Maneskin: Teatro d’Ira-Vol. I, manifesto alla rabbia giovanile

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Ci siamo, l’album degli inaspettati vincitori del Festival di Sanremo 2021 è uscito. Il secondo lavoro dei Maneskin assume un significato tutto suo, ma solo grazie alla loro vittoria al festival

Se non fosse stato per la loro vittoria al Festival di Sanremo probabilmente neanche avrei recensito questo secondo album dei Maneskin intitolato Teatro d’Ira-Vol. I. Insomma le polemiche mosse dalla loro vittoria mi hanno, diciamo, “aperto la mente” così da riuscire a dare un significato ad esso, ed ecco che l’album diventa un manifesto alla rabbia giovanile, anche di chi non apprezza la band romana.

maneskin pagelle della finale di sanremo 2021

Ma la rabbia non è solo un manifesto dei Maneskin ma è anche una loro nuova faccia, perchè se si vuole capire questo album c’è bisogno di dimenticare “Marlena” e tutta quella malinconia e spensieratezza a cui ci ha abituato la band romana. Li ritroviamo arrabbiati ed espliciti, e come dicevo, tutto questo vale ancora di più dopo la vittoria al Festival di Sanremo e tutta la cattiveria, ingiustificata, verso di loro.

I Maneskin probabilmente non si aspettavano tutto questo, e Teatro d’Ira ne è la dimostrazione. Troppe emozioni che per molti possono essere negative, e troppa rabbia sociale che potrebbe dar fastidio a molti

Di solito da un vincitore del Festival di Sanremo ci si aspetta leggerezza, anche quando si parla di argomenti forti, ma i Maneskin cambiano le carte in tavola impegnando l’ascoltatore a qualcosa di più forte, e se non ci si è abituati si rischia di rimanervi vittime. Possiamo dire che “ZITTI E BUONI” riassuma alla perfezione Teatro d’Ira ma noi dobbiamo vederlo anche nei minimi dettagli, senza farci sfuggire nulla, e sicuramente, come prima cosa, non ci si può lasciar sfuggire la seconda traccia.

Sentendo “CORALINE” ci si rende conto di quanto i Maneskin siano riusciti “nell’impresa” di mettere della rabbia sociale anche all’interno di una ballad, cosa che da una band che fino a pochi mesi fa veniva accostata a canzoni sdolcinate e “poco impegnate”, sicuramente non ti aspetti. A seguire abbiamo “LIVIDI SUI GOMITI”, che subito dopo averla sentita ho definito una “piccola” “ZITTI E BUONI” con l’unica differenza che sia molto più esplicita, anzi, se devo essere sincero, sarebbe giusto usare questa traccia come manifesto. Ogni band che vuole cambiare però lascia sempre uno spazio alle origini, grande o piccolo che sia, ed è il caso di “I WANNA BE YOUR SLAVE” con cui si torna ai Maneskin di X-Factor, di quando esordirono con “Chosen”.

Ma credo che leggendo questa recensione molti di voi si stiano chiedendo se i Maneskin siano rock o no. Ecco, diciamo che non mi esprimerò completamente, perchè c’è molto altro di cui parlare

In Teatro d’Ira-Vol. I, come dicevo all’inizio, dilaga la rabbia, quella cattiveria che a noi giovani, molto spesso, viene negata, ma tranquilli, ci pensano i Maneskin. Ed ecco che quindi arriviamo allo sfogo, al racconto che probabilmente è di tutti noi, di “NEL NOME DEL PADRE”, in cui è importante individuare tre parole principali, che valgono per tutto l’album: “Indesiderato”, “Riscatto” e “Matto”. Tre parole che raccontano una generazione. Ma il racconto non finisce qui, c’è quella che fu la prima traccia dell’album ad uscire, ovvero “VENT’ANNI”, un inno alla vita dei giovani, che vogliono essere perennemente ventenni, basta questo.

Se pensate che si debba ancora discutere su quanto i Maneskin siano rock probabilmente siete complici di chi, ancora oggi, ripudia l’essere giovane, l’essere libero di esprimersi. Non voglio assolutamente fare la parte di quello che li idolatra, ma di certo ascoltando a Teatro d’Ira è facile rendersi conto di quanto esso sia un vero e proprio manifesto alla rabbia che molti giovani reprimono nel nome della dignità e del rispetto che spesso non gli viene dato. Rimane giusto sperare che non cada troppo nel mainstream così da non rovinare un messaggio forte e chiaro.

Maneskin
Marco Mancinelli
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