Tra incredulità e consapevolezza: intervista a Scapestro.

| |

Scapestro, al secolo Fulvio di Nocera, è uno dei musicisti che maggiormente ha attraversato le varie fasi della scena musicale partenopea ed italiana. Dai tempi dei Polina fino alla carriera solista passando per le collaborazioni con i Bisca e i 24 Grana. Da poco è uscito il suo secondo album solista “È il bene che resta” registrato insieme a Caterina Bianco, Jonathan Maurano, Giosi Cincotti ed Antonella Bianco. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare da dove nascono le sue canzoni e come si pensa un album dopo due anni così complicati come quelli che abbiamo vissuto.

Come si scrive un album durante il periodo di pandemia che per i musicisti, forse più che per ogni altra categoria, è stato un vero e proprio tsunami?

In questo periodo il tempo ha giocato un ruolo fondamentale. Personalmente ne ho colto la possibilità di potermi dedicare alla scrittura e alla pre-produzione del nuovo album; immersi in un clima surreale, tra l’incredulità del momento e la consapevolezza che prima o poi sarebbe accaduto un evento di dimensioni mondiali che ci avrebbe travoltoInevitabilmente questa suggestione è presente negli album usciti in questo periodo pandemico, creando diverse e varie testimonianze di questo momento storico.

Il bene che resta è il titolo del disco, durante la pandemia dicevamo che ne saremmo usciti migliori, a distanza di qualche anno ormai e ritornando a suonare in giro quanto di questo bene hai trovato in giro?

Dopo questo fermo obbligato, sia i musicisti che i fruitori di musica hanno manifestato una grandissima voglia nel ritornare a rivivere spazi condivisi; La sensazione è stata ovviamente piacevole e in parte ha restituito ciò di cui avevamo più bisogno.

Per quanto riguarda l’esserne usciti migliori, credo sia un discorso abbastanza complesso. Ognuno di noi ha vissuto ed interpretato questo momento in modo differente, un momento storico che indubbiamente ha lasciato una traccia visibile nel bene e nel male. Forse ancora dobbiamo metabolizzarlo.

scapestro trio

I musicisti che ti accompagnano in questo album sono tra i migliori che la scena musicale partenopea possa offrire, come si è formata questa band?

Nel disco sono presenti diverse collaborazioni, è sempre positivo circondarsi di bravi musicisti che possano realizzare al meglio quello che nasce da un’idea personale che trova poi la sua dimensione finale nel processo di condivisione.

 Aldilà delle collaborazioni presenti nel disco, nella band live si è consolidato un nucleo che vede Chiara Carnevale alla voce e alle percussioni e Antonella Bianco alla chitarra elettrica e alla tastiera. Nei concerti di presentazione del nuovo album abbiamo ricercato un’intimità in questo trio che potesse dare all’ascoltatore un’idea quanto più vicina agli arrangiamenti del disco. E’ stato un lavoro intenso ed interessante.

C’è stata qualche canzone più difficile da scrivere rispetto alle altre?

La scrittura di un testo come quella della musica è un vero e proprio flusso. Ci sono momenti in cui si scrive in maniera molto fluida, quasi come se la canzone stesse lì ad aspettarti, mentre delle volte comunicare il proprio sentito, sia nella ricerca della parola che in quella di una sonorità, richiede più tempo. Non è una vera difficoltà quanto la ricerca del momento giusto.

Rispetto al primo album solista, come ti sei approcciato alla scrittura del secondo? Quanto ha influito l’esperienza accumulata con l’esordio? Hai corretto qualche cosa rispetto al primo album?

La scrittura del primo album “Shurhùq” risale ad un periodo che va dal 2012 al 2015; è stato il primo approccio ad un album solista che ha richiesto una lunga gestazione, dovuta alla ricerca di una nuova forma e ad un nuovo ruolo artistico. Sono partito dalle radici e in versione minimale, dove componevo con il piano o la chitarra e solo successivamente mi sono dedicato agli arrangiamenti. Quando sono arrivato in studio con i miei brani abbiamo iniziato a modellare i vestiti sonori adatti alle canzoni. E’ stato un percorso davvero lungo.

Nel secondo album avevo già le idee più chiare, grazie anche all’esperienza precedente; Il vantaggio è stato avere un suono di band che dopo i live del primo disco sono serviti a creare una personalità sonora presente nell’ultimo lavoro discografico.

Più che correggere è stata una naturale trasformazione dovuta al tempo e all’esperienza.

La tua musica è sempre contraddistinta da un grande dialogo tra diversità, le tue canzoni sono fatte di incontri e di mescolanze, come fondi le varie influenze nella composizione dei tuoi brani?

Mi piace questa definizione che hai trovato nel definire la mia musica. Il dialogo tra le diversità è un punto fondamentale. E’ mettersi seduti di fronte all’altro, mettere in discussione, analizzare punti di vista differenti, non esiste una sola verità e per trovare la nostra dobbiamo dialogare e manifestare gli opposti. La scrittura è un processo di ascolto, cambiamo e non siamo sempre gli stessi, ecco perché emergono le diversità.

Come immagini il cammino delle tue canzoni nei prossimi mesi dopo il tour estivo? 

Intanto stiamo programmando dei nuovi live per l’autunno, porteremo in giro le nuove canzoni e uno sguardo è già rivolto alla pre-produzione di nuovi brani ma per ora è presto per parlarne.

Raffaele Calvanese
Previous

Gigi D’Alessio all’Augusteo di Napoli [Photogallery]

Tutto chiede salvezza – Il nuovo dramedy di Netflix – Recensione

Next
Wordpress Social Share Plugin powered by Ultimatelysocial