Ritratto della Giovane in Fiamme è un film di Celine Sciamma del 2019, presentato in concorso al Festival di Cannes e vincitore della Queer Palm, primo film di regista donna a vincere tale categoria.
Scelta del poeta, scelta dell’amante.
E se fosse stata eurodice a chiedere ad Orfeo di voltarsi, guardarla per un’ultima volta, e lasciarla andare?
Il mito di Orfeo, fatto rivivere da Ovidio nelle Metamorfosi, è radice di Ritratto della giovane in fiamme, quarto film della regista francese Celine Sciamma, e premiato col Queer Prize durante l’ultimo festival di Cannes.
Il 2019 (qui i migliori film secondo Shockwave) ci ha regalato grandi storie: Storia di un Matrimonio, Parasite, The Irishman. Ma una grande storia d’amore non c’era ancora: ed ecco che arrivano, camminando lentamente sulla spiaggia, Marianne ed Heloise, interpretate da Noemie Merlant e Adele Haenel.
Francia, da qualche parte nell’alta società, inizio del diciannovesimo secolo. Marianne è figlia di un pittore, pittrice affermata ella stessa, come fu la ritrattista Élisabeth Vigée Le Brun, sebbene costretta ad una carriera meno fortunata proprio per via del suo sesso; insegna disegno e pittura a ragazze di buona famiglia, damigelle che si mariteranno – cosa che lei non ha intenzione di fare. Un particolare quadro, durante una lezione, cattura l’attenzione di un’alunna poco discreta: nel buio di un campo, una giovane dai capelli d’oro indossa un abito blu scuro. In fiamme. Ma lei sembra non curarsene, e guarda con interesse all’artista, nascosto dietro un invisibile cavalletto. Da qui parte un lungo flashback, che ci porta ad una Marianne più giovane, cui viene commissionato da una nobile decaduta, forse contessa- da una Valeria Golino che non sapeva di essere francofona – il ritratto della figlia Heloise, da realizzare in un’isolata residenza in Bretagna. La grande casa è gestita dalla giovanissima governante Sophie (Luana Bajrami), che, ben presto, rivela a Marianne il motivo del ritratto: la figlia della contessa, quella che si sarebbe dovuta maritare, si è lanciata giù dalla scogliera. Come faceva Sophie ad avere la certezza della volontà suicida?
Perché la signora non ha urlato, risponde Sophie servendo pane e formaggio.
L’altra figlia, Heloise, è stata così richiamata dal convento delle benedettine in cui era costretta sin dalla giovane età, e convinta dalla madre che Marianne è una compagna di passeggiate, dal momento che la madre teme che anche la seconda figlia posso avere manie suicidarie. Heloise non deve assolutamente sapere che Marianne è in realtà giunta in quella remota località per ritrarla per il suo futuro marito, un certo signorotto milanese, mondano, e così la pittrice deve limitarsi a fissare nella mente i dettagli del suo volto, occhiate di sfuggita e sguardi rubati. Proibiti, come quelli di Orfeo.
Fra le due nasce, lentamente, un profondo legame: Marianne, donna anticonformista e ricca di esperienze, è una fonte infinita di informazioni riguardo al mondo esterno per Heloise, Che, dal silenzio del convento, aveva sempre udito solo musica d’organo e letto libri sacri. Per lei, un romanzo – anche d’appendice – ed un’arietta comune delle Stagioni di Vivaldi, rappresentano una ventata di novità, una grandiosa invenzione. Heloise, che in convento non ha imparato ad amare Dio, impara invece a correre sulla spiaggia e a non temere il futuro – il mondo esterno che la attende a Milano.
Ritratto della giovane in fiamme è, come ho anticipato, una storia d’amore. Le giovani, come prevedibile, si innamorano perdutamente l’una dell’altra: è Marianne a compiere il primo basso, rubando, all’ombra della scogliera, sottovento, scostandole il foulard, un bacio ad Heloise; ed Heloise le insegna, nonostante creda di non sapere nulla del mondo, l’amore alla silenziosa Marianne.
Ritratto della giovane in fiamme è, però, una storia di donne. Perché, sebbene il focus sia posto sulla relazione proibita fra le protagoniste, il personaggio di Sophie si ritaglia uno spazio importante, e fornisce l’opportunità di parlare di un tema tuttora scottante: l’aborto.
Le sofferenze cui una donna che non voleva avere figli, prima del ventesimo secolo e durante esso, erano indicibili: decotti di erbe velenose, improbabili operazioni con ferri da calza. Le donne affrontano assieme l’interruzione di gravidanza di Sophie, praticata dalla mammana del vicino villaggio – facente parte di una congrega di donne che ha del pagano, ma che è anche controcultura di un mondo maschilista che prevede che una donna sia solo merce di scambio. Ed è durante un falò, un’orchestra di voci e mani femminili che Heloise non aveva mai udito, che il suo abito prende fuoco – e che la sacra ira che la giovane ha dentro si rivela in tutta la sua potenza all’osservatrice Marianne.
Ritratto della giovane in fiamme è, d’altro canto, un film silenzioso.
La musica è presenza nella sua assenza: nelle note accennate alla spinetta da Marianne, nei cori femminili, nel vociare felice delle tre amiche nella grande casa e nei gemiti d’amore delle due amanti. Costruita è, infatti, questa assenza, che si fa invece potente presenza nel toccante finale.
L’attenta costruzione psicologica dei personaggi è, d’altro canto, fulcro e punto di forza del film: lo stesso, però, non si può dire del valore pittorico dello stesso che, forse, come fu nel caso de La ragazza con l’orecchino di perla, sarebbe potuto essere più marcato, nelle inquadrature, nei chiaroscuri, nella costruzione delle scene. Vi sono, però, quadri pregevoli: le tre donne chine nella stenta erba del prato, Heloise – come la madre di Odisseo – che lascia che il mare la abbracci e sparisce nella spuma, e gli insistenti ritratti dei profili delle protagoniste, già di per sé bellissime.
La donna, nel suo insieme, è ritratta nei tre ritratti che Marianne realizza di Heloise: il primo, privo di vita, che è costrizione sociale, ancora dura a morire; il secondo, quello di una donna che ha imparato a giocare con le armi degli uomini, a muoversi nel loro mondo; e l’ultimo – l’abito in fiamme – la libertà di scelta che a Heloise è stata negata. E la sua furia.
Il grandissimo pregio, infine, di Ritratto della giovane in fiamme, è il suo ritrarre come normale – e non licenziosa – una storia d’amore saffico: quanti casi si contano nella storia del cinema?
Il decantato Vita di Adele scade ben presto nel morboso, mentre in molti altri casi i particolari pornografici abbondano rispetto all’espressione dei sentimenti – perché il pubblico cinematografico, vai a capire perché, è fondamentalmente maschile. In questo senso, dando spazio quasi esclusivamente all’introspezione psicologica e romantica, il film della Sciamma è rivoluzionario: sceglie, come Joe di Piccole Donne, di mostrare non solo la bellezza di due corpi femminili nudi, ma l’intelligenza e il sentire profondo che si nasconde nelle loro menti. Nella poesia che sanno concepire: perché per loro, Euridice, ha scelto di rimanere nel mondo dei morti, e non di essere riportata in superficie dell’egoismo di Orfeo.
Ritratto della giovane in fiamme è un piccolo film, ma che si conficca dentro come una spina piantata nel cuore: un film nobile nel suo essere necessario.
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