Dopo i successi di La forma dell’acqua (2017) e Nightmare Alley (2021), Guillermo del Toro torna sul grande schermo con Pinocchio, un film d’animazione realizzato con la tecnica dello stop-motion in uscita al cinema e su Netflix a dicembre.
Come sappiamo, del Toro è solo l’ultimo dei registi a riproporre la sua versione del capolavoro di Collodi uscito originariamente nel lontano 1883: tra esperimenti falliti (si pensi al Pinocchio del 2002 diretto da Roberto Benigni) e film riusciti in pieno (penso esattamente al Pinocchio di Matteo Garrone, che dietro la macchina da presa non ne sbaglia una), l’ultima opera di Guillermo del Toro si inserisce dunque in un lunga lista di remake (se così si possono chiamare), e lo fa supportato da un cast d’eccezione, che dà voce ai protagonisti del film.
Troviamo Ewan McGregor a dar voce al Grillo Parlante, Christoph Waltz a dar voce alla Volpe, Tilda Swinton a dar voce alla Fata Turchina, e poi ancora Ron Perlman, Cate Blanchett, Burn Gornman, e John Turturro, solo per citare alcuni degli altri doppiatori.
Affrontiamo subito l’elefante nella stanza, ossia la domanda che chiunque si è posto non appena ha scoperto che il prossimo film di Guillermo del Toro (sì, proprio lui) sarebbe stato Pinocchio: ce n’era davvero bisogno? In un periodo in cui l’industria cinematografica (e, a dirla tutta, anche quella delle serie TV) sembra nutrirsi un po’ troppo di idee del passato riproposte a intervalli più o meno regolari, saturando le sale con film mutuati da capitoli precedenti, cosa può aggiungere l’ennesimo film su Pinocchio? Cosa possiamo imparare oltre a quello che conosciamo già letteralmente da 140 anni?
La risposta di del Toro è semplice ed arriva nei primi minuti della pellicola: vi siete appena seduti – e, diciamocelo, magari l’avete fatto solo perché è del Toro – e quella domanda vi ronza ancora in testa, ma presto vi accorgete che la storia non vi torna. Non è quello che vi stavate aspettando. Geppetto, falegname, vive con il figlio Carlo in un piccolo borgo del centro Italia durante la Seconda guerra mondiale, in pieno regime fascista.
La quotidianità del luogo viene messa alla dura prova dai bombardamenti aerei, che uccidono tragicamente Carlo: soverchiato da un dolore troppo grande da sopportare, Geppetto sembra non riuscire ad andare avanti con la sua vita, e sprofonda in una tremenda depressione. Riuscirà ad uscirne solo grazie alla Fata Turchina che, mossa a compassione, decide di dar vita a quel burattino scolpito da Geppetto in uno dei suoi frequenti momenti di sconforto nel ricordo del figlio Carlo. Prende così vita Pinocchio, che trascinerà Geppetto – suo malgrado – verso innumerevoli avventure.
In questa sua versione di Pinocchio, del Toro decide quindi di usare la fiaba di Collodi solamente come punto di partenza, reinventando quasi tutti quelli che erano i cardini dell’opera originaria: i personaggi (solo per fare un esempio, la Volpe e Mangiafuoco diventano un unico personaggio), la loro personalità (Lucignolo non è chi pensavamo di conoscere), nonché ovviamente le avventure dei protagonisti, che si svolgeranno in ambienti e contesti del tutto nuovi o rivisitati. Il prodotto finale funziona in ogni suo aspetto: del Toro gioca molto sul fatto che il pubblico pensa di sapere come andrà a finire la storia, e ne approfitta per stupirlo con trovate inaspettate.
Il film è strutturato su una sceneggiatura solida e ben delineata: è vero che alcune delle avventure dei protagonisti sembrano avere meno forza di altre a livello di trama; tuttavia, sono presenti molti colpi di scena e battute che contribuiscono a rendere il film decisamente godibile dall’inizio alla fine, nonostante una durata sì non eccessiva ma nemmeno troppo breve.
E qui forse troviamo uno dei pochi aspetti negativi del film, peraltro condiviso anche dal Pinocchio di Garrone (siamo intorno alle 2 ore in ambedue le pellicole). La vera forza del film, insieme alla natura dei personaggi ed alle innovazioni dal punto di vista della trama, sta senza dubbio nella tecnica di animazione: i disegni sono impeccabili e vi lasceranno a bocca aperta.
Per concludere, Pinocchio è quel classico film che non vi pentirete di guardare, e che concluderete con un sorriso sulle labbra, consci di aver visto qualcosa di nuovo e che non vi aspettavate. È un film che non si prende troppo sul serio – è zeppo di scene divertenti e battute esilaranti, nonché di ironia e sarcasmo più o meno velato nei confronti del regime fascista – ma che riesce a trasmettere alcuni messaggi importanti, e lo fa attraverso la visione di quel grande regista che è del Toro, capace come sempre di conferire ad ogni personaggio grande dignità e carisma. E alla fine vi risponderete che sì, tutto sommato, ce n’era davvero bisogno.
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