È ufficialmente uscita la seconda stagione di Cuphead, tratta dall’omonimo videogioco. La serie conta 13 episodi da 15 minuti ciascuno. Prodotta da Netflix in collaborazione con Studio MDHR e King Features Syndicate. Così come la prima stagione anche questa seconda parte sembra essere pensata per i più piccoli.
Cuphead continua laddove si era fermata la prima stagione.
Cuphead e Mugman sono stati arrestati per aver tentato una rapina alla fabbrica di biscotti insieme a Calice, poi abbandonati lì dall’amica che è invece fuggita. I due giovani fratelli si ritrovano quindi a dover scappare dalla prigione senza l’aiuto di nessuno.
Riescono nell’impresa non senza qualche difficoltà, poi una volta tornati a casa ritrovano Calice che gli dice di essere un fantasma, superata la paura accettano l’amica per quel che è e cominciano una serie di avventure insieme.
La trama di questa seconda stagione è diversa dalla prima ma mantiene lo stesso scheletro: Cuphead e Mugman vivono tante avventure autoconclusive nell’isola Calamaro e sul finale Satanasso fa il suo ritorno decidendo di nuovo di provare a prendere l’anima della giovane tazza.
In più rispetto alla prima stagione c’è il personaggio di Calice e la sua storia ma anche questo no risulta come vera colonna portante della trama, andando semplicemente ad aggiungere un personaggio ricorrente nelle avventure dei due protagonisti.
The Cuphead Show! È sempre un piacevole viaggio nel passato.
Ciò che risulta sempre piacevole è lo stile grafico della serie, così volutamente retrò con un pizzico di nostalgia a tutti coloro che sono cresciuti con i vecchi cartoni animati in bianco e nero. Il vero problema è che laddove nel videogioco la direzione artistica è chiara ed univoca, nella serie si perde un po’. Non tutti i disegni sono fatti a mano quindi visivamente si ha la sensazione di un cartone animato moderno volutamente disegnato come fosse vecchio stile.
Sicuramente è da apprezzare lo sforzo dello studio nel rimanere fedele ad uno stile d’animazione datato e che sembrerebbe aver perso la sua presa sul pubblico occidentale, anche se ormai gli anime sono molto conosciuti anche da noi e quindi non stupisce uno stile diverso dalla computer grafica americana.
Come sempre molto simpatiche e divertenti sono le varie animazioni dei corpi, così grotteschi e fuori dalla normalità che riescono sempre a stupire in qualche modo. Altra aggiunta a questa seconda stagione sono ancora più boss ripresi dal videogioco che qui come sempre fungono da personaggi secondari nei vari episodi.
Avevamo veramente bisogno della seconda stagione della serie di Cuphead?
Il più grande difetto di quest’opera rimane la trama. Così come nella prima stagione anche in questa seconda parte non sembra esserci una vera storia, i personaggi non hanno una progressione ed i vari episodi spesso non sembrano avere effetti sui successivi (esclusa la storia di Satanasso).
Il problema della serie è chiaramente il target a cui è rivolta. Sì perché se il videogioco è chiaramente pesato per un pubblico adulto che vuole rivivere la propria infanzia in quella squisita opera, questa serie è chiaramente pensata per avvicinare un pubblico di giovani a questo mondo.
Il problema è che chi ha veramente apprezzato il videogioco sono sicuramente coloro che cercavano l’effetto nostalgia, cosa sì presente nella serie ma quasi come effetto secondario. Inoltre sia la trama che le battute presenti sono chiaramente rivolti ad un pubblico giovane e potrebbero risultare puerili a chi invece ha apprezzato l’opera videoludica.
Al netto dei difetti questa seconda stagione risulta un po’ come la prima, un’opera molto semplice e pensata per i più piccoli con lo scopo di avvicinarli al videogioco. Viene il dubbio se tutta questa stagione non sia stata fatta solo perché è uscito recentemente il Dlc del gioco con protagonista proprio Calice.
In conclusione questa seconda stagione presente degli episodi molto brevi che sicuramente on risulteranno pesanti, ma che non lasceranno nulla allo spettatore adulto, mentre viceversa potrebbe essere un’opera molto carina per i più piccoli che probabilmente non sono abituati a questo genere di cartoni.
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