Negli ultimi giorni è arrivato The Irishman, l’ultima pellicola di Martin Scorsese, sulla celebre piattaforma di streaming Netflix. Una produzione che, fin dai primi passi, ha attirato l’attenzione del pubblico, non solo per i nomi in gioco, davanti e dietro la cinepresa, ma anche per il modo in cui il film sarebbe stato distribuito: dopo una iniziale, e non troppo diffusa, distribuzione nelle sale, il contatto della pellicola con il grande pubblico arriva proprio con la disponibilità su Netflix, incontrando non poche critiche da parte degli appassionati della sala cinematografica.
Eppure, al netto delle critiche e delle recensioni, un dettaglio del film è diventato virale nei giorni scorsi: la durata. La pellicola supera infatti le tre ore di visione, con una durata decisamente notevole per il cinema odierno e non solo, con gli spettatori abituati a dei tempi inferiori (solitamente tra le due ore e le due ore e mezza, un distacco non di poco dal film di Scorsese). The Irishman finisce così per mettere in luce come sia diventato differente il modello stesso di fruizione di contenuti di questo genere. Come può lo spettatore del binge-watching non accettare il tempo di visione di questo nuovo lavoro del celebre cineasta?
Netflix torna così al centro del discorso, avendo sviluppato un modello di distribuzione dei propri contenuti seriali che vede come focus proprio la possibilità di poter vedere in poco tempo intere stagioni. Alla classica visione settimanale si è sostituita una vera e propria indigestione di episodi, in estenuanti maratone per concludere il prima possibile la propria esperienza, con effetti a volte negativi, come la mancanza di riflessione su quanto si è visto, col risultato di ricordare una amalgama di eventi della storia di cui diciamo di essere appassionati (Interessante come Disney+ stia tentanto la strada opposta, riproponendo un modello su base settimanale, come stanno avendo modo di vedere gli spettatori di The Mandalorian, serie dedicata al mondo di Star Wars).
Quindi qual è la differenza tra la visione di un film che supera le tre ore, e di tre o quattro episodi la cui somma dia lo stesso minutaggio? La risposta è da ricercare nella struttura stessa delle due esperienze. Una pellicola è costruita come una unica realtà, da osservare e vivere dall’inizio alla fine, al netto delle necessarie interruzioni. La serialità invece prevede una divisione strutturale già all’interno degli stessi episodi, con atti più o meno movimentati, e le cesure che, al netto degli eventuali cliffhanger, portano a un vero e proprio effetto circolare: si affronta nuovamente un inizio, di nuovo un nucleo del racconto, di nuovo una conclusione. Al tempo stesso il binge-watching ci ha anche abituati a vedere sì molti contenuti in sequenza, ma con la possibilità di chiudere a ogni conclusione di episodio, rendendo la visione anche più agevole, a seconda delle esigenze. Al contrario, un’unica pellicola prevede una grande disponibilità di tempo per un consumo unico.
The Irishman ha perciò contribuito a portare a galla un cambiamento delle abitudini dello spettatore moderno, favorendo una riflessione in grado di far luce su effetti positivi e negativi di un mondo dell’intrattenimento appassionante quanto controverso.
Leggi anche
- The Witcher Blood Origin – Recensione - Dicembre 23, 2022
- Avatar La Via dell’Acqua – Recensione - Dicembre 14, 2022
- Black Panther Wakanda Forever – Recensione NO SPOILER - Novembre 8, 2022
2 commenti su “The Irishman e la durata di un film nell’epoca del binge-watching”
I commenti sono chiusi.