Kontinental ’25: recensione

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Il geniale e provocatorio regista rumeno Radu Jude ha presentato il suo ultimo lavoro, Kontinental ‘25, al pubblico del Biografilm Festival di Bologna, dopo il passaggio alla Berlinale in cui si è aggiudicato l’Orso d’argento per la migliore sceneggiatura. Per l’occasione, all’autore di Sesso sfortunato o follie porno e Do Not Expect Too Much from the End of the World è stato anche consegnato il Celebration of Lives Award, con cui ogni anno Biografilm premia narratori o narratrici che con le loro opere hanno lasciato un segno importante nella contemporaneità.

Difficile trovare al giorno d’oggi un regista più radicato nella contemporaneità di Radu Jude. Un essere nel presente che non riguarda solo la realtà politica e sociale del proprio paese, la Romania, così pieno di contraddizioni e con una forte memoria storica, ma che si allarga a tutte le questioni attuali in cui siamo immersi ogni giorno, che il regista scandaglia con il suo solito arsenale di situazioni e personaggi grotteschi. Un atteggiamento che si traduce in una vera e propria urgenza comunicativa, che cerca di immortalare un hic et nunc prima che il momento opportuno passi e sia troppo tardi, meccanismo sempre più accelerato nella moderna società iper velocizzata. Questo ha portato il regista rumeno a girare anche in mancanza di finanziamenti e di una produzione solida alle spalle, come nel caso di Kontinental ‘25, il suo ultimo film presentato in anteprima italiana al Biografilm Festival di Bologna.

kontinental '25 recensione

Siamo a Cluj, capitale non ufficiale della regione della Transilvania, terra di mezzo storicamente contesa tra Romania e Ungheria, e seguiamo la routine di Ion (Gabriel Spahiu, assiduo collaboratore del regista), senzatetto che si dedica senza particolare zelo alla pulizia di un parco per sbarcare il lunario. Di notte trova rifugio abusivamente nello scantinato di un palazzo che da lì a poco dovrà essere abbattuto per far spazio a un hotel, e quando viene definitivamente sfrattato, decide di togliersi la vita impiccandosi. L’accaduto provoca un rigurgito (morale e fisico) in Orsolya (Eszter Tompa), l’ufficiale giudiziario che ha eseguito lo sfratto, e la donna comincia a essere tormentata dai sensi di colpa che prova a scacciare consultandosi con le persone a lei più vicine. In questo confronto con l’altro e con se stessa, in cui emergono forse ancora più incertezze che consolazioni, la donna dovrà fare i conti con la propria moralità e con quella di un intero paese, in una serie di siparietti a metà tra il drammatico e il grottesco.

Girato interamente con un iPhone, in una decina di giorni e con un budget quasi inesistente, Kontinental ‘25 muove i passi da una reale notizia di cronaca, una piccola tragedia del quotidiano di un uomo masticato e sputato dal capitalismo, servendosene poi per scandagliare l’animo umano e mettere alla berlina la superficialità e l’ipocrisia di una donna vittima e complice del sistema, e di un paese oppresso dal nazionalismo e dalle disuguaglianze sociali, che trovano nella crisi immobiliare uno dei suoi sintomi più evidenti. Una crisi morale e un malessere esistenziale che ormai non possono trovare più rifugio neanche nella politica e nella fede, in un evidente rimando a Rossellini e il suo Europa 51, fonte di ispirazione citata apertamente fin dal titolo. Nei suoi lunghi incontri con personaggi sempre più bizzarri, dalla madre scorbutica e fortemente nazionalista fino a un prete ortodosso, passando per un suo ex allievo di giurisprudenza ridotto a fare il rider, Orsolya cerca nel dialogo una spiegazione per l’estremo gesto dell’uomo e un’espiazione dai propri peccati, rivelando solo un’ipocrisia di fondo come nei suoi goffi tentativi di fare beneficenza per lavarsi la coscienza.

Kontinental '25: recensione 1

L’affresco di Radu Jude in Kontinental ‘25 non risparmia nessuno, e il suo sguardo è quello su un mondo in decadenza di cui ormai rimangono solo i simulacri del passato, dalle statue dei politici a quelle dei dinosauri del parco, costretti a una reiterazione infinita dei medesimi gesti meccanici, con uno scarto ormai incolmabile tra significato e significante. La stessa reiterazione che troviamo nei discorsi sempre uguali di Orsolya, perché fondamentalmente vuoti e privi di reale significato, così come le prediche di padre Șerban o le massime spirituali del rider Fred, che dimostrano come ognuno si nasconda dietro un’apparenza. In tal senso diviene fondamentale il lavoro stilistico dietro la macchina da presa di Jude: lavorando, in mancanza di mezzi, prevalentemente sulla sceneggiatura, agli attori sono affidati lunghi piani sequenza con macchina fissa, in uno stile a metà tra la finzione e il documentario, una sorta di neo-neorealismo che tartassa i suoi personaggi fino a che questi non rivelano veramente chi sono davanti alla macchina da presa, scoprendone tutte le contraddizioni. Tornando come a una forma primordiale del cinema, Jude inquadra come farebbero i fratelli Lumière, non tanto con fare voyeuristico quanto più per investigare cosa c’è dietro le cose, quale storia e quale barbarie può nascondersi anche dietro a un semplice edificio.

Con Kontinental ‘25, Radu Jude porta avanti il suo cinema estremamente sperimentale e politico sullo sgretolamento della moralità e la crisi della società in Romania e in Europa, l’ennesima commedia grottesca priva di soldi ma ricca di idee visive e narrative, che riconferma il talento di uno dei nuovi maestri del cinema europeo.

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