Quella di Ungaretti è la storia di un poeta che si è fatto uomo tra i versi. Essi percorrono le tracce di un’esistenza non troppo lontana. Una guerra interiore e di trincea; che ci narra della vita, della morte, dell’abbandono e dell’allegria: tutto in poche e semplici parole che come lame, sono capaci di scalfire l’anima umana.
La raccolta Allegria di naufragi (1919) è il momento chiave, dove Ungaretti rielabora completamente il messaggio formale dei simbolisti (in particolare dei versi spezzati e senza punteggiatura di Apollinaire), coniugandolo con l’esperienza atroce del male e della morte nella guerra. Al desiderio di fraternità nel dolore si associa la volontà di ricercare una nuova “armonia” con il cosmo.
Al centro della raccolta vi è l’esperienza della Prima Grande Guerra, combattuta dal poeta in trincea come volontario.
L’Allegria di naufragi si presenta come un diario di bordo dato che ognuno dei componimenti è seguito dall’indicazione del luogo e della data.
“E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare”
da G. Ungaretti, Allegria di naufragi
L’opera è senz’altro un invito a non mollare mai di fronte alle avversità della vita e che ogni evento traumatico porterà l’uomo per sua natura, alla sua forza vitale per riprendere il proprio viaggio della vita.
L’istinto di sopravvivenza, o forse ancor di più l’animo umano sembra fatto apposta per dare il meglio di sé, una presa di coscienza dell’anima, dopo un “naufragio”, ovvero quando si è travolti completamente dalle “onde alte” della vita.
I soldati diventano come dei naufraghi sopravvissuti a un disastro navale; che riprendono in mano le redini delle proprie esistenze.
Come si evince, la poetica ungarettiana è priva di retorica, di punteggiatura. Egli scardina le convenzioni e i tratti tipici della poesia italiana, sino a quel momento utilizzati.
Nasce così, l’Ermetismo: un linguaggio oscuro, difficile da decifrare composto da brevi riflessioni.
Il poeta successivamente attribuirà il significato di tale stile all’impossibilità di potersi esprimere liberamente, date le vicissitudini in trincea. Si serviva di piccoli spazi di tempo per comporre le poesie.
Un’altra spiegazione era la dittatura che all’epoca poneva massimo potere sul libero pensiero critico. Per cui molti dei poeti ermetici, come lo stesso Salvatore Quasimodo, se ne servivano per esprimere il proprio dissenso.
I versi non hanno la finalità di descrivere, ma di evocare attraverso potenti analogie le sensazioni che il poeta tenta di sigillare.
Il titolo, nelle poesie ermetiche, racchiude tutto il significato della poesia stessa dove in esso ne è racchiusa la morale.
Ungaretti non punta alla quantità, ma alla qualità delle parole, cercando di permeare ogni elemento del più forte significato essenziale.
“M’illumino / d’immenso”, riporta una delle poesie più conosciute: con quattro parole, è riuscito a folgorare l’interiorità del lettore con forza notevole. Che cosa evochi non è chiaramente definito. Come un opera d’arte, egli gioca sulla soggettività di ogni lettore. Non sta all’artista rivelare il segreto dell’opera ma, al contrario, sta all’interpretazione soggettiva di ognuno, scoprirlo.
Un’altra famosa opera di Giuseppe Ungaretti è il “Porto Sepolto” (1916)
Qui Ungaretti descrive l’opera del poeta come una sorta di avventura, come una discesa in questo porto sepolto per riportare alla luce soltanto dei frammenti che non possono essere decifrati. Il porto sepolto diventa quindi il simbolo di ciò che è nascosto nell’animo di ogni uomo.
Il poeta stesso ha spiegato più volte nei suoi scritti il senso del titolo di questa raccolta: da ragazzo conobbe dei giovani ingegneri francesi che gli parlarono di un porto sommerso esistente ad Alessandria d’Egitto, città natale dell’autore, già prima dell’età tolemaica.
“Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde
Di questa poesia
mi resta
quel nulla
d’inesauribile segreto”
da G. Ungaretti, Il porto sepolto
Qui lo scopo del poeta è quindi quello di scoprire cosa è rimasto sepolto nell’animo degli uomini e riportarlo in vita, per provare a dare un po’ di sollievo.
Lo stile, la metrica e la sintassi sono quindi ridotte all’essenziale, conta soprattutto l’importanza della parola stessa, messa in evidenza attraverso l’utilizzo di versi molto brevi.
“Quell’inesauribile segreto” è probabilmente la chiave d’accesso ad ogni animo. Il segreto che ognuno porta dentro, nella propria essenza, è talmente vasto, impenetrabile da sembrare infinito, inesauribile. Bisognerebbe – come ci insegna il poeta – tirare fuori ciò che ci affligge, rendere vivo il dolore, lasciare che esso ci accompagni nella conoscenza del sé e liberarcene.
L’introspezione è l’unica via per la conoscenza. L’unico modo per metterci in contatto con la natura e con gli altri uomini.
Discendere nel Porto significa scavare, guardarsi dentro fino alla fine. Per poi emergere dalle vecchie acque per costruire nuovi porti da cui salpare e rinascere.
La prossima ed ultima poesia ne è un esempio:
“Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata
Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede
La morte
Si sconta vivendo”
da G. Ungaretti, Sono una creatura
Qui il poeta diventa una “creatura” diversa da tutte le altre. Diviene così un essere inanimato, freddo come una pietra.
Un cambiamento di specie come conseguenza naturale a tutte le atrocità sofferte durante la guerra e la solitudine; tanto che la morte diventa privilegio, una liberazione eterna. Un premio conquistato dalla vita, dopo averne viste tante e aver sperato invano in una salvezza.
Ecco qui, l’uomo che si arrende davanti alle difficoltà figlie della vita. Ecco, il poeta che si addentra nel Suo Porto, nel Suo profondo.
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