da un bar chiuso per mafia, poi; si ameranno ad intermittenza, su frequenze distorte. La scrittura di Foglie al Vento fa sì che una favola triste diventi realtà: fra Castaway on the Moon e I Morti Non Muoiono, la regia di Kaurismaki si muove coloratissima e analizza un piccolissimo dramma del terzo millennio. C’è la guerra in Ucraina, le truppe di Vladimir Putin hanno varcato i confini, e le bombe cadono numerose su Kiev; Ansa ascolta le tragiche notizie sulla sua radio di bakelite, fino a che, stufa, non va alla ricerca, girando la manopola analogica, di qualche brano pop finlandese. È il 2022, almeno: ma né Ansa né Holappa possiedono social network e, ambedue, a stento usano il cellulare. Il bagnato e dolce dramma costruito da Kaurismaki è, però, profondamente millennials. Holappa condivide il suo spazio vitale con un amico single di mezz’età (che si atteggia a là Mastroianni) e due immigrati del Nord Africa, che ne sbeffeggiano l’alcolismo – loro, figli di un continente giovane e pieni di speranze di una vita migliore, e lui, figlio del primo mondo, ridotto ad un rottame da se stesso. Allo stesso modo, il gestore indiano di un internet cafè frequentato da Ansa, ride della disgrazia della donna, costretta a pagare ben dieci euro ogni mezz’ora per l’accesso ad internet.
Kaurismaki analizza la società attorno a sé – quella composta da 25-40 enni – e a loro si ispira per la sua coppia di improbabili e solitari amanti: stanze condivise con bagni di dubbio gusto, vuoti interiori troppo profondi da colmare perfino con l’alcol, monolocali letto-e-cucina e piatti, forchette, coltelli, bicchieri, singoli. Uno di ciascuno: inutile possederne altri, perché costosi, perché non c’è spazio per riporli in quelle scatolette di tonno nelle quali si vive, perché è meglio evitare di accumulare in vista dell’ennesimo trasloco. Stavolta, la poetica del proletariato di Kaurismaki, iniziata con Ombre nel Paradiso nel 1986, si fonde con la crisi generazionale: incapaci di trovare il proprio posto nel mondo, Ansa e Holappa hanno, infine, rinunciato anche a tentare di crearselo – ambedue brutalizzati dai propri datori di lavoro, impiegati tutt’altro che preziosi (anzi, completamente rimpiazzabili) -, e tale profonda rassegnazione è evidente anche nel nullo contatto che hanno, entrambi, con la tecnologia. Quest’ultima è quasi del tutto assente in Foglie al Vento, ma, quando c’è, è fonte di buone notizie: un’apparizione di Holappa, la sua guarigione insperata, il battito del suo cuore in un letto d’ospedale. La tecnologia che, grazie ad internet, ci ha resi tutti un po’ meno soli – e la sua scarsa presenza la rende, al contrario, ancor più forte in tale potere nel mondo di Foglie Al Vento.
I giovani sono i nuovi poveri, che mai potranno permettersi ciò che i loro genitori hanno avuto – nel caso di Ansa, la possibilità di comprare una casa ad Helsinki, nella capitale dello stato.I due millennials protagonisti non sono nativi digitali, come nessun nato prima del 1997 lo è, ma la musica scelta da Kaurismaki a rappresentare la Finlandia è estremamente moderna: l’apparizione delle Maustetytöt (“Spice girls”, in finlandese), duo di sorelle Electro-pop, è sia un omaggio a David Lynch che una summa del mal di vivere dei millennials – infatti, il titolo del brano presente in Foglie al Vento è traducibile come “Nata dal dolore e vestita di delusione“: speranze morte prima ancora di nascere, in un mondo dove una guerra antica e distruttrice ha lasciato il posto a mille, piccolissime guerre personali ma solitarie – senza nome. Né Ansa né Holappa hanno interesse per i nomi delle cose, e Ansa neppure dà un nome alla cagnolina che adotta ma che visibilmente adora: la parola è intrinsecamente inganno, e presuppone un grado di fiducia altissimo verso l’interlocutore; astrazione. Nessuno, nel mondo di Foglie al Vento, è degno di tale atto di fede. Le parole, poche, quando pronunciate, sono di significato vago e non importante; parlare è troppo stancante, meglio che siano le azioni a parlare per loro. Lavorare ogni giorno per un contratto a zero ore drena ogni energia rimasta; il chiacchiericcio è spreco.
L’affetto che finisce per legare i due protagonisti è volutamente ambiguo: onesta unione di due solitudini o cinica necessità di non rimanere soli? Speranza che qualcuno sia lì a farti fuori per la seconda volta quando ti trasformerai in Zombie durante l’apocalisse?
Foglie al Vento è la miglior commedia romantica del 2023: apparentemente leggera e ridanciana, nelle pose statiche stile American Gothic dei personaggi di Kaurismaki, ma, in realtà, analisi della triste situazione della gioventù europea – figlia di un mondo morente, le foglie dei cui alberi cadono, marciscono, ma non danno origine a nuova vita. Non per ora.
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