Dalla penna di William Gibson agli schermi di Prime Video, eccoci immersi nei mondi simulati di Inverso – The Peripheral.
Per chi non conoscesse William Gibson, stiamo parlando dello scrittore considerato il padre della corrente fantascientifica del cyberpunk, scaturito dalle pagine del suo romanzo di debutto Neuromante, con il quale ha vinto i maggiori premi letterari per la fantascienza: Premio Hugo, Premio Nebula, Premio Philip K. Dick Award.
In poche parole, William Gibson è uno straordinario visionario che ha contribuito in maniera ingente a dare forma a tutta quella fantascienza che non viaggia nello spazio verso altri mondi, lassù nelle stelle, nei vari angoli dell’universo, ma piuttosto nella realtà digitale, il cyberspazio. Quelle realtà che oggi, grazie a tecnologie come il metaverso e simili, non sono più fantasie.
La serie Prime Inverso – The Peripheral segue l’evoluzione dei tempi, proponendoci una trama che sia fantascientifica, ma non troppo, per quella che è la nostra realtà e quotidianità (anche se i riferimenti alle pandemie globali fanno venire più di qualche brivido…).
Negli Stati Uniti degli anni Trenta del Ventunesimo secolo, Flynne e Burton Fisher, interpretati rispettivamente da Chloe Grace Moretz e Jack Reynor, sono sorella e fratello che sbarcano il lunario giocando in varie simulazioni virtuali. Tra le varie “console” che gli capitano a tiro, una li fa piombare in una simulazione che è fin troppo reale: finiscono in una Londra futuristica e postapocalittica, grigia e spopolata, piena di statue alte fino al cielo. E le azioni che compiono nel futuro esercitano delle ripercussioni nel loro presente.
Si può notare fin dai primi minuti di visione di Inverso – The Peripheral un forte e deciso richiamo alle atmosfere tipiche dei romanzi di William Gibson.
Si riconosce quella costruzione della trama basato molto sulla forza di sensazioni caotiche che vanno a creare più un quadro astratto piuttosto che un dipinto ben definito. Qualcosa che ci consente di capire che ci si trova in un’altra realtà, ma di non riuscire ad afferrarla fino in fondo. Proprio com’è una realtà simulata, che ci è di fronte agli occhi eppure non è veramente lì.
Proprio per questo motivo sviscerare i dettagli della trama è un’operazione estremamente complicata, tra complesse analessi e prolessi, cambi di coscienza, cambi di alleanze, cambi di realtà. Al punto che si arriva molto avanti con Inverso – The Peripheral senza aver veramente colto il senso di quello che accade. Forse è proprio qui che manca quella perfetta connessione tra libro e serie televisiva e che impedisce di rendere pienamente la potenzialità del mondo inventato da William Gibson.
Più passano i minuti e più fatichiamo a incollarci ai personaggi, alle loro storie, ai loro destini, faticando a trovare un modo per empatizzare con loro.
Il presente dei due protagonisti appare come un mondo di giovani dropout che scontano le ore della propria vita in varie forme di dipendenza, mentre il futuro sembra riempito di personalità ricche di conoscenza superiore eppure straordinariamente naif, impegnate in deboli scaramucce verbali, giochi di potere, lezioni di vita attraverso metafore un po’ scontate e metodi di omicidio eccessivamente creativi, anche per una realtà simulata ambientata in un futuro postapocalittico.
Inverso – The Peripheral appare come una serie ben fatta sul piano della forma, ma molto debole su quello del contenuto.
Innanzitutto c’è un forte problema di scarso carisma dei protagonisti. Le storie di Flynne e Burton, ma anche di Wilf Netherton, interpretato da Gary Carr, sarebbero anche molto interessanti.
Sappiamo infatti che Burton è un ex marine che insieme ai suoi commilitoni ha vissuto esperienze di guerra particolarmente turbolente e il tatuaggio tecnologico che ha sul braccio è una dimostrazione di ciò che è stato in grado di fare e ciò che ha dovuto sopportare psicologicamente. Flynne dovrebbe avere un carico emotivo importante, è un alter ego del fratello in alcune situazioni, ma anche un po’ la sua versione più empatica e solidale. Wilf è personaggio con un’infanzia drammatica che ne definisce la figura e l’autorevolezza nella sua realtà.
Eppure tutte queste storie scivolano via, come lacrime nella pioggia (una citazione cyberpunk per gli intenditori). Le interpretazioni dei tre protagonisti restano sempre piuttosto fiacche e incomplete al netto di un impegno evidente da parte degli attori per entrare nei rispettivi personaggi. Ma proprio non si riesce a provare delle emozioni forti, una qualche forma di coinvolgimento che ci faccia rimanere incollati davanti allo schermo per capire come andranno a finire le vicende. Anzi forse il personaggio che è davvero convincente e coinvolgente è quello del malvagio Corbell Pickett, interpretato elegantemente da Louis Herthum.
Alla fine quello che si vede è un insieme di situazioni già viste, già raccontate e meglio approfondite in innumerevoli libri, film e serie. Un qualunque episodio di Black Mirror ci farebbe volare nel futuribile della specie umana in maniera molto più sconvolgente e audace di tutta la serie Inverso – The Peripheral.
Abbiamo nuovamente la prova dei grandi mezzi produttivi che l’universo Prime ha a disposizione, senza la capacità di controllarli pienamente, realizzando un prodotto apparentemente splendente e luccicante, ma poi piuttosto incolore, un po’ come avvenuto con la terza stagione di The Boys o The Terminal List. C’è una buon lavoro di casting, c’è un bel lavoro di montaggio, una magnifica fotografia, importanti effetti speciali, eppure manca il pathos a questa serie.
Data la bontà del materiale di partenza fornito da Williamb Gibson e l’enormità di mezzi messi a disposizione dalla produzione, si resta un po’ delusi dal risultato finale, incapace – in maniera anche piuttosto sorprendente e inspiegabile – di trasportarci di gran carriera verso la fine, piuttosto ci trascina minuto dopo minuto, episodio dopo episodio, in una lunga sequenza di chiacchiere e situazioni assolutamente poco convincenti.
Inverso – The Peripheral risulta quindi essere un drammatico colpo a vuoto, uno di quei prodotti su cui si investe moltissimo, ma che non restituisce granché. Magari non in termini economici (è comunque un prodotto in un canale di streaming tra i più potenti al mondo e sarà sicuramente visto da tantissimi abbonati), ma in termini critici non dice assolutamente nulla né a livello di innovazione né a livello di intrattenimento.
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