Hide, A Tergo Lupi: recensione

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Talvolta l’algoritmo di YouTube è capace di guidare sui lidi più inaspettati, ed un uggioso giorno, mi ha fatto approdare sui lidi di una band ancora sconosciuta: A Tergo Lupi, al secolo Camilla Ferrari e Fabio del Carro. Hide è il loro terzo lavoro, autoprodotto e rilasciato l’8 novembre 2022, anticipato e seguito da numerosi singoli.

Pochissime informazioni online, se non il fatto di essere presumibilmente italiani. La cosa mi ha incuriosito moltissimo, dato il sound proposto. Perché gli A Tergo Lupi sono quanto di più distante dalla musica in trend nel Balpaese che si possa immaginare: propongono dark folk, dalle sonorità ataviche e distorte dal tempo – eppure allo stesso tempo giovani e fresche, svecchiate rispetto a quanto si sente nel genere. Genere, peraltro, giovanissimo, e piuttosto fiorente al momento: fra Heilung, Myrkur, Wardruna, il revival del folk nord europeo, di matrice celtico-vichinga, sta vivendo una seconda rinascita.

Gli A Tergo Lupi, con Hide, che è peraltro il loro terzo lavoro, scelgono una direzione leggermente diversa. Laddove gli Heilung propongono una cerimonia pan-europea col nuovo Drif, Einar Selvik dei Wardruna mira al musicare gli antichi poemi epici, gli A Tergo Lupi raccontano piccole, brevi, ma intense, storie. E correlano il tutto a dei videoclip autoprodotti. Hide è l’album più coeso mai prodotto: il primissimo lavoro, Out of the Fence, è sì una collezione di ottimi brani, ma slegati fra loro – mentre nello strumentale Vesper, composto durante la pandemia, si possono cogliere i semi del sound definitivo proposto poi in Hide.

In Hide, il ritmo è inaspettatamente alto. È un album che non lascia spazio a momenti di riposo, non c’è pausa ne La Mille e Una Notte quale è. Una notte che noi vediamo dal suo tramonto, il sole che sparisce dietro ad alberi in boschi ombrosi, in una primavera piovosa. Fra le querce, grotte umide, tane di animali, ossa sbiancate dal sole.

Già da Fade Under, percussioni sincopate e tagelharpa lamentosa, si comprende il mood che sottende HIde: una danza in boschi ombrosi, cimitero di civiltà dimenticate. Echi di ossa in Hoar Frost trascinano poi, senza requie, in una nuova tarantolata di tagelharpa limpidissima ma melodiosa – cui il coro delle voci di Camilla e Fabio fa poi da eco. Notevole il cambio di accordo e di passo a metà brano: infonde potenza alla narrazione e mantiene alta l’attenzione dell’ascoltatore. Passando per la gradevole Red Sun, in cui la voce di Fabio sussurra un refrain estremamente orecchiabile, si passa ad uno dei brani nucleo di Hide: Kominn Heim, cui è necessaria la visione anche dell’annesso videoclip per la massima fruizione del pezzo. La voce baritonale di Del Carro trascina l’ascoltatore – in un perfetto islandese – attraverso un viaggio di disperazione, ed infine, speranza: la costruzione del brano è quasi sinusoidale, in una funzione periodica di accordi diminuiti e maggiori – risalita e caduta – eppure i suoni utilizzati sono scarni ed essenziali. Oltre al tamburo, qualche synth d’ispirazione industrial e riverberi distantissimi. Il lento ondulare della struttura, riproposto anche nel videoclip, sorprende l’ascoltatore col finale, in cui un nuovo attore – la tagelharpa – viene introdotto senza preavviso, donando dinamismo ed emotività. L’attitudine alla melodia degli A Tergo Lupi è rintracciabilissima anche nella corale Heal the Tree, che ha sì, lo scheletro di un tipico brano neofolk, ma si sorregge su un unico tema musicale che viene ripetuto e strizzato, declinato ed inclinato – e lo stesso gusto per l’orecchiabilità, nonostante le maggiori intrusioni di prog rock classico, sono in Hear me. Piccola nota a margine: la scrivente è nata in Tuscia, ed ha immediatamente riconosciuto le tagliate etrusche presenti nel videoclip. Hear me, foreste silenziose celanti tesori, che dormono da eoni: gli alberi, le foglie marcenti, l’edera rampicante e la falena notturna, il gufo e il corvo, ascoltano le preghiere accorate – in un brano che ricorda fortemente gli Heilung di Lifa, ma con un tocco personale. La ricerca dell’atavico può sembrare quasi artefatta in taluni lavori nordeuropei, mentre è colta in modo cristallino dalla tagelharpa di Ferrari.

Un eco di arpeggi apre Winn Kommt, che si evolve in un’accorata elegia per chissà quale Dio dimenticato. La splendida Black Feathers, pezzo quasi upbeat dalla struttura neopsichedelica ma declinata in chiave neofolk – sempre nella sonorità fortemente cadenzata e quasi marziale tipica di Hide – descrive con estrema accuratezza uno sfarfallar di corvi furibondi, mentre la dolcissima new age Anma ed Prèia sfiora, con solo voci e distanti pad atmosferici, invisibili corde tremule, in un’ottima contrapposizione a Black Feathers. Cala la notte, dopo tanto lungo tramonto, con Night Path, speranzosa e ricca di aperture in accordi maggiori, ed il gran finale è lasciato a Worthy End, un lied acustico che è quasi un divertissement dopo quanto espresso in Hide.  

In molti dicono che gli A Tergo Lupi non pare provengano dal bacino del Mediterraneo. Eppure, le loro radici sono ben riconoscibili per chi sa toccare il terreno: proprio nel ritmo cadenzato ed incessante, tipico di suoni più meridionali rispetto agli algidi mostri sacri del neofolk, sta la loro forza e ciò che li contraddistingue rispetto al resto della scena.

È impossibile per un ascoltatore dalle orecchie allenate non rimanere perennemente sull’attenti in Hide: la costruzione stessa dei brani fa sì che l’attenzione non scemi mai, e che la curiosità per ciò che viene dopo – per quale soluzione stilistica, per quale fraseggio di tagelharpa – sia sempre viva. Ci auguriamo che il percorso degli A Tergo Lupi duri ancora a lungo, e che il crogiolo di creatività del duo non si esaurisca mai. La produzione di Hide è eccellente, e le accortezze acustiche – un tocco di eco atmosferico, un dubbing aggiunto a creare spessore in un momento altrimenti fiacco – sono degne dei migliori album di grandi major, e lascia sbalorditi quanta qualità si riesca ad esprimere pur autoproducendosi. Per la totale libertà creativa e libertà espressiva, necessarie rinunce vanno fatte: davanti il burrone, dietro le spalle il lupo. Saltereste?  

All pictures from A Tergo Lupi Facebook page: https://www.facebook.com/ATergoLupiProject/photos

Giulia Della Pelle
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