Il cinema è da sempre testimone della storia, ma anche agente dei cambiamenti sociali e politici. Un mezzo fortemente ideologico e culturalmente impegnato nel raccontare pezzi di vita lacerati e lotte intestine. Matteo Garrone, fresco del Leone d’Argento alla miglior regia a Venezia 80, si è affidato proprio all’arte più bella del mondo per raccontare il dramma dell’emigrazione clandestina. E lo ha fatto con Io Capitano, un’opera scevra da una narrazione patetica e angosciante.
Il regista con Io Capitano ha acceso i riflettori sulla questione dell’irresponsabilità dell’Italia e dei paesi europei verso i migranti africani. Una sorta di denuncia simile a quella fatta dalla polacca Agnieszka Holland in Green Border dove racconta il conflitto ancora attuale tra Polonia e Bielorussia e la violenza verso i rifugiati. Due film con due prospettive diverse e con due modi opposti di avvicinarsi alla stessa realtà, a un tema universale e quasi senza tempo, perché come ha detto Garrone: “tutti i popoli sono popoli di migranti”.
Dopo aver girato film realistici come Gomorra – adattamento del libro di Roberto Saviano – e Dogman, o fantasy come Il racconto dei racconti e Pinocchio, in Io Capitano Garrone prende la storia vera di Mamadou Kouassi e la traspone sul grande schermo. L’attenzione è focalizzata sul coraggio e sull’incosciente speranza di Seydou (Seydou Sarr, vincitore del premio Mastroianni come miglior attore emergente alla Mostra di Venezia), un sedicenne senegalese che decide, insieme al cugino Moussa, di prendere tutti i suoi risparmi e fare un lungo, lunghissimo viaggio.
La partenza da Dakar e l’estenuante cammino del Sahara. E poi la rapina in Mali, la prigione libica, l’arrivo a Tripoli e la traversata nel Mediterraneo: un’Odissea moderna spiazzante, il viaggio di un Ulisse che smarrisce la sua giovinezza e la sua innocenza lungo la strada, conoscendo la morte e il terrore di non farcela.
Io Capitano è un classico road movie pieno di ostacoli e pericoli che il protagonista supera non senza difficoltà. Garrone concentra la narrazione e la regia sulla storia commovente e straziante del protagonista, aiutato dall’incredibile interpretazione di Seydou Sarr, il quale restituisce il dramma dei migranti, ma senza calcarne la mano. L’attore, alla sua prima esperienza come attore, regala una performance matura e tagliente.
Il regista realizza un lavoro composto e dettagliato, focalizzandosi non tanto sulla violenza sui migranti, ma sulle conseguenze fisiche e psicologiche di quello che succede durante il percorso migratorio. Tutto ciò che vediamo è la natura umana che cerca di resistere e sopravvivere in condizioni precarie ed agonizzanti, come quella nave che chiede aiuto e non riceve risposta da Malta mentre l’Italia se ne lava le mani: l’Europa sceglie l’inazione, si volta dall’altra parte mentre nel mare sta per avvenire l’ennesimo dramma.
Garrone ha usato la macchina da presa per raccontare quel viaggio composto da momenti di orrore usando l’incantevole bellezza del cinema. Una storia reale capace di scavare in profondità, fino a smuovere le coscienze nel profondo. È una chiamata all’azione quella del regista italiano con la speranza che i governi facciano qualcosa, che la popolazione si svegli ed inizi a pensare in modo diverso, che si agisca per evitare che un altro olocausto continui ad accadere nel vecchio continente.
Il regista è riuscito nell’arduo compito di mostrare a chiare lettere e sul grande schermo quello che si finge di non sapere perché non si vuole vedere. In qualche modo partecipiamo anche noi a quel viaggio dalle mille insidie, trovandoci di fronte ad un mondo indifferente e impreparato. Garrone, come Holland, si è fatto carico nel legittimare il ruolo ed il potere narrativo del mezzo cinematografico.
Io Capitano, in conclusione, oscilla tra favola e documentario, una trama che palleggia costantemente tra la voglia di farcela e la brutalità dell’essere umano. Ma a vincere è la tenerezza, è la bellezza dell’ingenuità, è il coraggio d’inseguire il proprio sogno di felicità.
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