In questo tenebroso panorama, segnato da questa pandemia che ha nascosto il nostro percorso, c’è sempre qualcuno pronto ad offrire una luce che guida il cammino. Uno di questi è sicuramente Francesco Gallina, autore dei volumi Donne Rocciose (2019) e Adepti della Chiesa del Metallo (2020).
L’ultima creazione di Francesco Gallina, Dipinto sull’acciaio, è il medium perfetto per creare un punto d’incontro tra il grande mondo dell’arte e della pittura e il sempreverde universo dell’Heavy metal. All’interno di questo articolo potrete trovare quattro domande con altrettante risposte.
In particolar modo queste ultime saranno l’elemento catartico dell’intervista, un modo per avvicinare ulteriormente l’Heavy metal al concetto di Arte e allontanare, una volta per tutte, il fastidioso pregiudizio creatosi nei confronti dei metallari.
Come è nata questa idea di “difendere” la cultura Heavy Metal dal luogo comune che lo circonda?
Intanto un grazie alla redazione di Shockwave per la possibilità di parlare al pubblico attraverso le sue pagine, tra le più qualificate del Web. L’idea è nata in maniera molto naturale ed è stata subito assecondata da ospiti di livello internazionale. Uno di questi è Eliran Kantor, da anni copertinista dei Testament e autore di quella dell’imminente album degli Helloween, giusto per presentarlo.
È un dato di fatto che oggi come ieri, chi ascolta questa musica viene generalmente additato come persona “strana”, se non pericolosa. Addirittura da non frequentare. Ciò in totale contrasto con i contenuti musicali di altissimo profilo tecnico e compositivo che il mondo hm contiene e coi suoi riferimenti artistici e letterari.
Anche questi particolarmente importanti, come credo di aver indicato nel libro. Il metal, fondendosi idealmente in particolare col Romanticismo, il Simbolismo e il movimento Preraffaellita, si presta inoltre magnificamente a descrivere ciò che di più profondo e nascosto abbiamo dentro di noi. Catalizzando verso l’esterno in maniera innocua le spinte potenzialmente distruttive che, di conseguenza, rendono l’universo heavy uno dei più tranquilli in assoluto da frequentare e da vivere.
Scriverne per puntualizzare quanta cultura, quanti tesori siano nascosti al suo interno, quindi, è la “mission” che pervade ogni mio scritto. Che si tratti di un articolo o di un libro. Per dirla con un passo tratto da Dipinto Sull’Acciaio:
“Nonostante la presenza massiccia di riferimenti intellettuali importanti al suo interno, il mondo dell’heavy metal è visto da fuori utilizzando la lente deformante del pregiudizio, che distorce e mortifica profondamente il significato della più larga parte di questa sottocultura. Invece, essa è connotata da riferimenti profondi a vari settori artistici basilari per definire l’identità di singole popolazioni o della razza umana nel suo complesso. Religione, filosofia, scienza, politica, storia, folklore e vari altri argomenti di interesse comune a ogni persona di cultura non sono troppo difficili da rintracciare al suo interno. Così, risulta altrettanto naturale che si sia fatto e si faccia un massiccio uso del lavoro di grandi pittori per le cover di alcuni di questi e ancor più macroscopico come la percezione comune rispetto a una forma espressiva multiforme come quella in analisi, sia sbagliata. Puntualizzarlo può contribuire non solo a far capire meglio un mondo che è un vero giacimento culturale dai più sostanzialmente ignorato, se non deriso o denigrato, ma allo stesso modo a prendere o riprendere contatto con una parte importante della cultura europea e non solo”.
Secondo lei, un paese come l’Italia, tradizionalmente conservatore per quanto riguarda l’arte in tutte le sue forme, è “emotivamente” pronto ad un possibile avvicinamento tra l’arte dei grandi pittori e l’Heavy Metal?
Se l’Italia sia effettivamente pronta ad accettare che pittura e musica estrema siano frequentemente due facce della stessa medaglia, un fatto acclarato tanto che nel Nord Europa viene trattato con l’attenzione mediatica che merita anche dai mass media più mainstream ed esistono mostre di genere ospitate nel contesto di festival musicali e negli spazi espositivi di varie gallerie d’arte, francamente non lo so. Probabilmente no.
Ciò che è certo è che all’interno dell’ambiente la faccenda è ritenuta normale praticamente da sempre, nonostante mi stiano arrivando tantissimi messaggi di addetti ai lavori i quali, solo dopo aver letto il libro, si sono resi conto di come fosse profonda questa comunanza spirituale e di quanto le due arti fossero sovrapponibili nel linguaggio estetico e nelle intenzioni artistiche.
Quello di aver dato un contributo alla “autocoscienza culturale” di un comparto musicale è di per sé un risultato importante e il libro è già stato acquistato persino da collezionisti d’arte, ma non nego che mi piacerebbe ancor di più che il concetto venisse recepito anche al di fuori.
Un dato interessante è notare come Dipinto Sull’Acciaio, come già successo per Adepti della Chiesa del Metallo e Donne Rocciose (i miei libri precedenti), stia vendendo tra il pubblico generalista e non solo tra gli headbanger. Segno che qualche risultato nel senso auspicato dalla domanda forse lo sto cogliendo.
