Memorial, Soen: recensione

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I Soen sono arrivati a Memorial, il sesto album in tredici anni, con una media produttiva ormai attestatasi su una nuova pubblicazione ogni due anni.

Tale media, insieme alla fama acquisita dalla band, parla da sé: il progetto è ormai divenuto qualcosa di estremamente concreto e valido, non più il passatempo di un supergruppo costituito da alcune delle figure più importanti del Metal scandinavo.

Inizialmente accostati alle sonorità dei Tool ai tempi del primo album Cognitive, seppur già dotati di una chiave sonora estremamente personale, intima, cupa eppure energica e brillante (merito assoluto della voce di Joel Ekelof), i Soen hanno saputo sviluppare un linguaggio musicale personalissimo e ormai assolutamente riconoscibile. Da Tellurian, allo straordinario Lykaia, fino alle pubblicazioni degli ultimi anni, la loro formula si è rivelata quanto mai caratteristica, speciale, sublime.

Con Memorial assistiamo invece a un discreto cambio di rotta che potrebbe invece lasciare un po’ troppo sorpresi.

Quello che spicca quasi subito, in particolare con Unbreakable, secondo brano dell’album nonché primo singolo di lancio, è una drastica riduzione della complessità del sound proposto dalla band in favore di una formula di più facile ascolto. E fin qui non ci sarebbe nemmeno nulla di male. Tuttavia quello che viene a mancare è la ricercatezza di fondo che avevano caratterizzato gli album precedenti, sostituendolo con una formula che, con un po’ di estremizzazione, potremmo definire Pop-Rock.

Certo, permane qualche pregevole virtuosismo di Martin Lopez alla batteria, alcuni riff di chitarra conservano quell’anima Progressive à la Soen, gli assoli mantengono una bella energia. Ma è piuttosto evidente che Memorial assomigli molto più a un album dei Linkin Park che a un Lykaia o a un Cognitive.

I ritornelli aperti, dritti e dai versi semplici e accattivanti hanno tolto di mezzo l’atmosfera nebulosa e tormentata che aveva sempre definito il sound della band.

Ecco quindi che si assiste a una serie di cliché del mondo musicale contemporaneo, traendo spunto da sonorità Pop, Rock e talvolta Blues, con vaghi richiami anche all’ultimo periodo dei Pink Floyd. Ecco che viene a mancare l’anima all’intero prodotto.

Sembra proprio il caso di dirlo: non giudicare un disco dalla copertina.

E sì, perché la minacciosa immagine di due individui, il volto coperto ciascuno da una maschera antigas unita a un medesimo cuore (unica nota di colore nell’intera cover), lasciava intendere ben altre atmosfere. Sembrava presagire mondi postapocalittici, scenari devastati, attimi di disillusione. Tutti aspetti espressi quasi unicamente, e in maniera un po’ semplicistica, dai versi cantati da Joel Ekelof.

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Unbreakable, Violence, Fortress e la ballad telefonata Hollowed costituiscono una sequenza estremamente stucchevole, molto debole a livello di ispirazione e caratterizzata da una certa ripetitività. Basta vedere la durata delle canzoni, sempre tra i quattro minuti scarsi e i quattro minuti e mezzo, per aspettarsi, senza grandi sorprese, una formula quasi identica di intro, strofe, ritornelli, special, assolo e chiusura.

Dai Soen ci si aspetta ben altro. Da un album con una copertina come quella di Memorial ci si aspetta ben altro. Con molta amarezza si deve constatare che, a dispetto di quanto annunciato nella presentazione del disco, questa non è affatto l’opera migliore della band.

Chiaramente è un album ben eseguito, non si tratta di un gruppo di sprovveduti, sia chiaro.

C’è materiale a sufficienza per viaggiare su livelli molto alti e competere con le band migliori di questo mondo. La forza espressiva di Joel Ekelof è quella a cui siamo ormai abituati, anzi forse è anche a un livello di consapevolezza e amalgama con la band ancora superiore rispetto al passato.

Martin Lopez è una garanzia alla batteria tale da fare invidia praticamente a chiunque: sempre sul pezzo, impeccabile, al servizio della band e ricco di colori e virtuosismi laddove è necessario. Il riffing della coppia costituita da Cody Ford e Lars Enok Ahlund svolge un lavoro pulito, preciso e gli assoli sono molto ben eseguiti e ispirati, così come il supporto ritmico di Oleksi Kobel al basso.

Tuttavia gli album dei Soen ci hanno fatto sognare ad occhi aperti, veri e propri portali verso altri mondi. Abbiamo toccato altre realtà dell’essere, alternative al mondo che ci circonda spingendoci verso lidi e picchi di natura primordiale, ostile e meravigliosa, critiche sottili alla società per come si presenta ai nostri occhi e ai nostri sensi. Abbiamo urlato con la forza degli adulti e la purezza dei bambini a un mondo che ha smesso di ascoltare.

Con Memorial raramente ci inoltriamo al di là di un semplice sussulto, di un semplice slogan, di un ritornello accattivante. Ed eccoci nel finale a danzare (???) sulle note di una ballad Pop, Vitals, abbastanza scontata, priva di brillantezza e di originalità. Alla fine di questi tre quarti d’ora di album ci rendiamo conto di aver appena intaccato quelle che sono le potenzialità dei Soen giusto in un paio di brani, come l’opener Sincere (molto ingannevole nel presentarci il classico sound della band, che poi sarà quasi completamente trascurato) e in alcuni spunti di Incendiary e Icon.

Giudicare una band come i Soen è complicato, perché ci si scontra tra quello che è il legame forte con un gruppo che si stima e si apprezza e quella che è un’opinione sincera e schietta. Un po’ come rivedere dopo anni un carissimo amico e trovarlo cambiato, diverso, con pensieri molto lontani da quelli che si condividevano in passato.

Sicuramente ci sarà una fetta di fan e di pubblico che apprezzeranno questa svolta più catchy del sound di Memorial. Non è da escludere che molti invece non la vedranno allo stesso modo, chiedendosi se quanto detto in questa pubblicazione da Lopez, Ekelof e compagnia costituisca solo la svolta di una fase o sia piuttosto un netto cambio di rotta e di stile. In questo ultimo caso è probabile che, come avviene con varie persone nel corso della vita, dopo essersi fatti compagnia per un bel tratto di strada, ci si saluti con stima e rispetto e si prenda ognuno il proprio percorso.

Daniele Carlo
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