Moonage Daydream, dall’omonimo brano di David Bowie contenuto in The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars, è un documentario del’accalamato Brett Morgen, autorizzato dagli eredi dell’artista e contenente materiale inedito.
Cos’è che costituisce un individuo? Non carne, sangue, e ossa, bensì quali sono i requisiti ontologici perché un essere vivente sia una persona? E’ essa materiale sensibile oppure contiene in sè elementi del trascendente?
Secondo David Bowie si tratta della capacità di mettere assieme i pezzi, che, sorprendentemente, finiscono per creare un unicum. Di vivere la vita, in modo caleidoscopico, ed imparare continuamente: sfruttare la curiosità come un periscopio per navigare per quanto il mondo può offrire – abbracciare l’attimo.
David Bowie è stato il re degli Epicurei.
Il nuovo lavoro di Brett Morgen, già autore di biopic sperimentali su Kurt Cobain e Jane Goodall, è un mosaico di colori lisergici e in continuo mutamento – un viso non mascherato, miriadi di espressioni facciali e occhi di colore diverso – che ripercorre gli anni di successo e carriera di David Bowie. Ampio è l’uso di interviste dell’epoca, come quella con Russell Harty – are there any bisexual shoes, in the world? – nonché di materiale originale autorizzato dagli eredi di Bowie. Il lavoro è diviso in varie tematiche: la sessualità, come espressa nella filosofia di Bowie; la libertà espressiva; la famiglia, la malattia mentale del fratello, la crescita a Brixton; l’eclettismo quasi leonardiano che lo caratterizzava; la crisi di mezz’età; la riappropriazione di se stesso, e, infine, l’amore per Iman, e l’invecchiare con lei. L’andarsene infine con grazia, tornando sulla stella dalla quale era venuto. Una stella oscura, ma non per questo buia.
Per la prima volta in materiale inedito, vediamo un Bowie pittore, psichedelico ed eclettico, e dotato perfino nel disegno; vediamo un Bowie ballerino sperimentale – lo vediamo sperimentare allo specchio sul proprio riflesso; lo ammiriamo perdersi nei suoi incredibili outfit, nelle rughe che aumentano sul volto e nei folti capelli che iniziano a cadere. Bowie vive di nuovo nei suoi live show della sua lunghissima carriera, sin dall’epoca di The Man Who Sold the World, passando per “Heroes” e Let’s Dance.
L’eccezionale lavoro di montaggio di Morgen è però affiancato da una forte, eccellente, componente cinematica ed artistica. Il viaggio su questa terra di Bowie non è dissimile da quello immaginario di un alieno di una specie superiore, antica, antecedente alla nostra: proviene da una stella oscura, e a quella stella tornerà. Stelle che appaiono trapuntando un cielo nero, ed al centro un corpo celeste, come un gigantesco animale in attesa. Avvalendosi anche di clip da 2001 Odissea nello Spazio, Das Cabinet Des Dr. Caligari, Nosferatu, Metropolis, Moonage Daydream concorre a creare un’atmosfera vintage fino a sfociare nella distorsione metaforica del mitologico, inscrivendovi all’interno un David Bowie trasfigurato prima – nei suoi anni da Ziggy Stardust – e poi reale, come un pezzo da museo, dopo.
Vediamo i suoi eccessi – clip da Cracked Actor, documenario della BBC del 1973 – di droga, cocaina e lusso; e vediamo la sua necessità di isolamento, a Berlino. Pezzi, fettine di vita che infornano una torta caotica e multicolore.
Nei grandiosi live, al limite del masturbatorio, nei remix di Tony Visconti – produttore di innumerevoli album di Bowie, compreso l’ultimo Blackstar – si percepisce, senza tentativo di celarla, la megalomania di Bowie che l’ha reso celebre: Moonage Daydream è un ritratto neutro, impietoso, dell’uomo artista – del suo tormento, spesso al limite del capriccio – e della nascita del suo genio. L’upbringing di un genio, in una famiglia con malattia mentale; la necessità pirandelliana di celare il proprio volto dietro molteplici maschere. Moonage Daydream cuce assieme visioni galattiche, enormi come l’ego dell’Uomo Bowie, e i suoi filmati sperimentali – i suoi pezzi; come perfino le folle adoranti, fossero sì pezzi di lui, ma esterne – quasi un fastidio, un vezzo di cui si può far a meno. Le sue riflessioni solipsiste sulle solitudini degli immigrati berlinesi e sui buddisti thailandesi sono figlie già di una fama ben radicata: l’uomo è già messaggio, è già vessillo di altro, non è più se stesso. Ne è cosciente, lo sa, abbraccia tale necessità altrui – del pubblico, non sua. A tratti. Fino alla crisi di mezz’età.
Moonage Daydream è un lavoro incredibilmente ambizioso: mescola b-sides degli anni ’70 con minutaggio da lavori sperimentali degli anni ’90 di Bowie stesso, in un continuum spazio-temporale, un lago di fotoni di Planck quando Bowie entra ed esce baldanzoso da una facoltà di Fisica, creando la Persona-Artista.
Il film, peraltro, riflette sul ruolo dell’artista e su come esso sia variato dagli anni ’70 ad ora: cos’è la rockstar? È una bandiera, una polena sulla prua dell’ammiraglia? È un professionista? È un onesto mestierante? È un profeta, è il nuovo Maometto? È un dio minore? È servo di se stesso?
Il carattere lisergico e psichedelico di Moonage Daydream ricorda, forse volontariamente, gli effetti grafici di Windows Media Player, XP edition. Sinestesia allo stato puro. Non dovrebbe funzionare sul grande schermo, eppure funziona. I bassi diventano blu scuri, le note acute violetti. Schizzi di colore, piccole supernovae. Totale mancanza di stabilità: continua evoluzione, continuo cambiamento. Un flusso infinito, senza soluzione di continuità. Così come l’eclettismo di Bowie è narrato, esso è espresso cinematograficamente nel film, che diviene multilivello: Moonage Daydream, in più di due ore, è l’esperienza di una vita; di un uomo che voleva sentire, e per il quale il mondo sensibile, quello del momento, quello che esiste – che è vivo, che pulsa, che vibra, come i ballerini in chiusura – è quello che conta.
Moonage Daydream è una visione obbligatoria per ogni amante della musica, della cultura, del cinema.
We’re the original false prophets. We are the gods.
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