Parliamo delle mascotte: quanto sono entrati, all’interno dell’immaginario collettivo, personaggi fittizi come Eddie degli Iron Maiden o lo Snaggletooth dei Motörhead? possiamo vederli come dei membri fissi delle band?
Hanno inciso tantissimo. Esistono delle mascotte che se non si possono forse considerare come membri di alcuni gruppi, ne hanno incarnato l’immagine accompagnando le band interessate per le loro intere carriere e gli hanno fornito un simbolo immediatamente identificabile in tutto il mondo. Oltre a Eddie e allo Snaggletooth possiamo ricordare a titolo di esempio Vic Rattlehead, disegnato da Ed Repka per i Megadeth.
Ognuno con le sue caratteristiche peculiari e con un compito preciso: comunicare al primo sguardo l’identità musicale e “filosofica” del gruppo rappresentato. Ci sono storie divertenti e interessanti dietro la genesi di questi personaggi, peraltro.
Da Eddie “punk pentito” con l’aggiunta dei capelli lunghi per adattarlo agli Iron e alla NWOBHM dopo essere stato notato insieme ad altre opere di Riggs da Ron Smalwood. Il manager degli Iron Maiden era alla ricerca proprio di un emblema per la band e lo trovò nel portfolio di un giovane disegnatore in cerca di fortuna nel mondo della musica dopo un’infanzia turbolenta.
Oppure, se parliamo dello Snaggletooth, abbiamo a che fare con un simbolo che è un ibrido, un accrocco di teschi animali reso ancor più ribelle dall’aggiunta di catene e di un piccolo teschio per designarne le proporzioni, concepito dietro esplicita richiesta di Lemmy per essere stampato sulle toppe che motociclisti e metallari cuciono sul retro dei loro giubbotti. Un simbolo anti tutto, per usare le parole di Petagno, il suo autore.
Più intricata la genesi di Vic, che oltretutto ha rappresentato concetti diversi nel corso del tempo, adattandosi all’evoluzione della storia dei Megadeth oltre la fine del rapporto di lavoro tra Repka e Mustaine.
Sicuramente le mascotte rappresentano una parte importante dell’estetica di una band e quando diventano davvero importanti, hanno pure un ruolo commercialmente basilare. Né più né meno come succede per le grandi aziende internazionali, contribuendo in maniera determinante alla vendita del merch legato al gruppo. Magliette e tutto il resto. La principale fonte di sostentamento per moltissimi musicisti specialmente in tempo di pandemia e senza eventi live a cui partecipare. Tutte storie che racconto nel libro.
Grandissimi pezzi Heavy Metal sono stati influenzati dalla letteratura, come nel caso dei Judas Priest, dei Metallica e dei sempre presenti Iron Maiden. Pensa che questa influenza letteraria abbia influenzato anche le copertine degli album (come Holy Diver insegna)?
Sicuramente sì. Del resto, questo aspetto emerge durante la lettura. Innumerevoli le citazioni di album le cui copertine sono riproduzioni di quadri di artisti famosi, a loro volta ispirati – su commissione o meno – da pietre miliari della letteratura.
Giusto per citarne alcuni i Dimmu Borgir di For All Tid e la sua copertina presa da un’illustrazione di Dorè eseguita per il ciclo dei dodici poemi narrativi degli Idilli del re del poeta Alfred Tennyson. O per restare su Doré e per dare un’occhiata all’underground, i poco noti Timeghoul, i quali nel loro demo del 1994 Panaramic Twilight usano un’immagine concepita per Il corvo di E.A. Poe. Pure la copertina del celebre Seventh Son of a Seventh Son degli Iron Maiden viene parzialmente fuori dalla visione di un’incisione di Doré per l’Inferno dantesco. Gli esempi potrebbero essere centinaia e pur non essendo questo il focus principale dello scritto, nel libro ne ho riportati tantissimi soffermandomi ripetutamente sui lavori dei Metallica e dei Judas Priest.
In riguardo a questi ultimi segnalo con orgoglio la presenza tra gli ospiti di Steve Joester, autore dello scatto all’interno di Screaming for Vengeance, che ha dato un’immagine e un’estetica di riferimento al “defender” degli anni 80. Joester è famoso quale fotografo per band del calibro di Pink Floyd, Rolling Stone, Clash, AC/DC e artisti quali Sting, Bob Marley e tantissimi altri, ed ha scritto la postfazione.
Per quanto attiene a Holy Diver, questo album è citato solo en passant perché ho preferito parlare della copertina di Dream Evil. Un lavoro meno famoso e qualitativamente inferiore, ma dalla cover particolarissima firmata da Steve Huston che – forse pochi lo sanno – è ispirata a L’Incubo di Füssli, un altro dei protagonisti di Dipinto Sull’Acciaio. Ma davvero ed a prescindere dalle singole citazioni contenute (migliaia), durante la lettura anche questo aspetto della questione viene fuori ripetutamente attraverso le 500 pagine dell’opera.
Ringrazio molto Francesco Gallina per la disponibilità che ci ha concesso con questa intervista. Con queste quattro risposte è riuscito a condensare al meglio il senso di Dipinto sull’acciaio, libro che dimostra a pieno la professionalità del suo autore.
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