L’artista Enrico Mazzone, piemontese classe 1982, formatosi all’Accademia di Belle Arti di Torino, è al lavoro al primo piano del Mercato Coperto. Realizzerà l’ultima cantica, il Paradiso, proprio a Ravenna, che nel 2021 festeggia i 700 anni della morte del Poeta.
Enrico Mazzone è arrivato a Ravenna dopo aver vissuto e lavorato, principalmente come artista e insegnante d’arte, per alcuni anni in Finlandia a partire dal 2015. L’idea per la colossale opera è stata ispirata dalla visita ad una cartiera a Rauma, avvenimento che, ammette lo stesso artista, ebbe su di lui “lo stesso effetto che ha su un bambino visitare una fabbrica di cioccolato”.
Entrato in possesso di una bobina di carta proprio a seguito della visita, l’artista, ben consapevole dell’unicità della produzione in cui sta per cimentarsi, sceglie un soggetto degno dell’opera: la Divina Commedia, rappresentata per intero nelle sue tre Cantiche. Intraprende allora una ricerca di stile, seguito e consigliato da niente di meno che il critico Vittorio Sgarbi, mentore e amico. Disegnato l’Inferno e il Purgatorio in terra scandinava, Enrico Mazzone torna in Italia e, tra mille peripezie e qualche piccola delusione, il destino fa la sua parte.
Noi di Shockwave Magazine lo abbiamo intervistato per farci raccontare qualche retroscena del suo lavoro.
Com’è nata l’idea di rendere omaggio a Dante? E perché proprio lui?
Dante, maestro di Vita contemporaneo. In qualsiasi momento di perdizione, quasi per eco torna a metterci in asse, incitando a procedere con coraggio e dedizione.
Nonostante il percorso faccia paura per la violenza eruttiva, le epifanie, un susseguirsi di eventi iniziano ad avere un senso logico che incoraggia, al fine di affilare la mente e trovare il coraggio perso. Non avevo questa confidenza sei anni fa, o sette, quando scappai a gambe levate da Torino.
Eppure oggi posso dire che nell’andare a fondo nel percorso che ho deciso di intraprendere, ha avuto senso spostarmi lontano, perdere le coordinate e ricollocare i punti cardinali per procedere. E sono cresciuto, caduto, mi sono trasformato e sono rinato dopo aver cambiato pelle in numerosi riti di morte (per lo meno gnostici).
Omaggiare Dante, oggigiorno, è un atto di crescita, dal quale epos, possiamo istruirci ed emulare il cammino iniziatico. Il settecentenario è poi un cammeo, visto che Dante è eterno.
E che sia chiaro, non parliamo dell’Accademia della Crusca o di ciò che fa dei Dantisti gli unici eletti. Illuminati lo diventiamo quando abbracciamo la via del dolore, della passione e della resurrezione in Uomini Nuovi.
Quante matite hai usato finora?
6000 in quasi cinque anni, ovvero da che ebbe inizio la mappatura sulla bobina di carta. Le ho contate e messe da parte in gruppi da 10 e 25, i moncherini invece sono chiusi in un garage a Torino per essere contate assieme a quest’ultima tornata dei sette mesi ravennati in cui circa 300 sono state utilizzate.
Fanno parte di una memoria del modus operandi che ho utilizzato. Per questo da feticista le conservo, al fine di poter conservare ricordi che hanno influito sul progresso.
Ti è mai capitato di svegliarti la mattina e di esserti “pentito” di aver iniziato un lavoro così lungo e duro da sopportare?
Si, certo. Ho attraversato diversi ed intensi stati emotivi, che in una cartina tornasole hanno influenzato l’umore. Intanto in nome dell’ossessione sono riuscito a respirare il sonno perso, facendolo mio. Come fosse un metodo Stanislavskij, ho studiato molto l’attitudine da utilizzare, al fine di brevettarla in un comportamento da adottare a guisa di routine.
Non è stato facile all’inizio, non avendo avuto libretti per le istruzioni, ho perlomeno commutato tutti i miei difetti in abitudini e portati in eccellenza. Ovvero, l’atto creativo doveva diventare continuo e senza ledere né il fisico quanto meno l’anima… Ecco il puntino, ovvero la cifra stilistica che portata ad una folle espansione ha saputo creare ritmo, forma e sostanza metafisica. I primi mesi del 2015, ho avuto qualche crollo nella composizione dei primi complessi figurativi.
