Nothing is True & Everything is Possible, Enter Shikari: recensione

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Fra i sopravvissuti di una scena che a noi, in Italia, è giunta solo marginalmente, e risalante ai primi ’00, ci sono gli Enter Shikari. Il quartetto di innovatori inglesi è una certezza sin dal 2003, e, scusate lo spoiler, credo che con Nothing is True & Everything is Possible abbiano toccato il loro punto più elevato. L’album è uscito per Ambush Reality il 17 aprile 2020.

Vedeteci pure rimandi al credo dell’assassino, non penso che i Nostri si offenderanno.  

L’album è uscito durante la quarantena, in aprile, e scusatemi, ma non avevo la forza psico-emotiva per parlare di tale caleidoscopio colorato, elettronico, delirante, disordinato, mentre l’Italia veniva flagellata da un virus venuto da lontano. Eppure, forse, sarebbe stato un ottimo antidoto al malessere.

Partiamo dalla cover. In molti sarete avvezzi agli stilemi anche estetici della vaporwave e, dunque, la fusion fra una statua ellenistica – correggetemi se sbaglio, ma mi sembra proprio il Laocoonte – e coloratissime decorazioni dall’era post-Instagram, non vi risulterà una particolare bruttezza piazzata là tanto per essere alternativi.

Mai come in Nothing is True & Everything is Possible la promessa sottesa al nome degli Enter Shikari (“Entra nel mondo del cacciatore”, shikari, in inglese indiano) viene realizzata: sin The Great Unknown entriamo in un mondo caotico, fatto di bollicine di alginato scoppiettanti, dal suono peculiarissimo e, soprattutto, incredibilmente d’intrattenimento.

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Perché, a quanto pare, nel metalcore/electrocore/electro-ormai-pop, tranne che per i Phoenix (che , però, son francesi) e per il più recente lavoro (leggi qui) dei Dance Gavin Dance, si è perso il gusto per il divertimento e la godibilità, cosa che gli Enter Shikari tentano di recuperare burlescamente strutturando il loro sesto album come un’opera buffa, anzi, più come un vaudeville – tragico, oscuro, che conserva il meglio per il finale ad effetto, spesso prosaico ed eccessivo. In pieno stile nordico.

Effettivamente, in Nothing is True & Everything is Possible assistiamo ad una contaminazione di generi incredibile, che, rimarca, ancora, come gli Enter Shikari, al pari di Devin Townsend, facciano semplicemente ciò che più aggrada loro, che parte dal sound eighties di The Great Unknown (che sarebbe del tutto puro se non fosse per l’arpeggio post-grunge di sottofondo), placida intro al mondo pazzesco che – a detta del frontman Rou Reynolds è solamente una visione più chiara e lucida del nostro 2020 – ci aspetta già nella traccia successiva, che segna il definito abbandono del tangibile e del reale, entrando nel regno del “Nothing is True”, ossia Crossing the Rubicon.

Positivista e curioso, di questi oscuri tempi, è come gli Enter Shikari abbiano scelto di ribaltare lo stilema dell’analisi dell’animo umano, non criticandone l’infamia o la meschinità, ma espandendosi, quasi fossimo in un’altra epoca, ben più felice, nel cantarne le potenzialità:

I’ve been waiting for the great leap forwards

So impatient, yeah, I wanna cut corners

I stare at the skyline, reach for a lifeline

I shout into the great unknown

Passando per l’acida ed aggressiva, nei suoi synth feroci, The Dreamer’s Hotel (che a quanto si comprende dal testo, descrive la feroce frustrazione dell’ignorantone del nostro tempo facebookiano quando si ritrova a competere con qualcuno più competente di lui in un dato campo), arriviamo al core stilistico di Nothing is True & Everything is Possibile: Waltzing off The Face of the Earth (Crescendo) che è, appunto, caratterizzata da sonorità vaudeville di fiati misti a synth, in un mestissimo ¾, attori tristi vestiti di nero che strepitano per il cambiamento climatico su di un palco fatto di legno fradicio. Lo stesso nichilismo cosmico si rintraccia in modern living… + apocaholycs anonymous (main theme in B minor) una sindrome che colpisce anche noi italiano: siamo tutti apocaholics, drogati d’apocalisse e disastro – quel gusto per il disastro, il compiacersi per il bombardamento mediatico di notizie più o meno orrende che provengono da ogni parte del globo terracqueo; la volutamente pretenziosa seconda parte risulta essere un mocking all’elettronica di massa attuale, da Skrillex a Steve Aoki – che, contrariamente a ciò che fanno gli Enter Shikari, costruttori di mondo, fanno della decostruzione del suono e della modalità canzone il loro vessillo.

