Tiziano e White: lo smarrimento dell’animo

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Ci sono opere capaci di parlare, dialogare tra loro anche a distanza di secoli. Soprattutto in questo periodo dove l’uomo si sente perso, spaurito.

In un mondo, colmo di smarrimento, che non riconosce più che è costretto a guardare da dietro una finestra, l’individuo è spaurito perché sente crollare tutto intorno a sé; partite IVA, lavoratori in nero, disabili. Le minoranze sono abbandonate a loro stesse, e in un momento così, forse, il bello, l’arte possono salvarci. Ed è da questa idea che nasce il confronto tra le opere dell’ultimo periodo di Tiziano Vecellio e il fotografo statunitense Minor White.

Tutti sicuramente conosceranno, anche solo di vista qualche opera del pittore rinascimentale, in pochi però forse sono a conoscenza del fatto che Tiziano visse una lunga vita e verso la fine anche la sua pittura subì un mutamento. L’artista sopravvisse alla peste (momento riconducibile un po’ a quello che stiamo vivendo in questo momento) e forse proprio grazie a questo periodo di isolamento e crollo delle certezze iniziò a porre una certa distanza tra disegno e rappresentazione. L’uso del colore si fece sempre più materico fino al raggiungimento di una corposità strutturale quasi a ricercare la tridimensionalità della scultura[1].

smarrimanto tiziano minor white
La Puniziione di Marsia, Tiziano, 1576 circa.

Contemporaneamente (permettetemelo, con un nesso emozionale), ma a distanza di qualche secolo, a seguito delle enormi devastazioni e sofferenze portate dalla seconda guerra mondiale, il fotografo statunitense Minor White, insieme ad altri artisti, si ritrovarono smarriti, privi di alcuna certezza. La guerra infatti ha lasciato un vuoto che soltanto il tempo riuscirà a colmare. La risposta degli artisti fu, dunque, quella di sottrarsi al figurativo, perché è impossibile trovare un senso nell’orrore della guerra. L’arte quindi diventa Informale[2].

Cosa accomuna i due artisti è chiaro, ed è quello che congiunge anche noi: lo smarrimento.

Un animo incerto, fragile, inquieto, che si riversa tanto nelle tele di Tiziano quanto nelle pellicole di White. La risposta a questa confusione/turbamento è una pennellata intensa e drammatica nel caso del pittore veneto; che, tuttavia, non da tutti fu compresa nella sua portata rivoluzionaria, punto di partenza per molti artisti a venire.

D’altro canto White cattura invece in fotografie apparentemente astratte la confusione più profonda dell’uomo paragonabile allo smantellamento, allo smarrimento, del colore, notabile in Peeled Paint, del 1959.

Tiziano e White: lo smarrimento dell'animo 1
Peeled Paint, Minor White

Cosa volesse dirci il fotografo statunitense con ogni sua singola fotografia è probabilmente meno facilmente sondabile, ma sappiamo dalle fonti che sviluppò la sua poetica nel concetto dell’equivalenza.

L’Equivalenza è una funzione, un’esperienza; non una cosa. Qualunque fotografia, indipendentemente dalla fonte che l’ha prodotta, può fungere da Equivalente per qualcuno, qualche volta, da qualche parte. Se l’osservatore si rende conto che, per lui, ciò che vede nell’immagine corrisponde a qualcosa all’interno di sé […] allora sta sperimentando un certo grado di Equivalenza.[3]

In entrambi i casi, sono i dettagli a fornire l’accesso diretto alle metafore e ai segni: tutto è mosso, sgranato, incerto, nel caso di Tiziano mentre si configura come statico e minuzioso, ma allo stesso tempo confuso, nelle pellicole di White. Specchio, quindi della dicotomia caratteristica dell’animo umano. I suoi primi piani e le trasformazioni di frammenti e dettagli sono i portali per il suo mondo allegorico. White riesce, quindi, a sviluppare una poetica in cui il fine è quello di alludere ad un’altra realtà visibile[4],  una realtà che possa rappresentare più del soggetto in se stesso.  Una realtà capace di svelarsi solo dinnanzi agli occhi di un osservatore attento, una realtà celata. L’invisibile che nonostante il divario spaziale e temporale che intercorre riesce a comunicare: ed ecco che l’opera diventa lo strumento comunicativo dell’interiore.

La società della velocità, sogno dei futuristi è finalmente realtà, un mondo che nella suo totalizzante caos sembra quasi tendere all’astrazione.

Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un’automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.[5]

Quante volte nel corso della giornata ci chiediamo il senso di quello che stiamo facendo, se ci piace il lavoro che facciamo, se davvero siamo felici della persona con cui stiamo, o rimpiangere la scelta di aver fatto Economia piuttosto che Lettere, solo perché ti avevano detto che avresti avuto più possibilità lavorative. Siamo nell’epoca della velocità: nei rapporti, nel lavoro, nella famiglia non abbiamo mai tempo e quando lo abbiamo cerchiamo di staccare da questa società efficiente sogno dei futuristi. Non c’è tempo per il vuoto, il vuoto non è produttivo (leggi anche: Mariangela Gualtieri, 9 marzo 2020)

L’uomo, anche in questo momento di smarrimento, non è più abituato a riflettere sull’invisibile, sull’assenza, sul vuoto e cerca di fuggire da esso, colmandolo al massimo con attività più eterogenee ed effimere.

L’arte, fuggendo dal figurativo, tenta, dunque, di rappresentare il vuoto interiore dell’animo umano. Si può anche intuire cosa materialmente è stato ritratto, ma non serve poi a molto. Si deve lasciar che queste immagini svelino ciò che le parole non possono raccontare, sensazioni o tormenti interiori: lasciate, allora, che l’invisibile per un attimo emerga.

La funzione dell’arte, in momenti drammatici come quello che stiamo vivendo, dunque, qual è? Ne ha, alcuna? Forse, nulla lo ha, o forse tutto, sta a noi come decidere di impiegare il nostro tempo, se alla storia o la bellezza o l’annichilimento e al panico più completo. La mia soluzione è quella di dedicarmi alla bellezza perché un giorno usciremo, torneremo a correre, ad abbracciarci e a fruire della bellezza in maniera diretta. L’arte è solo la testimonianza di quello che l’essere umano è stato e continua, ciclicamente, ad essere, e questo periodo deve e può essere un momento di riflessione per comprendere che non esistono differenze nell’animo.

Martina Trocano


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