Era la prima volta che decisi di rischiare in “grande” ed essere cocciuto da sfidare i miei limiti. Piangendo in alcuni giorni in cui mi sentivo solo per paura di non farcela, trovai conforto nello sfogliare i libri di Durer e Bosch, pensando che nulla al di fuori della passione può portare a compiere capolavori, con autenticità’ e carattere.
E, credo sia stato proprio questo motivo che ha iniziato ad attrarre attenzione, più che la tecnica utilizzata o la poetica dell’epica, se non del mio viaggio sibillino ed ermetico.
Certo, i media, creando aspettative mi hanno dato “pezzi ” di responsabilità con i quali mi costruì una cotta d’armi per entrare in campo. Eccomi qua, quindi, appesantito ed alleggerito allo stesso tempo, ma non pentito.
Quando pensi che sarà finito e dove sarà possibile ammirarlo?
In questi giorni mi sto organizzando con una serie di incontri. Luoghi deputati finora si sono fatti avanti a catena: i musei San Domenico a Forlì, il MAR a Ravenna e Palazzo del Podestà’ a Faenza, Covid permettendo, ovviamente. Ecco perché’ dall’11 al 14 febbraio il team Cultural Heritage (promosso dall’assessore del Turismo Costantini e dalla Dirigente Maria Grazia Marini) si impegnerà a digitalizzare l’intero disegno al Mercato Coperto in modo da avere un prodotto adatto a qualsiasi formato.
Io personalmente sto cercando di rendere itinerante l’esposizione in diverse città delle quali Torino è tappa fondamentale. Dalla città’ dove sono letteralmente scappato, rientro con la mia esperienza, orgoglioso ed umile al contempo. Turku e San Pietroburgo, grazie ad alcuni contatti si sono detti molto interessati ad ammirarlo tra il 2022 ed il 2023.
Cosa significa passare 10 ore al giorno sdraiato per terra a realizzare centinaia di puntini?
Trascendere la realtà in un atto meditativo.
Ho capito in questo percorso introspettivo, quanto fosse importante per me avere una connessione con una fonte prolifica di metafisica. Lo devo alla poetica dalla quale attingo, e se non percepisco un atto spirituale che mi distacca dal flusso quotidiano di caos, mi ammalo e do di testa.
Il mio mandala è quindi brevettato in un ciclo di continua ricerca dell’invisibile, la cui forza e spiriti mi permettono di tracciare il segno nel tempo. Sentire la natura per come si esprime ricorda come vestire un paio di occhiali speciali, che permettono di vedere la realtà’ sotto innumerevoli prospettive.
In ciò, trovo conforto e rilassamento nel correre (fare jogging) visto che è l’unico momento che mi aiuta a espellere tossine emotive di cui mi faccio carico.
Se non corro o se non disegno finisco in miseria, perciò’ ho la necessità’ di integrarmi con la società portando avanti il mio lavoro.
Una volta concluso quale sarà il tuo prossimo obiettivo artistico e/o personale?
Ho progetti in cantiere, che riassumo in questi punti. Storicizzare in una retrospettiva la mia produzione, inedita dal 1998. La mostra deve avere il seguente titolo “Di Pleroma ed Arconti” e mi aiuta a stilare il mio universo gnostico, costellato da gruppi figurativi che ciclicamente costellano le mie visioni.
- Contattare il regista Lars von Trier e poter avere una delucidazione su alcune scene di suggestioni fiamminghe. Essendo lui il drammaturgo per eccellenza, vorrei avere il coraggio di decodificare una struttura narrativa del mio lavoro, finora raccolto, al fine di poter continuare in un altro livello.
- Continuare la cooperazione con il regista Finlandese Simon Bergman il quale ha già raccolto in una settimana a Ravenna il materiale che adatterà’ per un documentario su di me e che verrà mandato in onda sulla rete nazionale finlandese il prossimo anno.
- Collateralmente ho iniziato ad incidere su sassi con un incisore dremel, alcune scene che vorrei portare a litografie.
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