Uscito nei cinema nel 2012, Romanzo di una strage descrive il clima teso degli anni di piombo, ripercorrendo gli eventi che vanno dall’autunno caldo del 1969 alla morte del Commissario Calabresi nel 1972
Cinquant’anni senza colpevoli. Cinquant’anni senza verità. Cinquant’anni dalla madre di tutte le stragi.
Il 12 dicembre del 1969, alle 16.37, una bomba esplose all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura, a Piazza Fontana a Milano. L’Italia cambiò. Gli italiani cambiarono. Una metamorfosi nei comportamenti e negli atteggiamenti che stanno al centro di Romanzo di una strage, il film di Marco Tullio Giordana non indenne da errori. Ma come si fa a non commettere errori nel raccontare un evento carico di imprecisioni, alcune evidenti, altre occultate – in parte, forse – dallo Stato, dall’opinione pubblica e da chi conduceva le indagini? E’ difficile comprendere – per chi scrive una sceneggiatura, per chi la legge, per chi la guarda – dove finisca l’invenzione e dove inizi la verità.
Per questo la ricostruzione storica della pellicola, come normale che sia, viene filtrata dalla prospettiva, intrisa di elementi particolareggianti, del registra. Si percepisce l’intento di dare una determinata inclinazione alla narrazione dei fatti, alla presentazione dei personaggi e all’indagine storica e giuridica di quella che passò alla storia come “la strage di Piazza Fontana”.
Quel 12 dicembre si portò dietro una scia di sangue: 17 persone morirono e 88 rimasero gravemente ferite. Ma una diciottesima vittima, non presente in Piazza Fontana quel pomeriggio, è legata a quella strage. Chi c’era, racconta la notte tra il 15 e 16 dicembre strana, calda, agitata. Da una finestra del quarto piano della questura di Milano, dopo quarantotto ore di interrogatorio, vola Giuseppe Pinelli, un ferroviere, un anarchico.
Il colpevole perfetto. Ma colpevole non è. Quella notte i presenti – il tenente Lo Grano e i brigadieri Panessa, Muccilli, Mainardi e Caracuta – fornirono tre differenti versioni dei fatti, tutte poco convincenti e discrepanti tra di loro. Chi dice la verità? Omicidio o suicidio? Interrogativi che non hanno mai avuto una risposta.
Nessun responsabile per la morte di Pinelli. Nessun responsabile per la strage.
Eppure era evidente: quella bomba di Piazza Fontana non era un gesto isolato di un folle che non riusciva a gestire la sua noia. Come non lo erano gli altri quattro attentati preparati quello stesso giorno: una bomba esplose a Roma alle 16:55 vicino la Banca Nazionale del Lavoro, ferendo tredici persone; altre due bombe esplosero sempre a Roma tra le 17:20 e le 17:30, una davanti l’Altare della Patria e l’altra in piazza Venezia, ferendo quattro persone; ed un’altra bomba venne ritrovata inesplosa in piazza della Scala, a Milano.
Quest’ultima bomba, quella di Milano, dopo ordini superiori che arrivarono direttamente da Roma, fu fatta scoppiare alle 21,30 dagli artificieri della polizia, distruggendo così indizi, prove che potevano incriminare i responsabili della strage e – magari, chissà – fermare la “strategia della tensione” che invase il nostro Paese per un intero decennio, fino alla strage della stazione di Bologna il 2 agosto 1980.
Ed è in questo contesto buio, di guerra fredda che l’opera di Giordana si va collocarsi, narrando un percorso di approfondimento storico particolare, quello che va dal 1969 al 1972, il periodo dove furono preparati e portati a termine oltre 100 attentati. Un disegno politico di atti criminosi volti a cospargere di terrore la penisola, da nord a sud.
Romanzo di una strage sviscera la “questione Pinelli” – l’anarchico interpretato dal sempre eccellente Pierfrancesco Favino – e al conseguente “caso Calabresi”, il commissario – interpretato da Valerio Mastandrea – che era presente la notte del 15 dicembre e accusato dai gruppi estremi di sinistra di essere l’assassino di Pinelli. Un melodramma lirico psicologico dalle mille sfaccettaure tratto dal libro I segreti di Piazza Fontana di Paolo Cucchiarelli. Giordana, che è un maestro nella trasposizione cinematografica di eventi di cronaca rilevanti, sottolinea il fatto che tutti sono stati giudicati, ma nessuno condannato.
Ipotesi, dubbi, rassegnazioni, certezze, sentimenti contrastanti sono gli elementi centrali dei personaggi del film che si fanno testimoni di una verità e di una giustizia che si abissa lentamente. Una o due bombe? Questo quesito è esplicato, capovolto e irriso durante le sequenze del film. Infatti, si cerca addirittura di fare luce sulla “teoria della doppia bomba” a Piazza Fontana: una messa all’interno della banca dagli anarchici e l’altra, quella esterna che ha provocato l’esplosione della prima, dai gruppi estremisti di destra.
Romanzo di una strage viene intelligentemente diviso in capitoli, per dare un ordine cronologico agli eventi.
Si tratta la pista anarchica, che culmina con la morte di Pinelli, il falso depistaggio svizzero, l’indagine parallela che vede i neofascisti infiltrati nelle file di anarchici, l’ipotesi di un tentato golpe militare e l’idea dei servizi segreti corrotti e deviati. Oltre Luigi Calabresi e Giuseppe Pinelli vengono raccontate tutte quelle figure politiche e istituzionali, quei personaggi indagati e sospettati, quei testimoni e giornalisti che sono stati protagonisti degli anni di piombo.
Ci sono i giudici Biotti e Paolillo, Aldo Moro e il Presidente Saragat, c’è Pietro Valpreda, l’anarchico accusato di aver causato la strage, e poi ci sono Franco Freda e Giovanni Ventura, i reali colpevoli secondo la prospettiva del film a capo della cellula padovana neofascista, capaci di escogitare il tutto perché collusi con lo Stato grazie all’appoggio dell’agente dei servizi Guido Giannettini.
Marco Tullio Giordana, grazie ad un cast di qualità suprema, è stato magistrale e minuzioso nel portare sul grande schermo un thriller politico avvincente e angosciante. Romanzo di una strage è una cronistoria di quello che resta uno degli episodi più drammatici e rappresentativi del periodo più buio dell’Italia repubblicana, durante i quali lo scontro politico si tradusse in violenze di piazza e lotte armate, dove tutto veniva insabbiato, confuso, nascosto da interessi che si pensava fossero superiori, da ideologie distorte, da una politica che latitava tanto da rendere gli italiani orfani della democrazia e della giustizia.
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