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Passando per la placida Pressure’s On, approdiamo a Reprise 3 (apprezzo il caos, di nuovo: non c’è una reprise 1 o 2), che, con la voce di Rou pesantemente coperta da filtri a farla assomigliare a quella di Seal, in un tristo elogio dei lontani anni ’90, ci muoviamo su synth angosciosi di accelerati universi cyberpunk claustrofobici, in TINA, un danzereccio tuffo in un dancefloor da rave da quarantena. Che, prontamente, senza soluzione di continuità, si trasforma in un pezzo suonato dalla Filarmonica di Praga (per davvero, eh!): Elegy For Extinction.

Ecco la magia creata dagli Enter Shikari: siamo nella seconda parte dell’album, in Everything is Possibile.

Il tema portante è lo stesso di apocaholycs, ma, fra i contrappunti e gli arricci dell’orchestra, suona completamente differente: appunto, positivista, ricco di gioia ottocentesca verso un mondo sconosciuto e le infinite potenzialità voltairiane dell’uomo candido; che si diverte con l’operetta magica, gilliamiana, di Marionettes 1 e 2. Due facce della stessa medaglia, in cui, nella prima parte, l’umanità scopre, evidentemente, la musica (“The Discovery of String”), notando, dunque, per la prima volta (non voletemene, ma è uno stilema un po’ abusato: 2112 dei Rush narra la stessa storia), che, oltre che raccogliere, nell’Eden, i frutti dagli Alberi, siamo anche capaci di creare qualcosa di nostro – che sia inutile, intangibile, infrasottile, effimero, labile, come la musica; ma nostro; di intima proprietà. Peccato ed espiazione ne è “The Ascent”: ma, ancora, a livello filosofico, gli Enter Shikari ne ribaltano il concetto, definendo dunque la cacciata dall’Eden come un evento assolutamente positivo.

“By the sweat of one’s brow

Thou shall eat bread”

But curiosity began to creep

From underneath the bed

Of toil and doctrine

And the marionettes awaken

Into a nightmare

La spaziale satellites  ** è, peraltro, l’unico brano d’amore presente in Nothing is True & Everything is Possible – uno spaziale dramma fra un bolide nella densa atmosfera del nostro pianeta e la Terra stessa. Però, come un vero e proprio vaudeville, il lavoro degli Enter Shikari ci prepara al fine ad effetto, che è puramente classico, e, di nuovo, suonato dalla Filarmonica di Praga: Waltzing off the face of the Earth (Piangevole, III), che, stavolta, decostruisce il precedente brano omonimo, ma al fine di aggiungere pregio ad esso ed accomiatarsi dal lungo viaggio nel museo del Ventunesimo secolo quale è Nothing is True & Everything is Possible degli Enter Shikari; un lungo sorso ad uno champagne spaziale, sospesi sopra l’atmosfera assieme alla Stazione spaziale internazionale. Cosa saranno, infine, quegli spari da Space Invaders?

Ecco, ci troviamo di fronte ad un album di grandissimo valore: complesso, ricco di rimandi artistici e filosofi, sociologici, un pezzo d’arte nel vero e proprio senso del termine – moderno, esplosivo, divisivo. Ma, di nuovo, chi lo capirà? Chi lo apprezzerà? Abbiamo davvero bisogno di musica elitaria? È davvero corretta la scelta degli Enter Shikari, band sì rivoluzionaria ma sostanzialmente popolare, di rilasciare un sì complesso pezzo d’arte, degno di essere esposto dietro corde di velluto rosso? Ai posteri l’ardua sentenza.

Giulia Della Pelle
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