Mestarin Kynsi degli Oranssi Pazuzu: recensione

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L’album metal del 2020, checchè se ne dica, è uno: Mestarin Kynsi degli Oranssi Pazuzu, uscito in aprile per Nuclear Blast. Nome di album e band assolutamente impronunciabili proveniente dalla lontana Finlandia, che sforna, da sempre e per sempre, un elevato numero di progetti interessanti ed innovativi.

È dunque il caso di Mestarin Kynsi del demone arancione – Pazuzu è un semidio babilinese/assiro, maligno. Ed è anche l’entità malefica protagonista della saga de L’Esorcista: una bestia nera, alata, pelosa.

Nel caso della band finlandese, arancione. Band che, come poche altre, ha saputo colmare il divario fra metal estremo e sci-fi rock: atmosfere rarefatte, da Dead Space/Prey/Half Life, “Nello spazio nessuno può sentirti urlare”, mentre la protomolecola si infiltra nei tuoi tessuti e gli xenomorfi si nutrono del tuo sangue. Ecco: l’asfissia mortale è descritta nel black metal atmosferico, in un ascolto che si fa dunque multistratificato ed estremamente complesso. Non c’è nulla di semplice ed easy listening nei brani degli Oranssi Pazuzu: ogni elemento è imprevedibile e vive di vita propria, che necessita di perpetuarsi all’infinito, dalla batteria ai synth alla linea melodica, ai riff che sfociano nel noise. Un sound, dunque, ricchissimo, che, prima di tutto, cerca di apparire come suono da sottofondo: tale controsenso è il marchio ben riconoscibile degli Oranssi Pazuzu, che cercano di fare musica inaudibile, evocatrice del cinema muto e dello spazio vuoto interstellare.

La martellante claustrofobia e la condensa del casco di una tuta spaziale sono ben espresse nella prima parte dell’album, la opening Ilmestys che, dopo un ripetitivo riff cui sottendono synth spaziali, propone un inquietante mormorio scream di Juno Vanhanen, e sembra di essere sulla superficie di LV426, sferzata dal vento di detriti. Tyhjyyden sakramentti (non oso neanche usare google translate, è natale: evitiamo blasfemie) è, invece, una ipnotica suite che mescola chitarre acide e nervose con abissi umidi e tenebrosi, popolati da forme di vita oscure dotate di carapace (i synth disegnano strani cerchi concentrici alchemici)  – ed evolve in un inaspettato tocco epico nel finale.

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Il sentore di cinema muto d’avanguardia e fantascienza in Mestarin Kynsi è al suo apice in Uusi Teknokratia, che ha, appunto, un videoclip potentemente ispirato alla tecnica cinematografica di Fritz Lang – il maestro de il Dr Mabuse del 1922. Figure distorte, disegnate sia coi suoni industrial e incalzanti che dagli attori incerati di bianco del videoclip, si affollano in un’apparente descrizione di un regno decadente fatto d’illusione, un formicaio gigantesco d’umanità – il micelio di un fungo infestante. È Metropolis, però, il capolavoro di Fritz Lang, che viene preso ad esempio in Uusi Teknokratia: gigantesche metropoli asfissianti, il sogno malato d’un omino invidioso; l’esatto negativo del prog degli anni ’70, guitar driven, ma che qui, la chitarra, tanto santa di Robert Fripp, viene distorta, distrutta, è caotica, non fonte d’ordine e melodia – e tale ruolo è lasciato a basso e tastiera, cui viene coscienziosamente e intelligentemente lasciato lo spazio creativo, quali fossero appunto i gregari di Metropolis che cercano la libertà. Dunque, sebbene Mestarin Kynsi sia un album che, come tutta la musica degli Oranssi Pazuzu, è scritto, pensato, dipinto, per essere pura atmosfera, esso narra in realtà una storia oscura, che possiamo immaginare e dipingere noi stessi – come le tele di libri indecifrabili di Maria Lai. L’apice dell’album è, però, la strumentale e centrale Oikeamielisten Sali che, a carboncino, come illustrazioni di Dorè, crea un mondo gelido e sporco, fatto di polvere; ma anche selvaggio e bellissimo. Intrusioni di una cornamusa, ed echi orchestrali, dopo una intro placida e descrittiva, assumono il ruolo di strofa centrale di un componimento epico, ma distorto, volutamente sgraziato e disturbante. Kuulen ääniä maan alta, d’altro canto, si rituffa in atmosfere più industrial, ricche di synth curatissimi e techno-inspired, e più vicine alla forma canzone e, forse, per questo, leggermente al di fuori del silenzioso immaginario pennellato nei brani precedenti. L’ending Taivaan portti si lascia ispirare da interferenze radio a creare un ordinato caos, claustrofobico, di chitarre e voce distorte; un insieme, dunque, di immagini terrificanti – esplosioni nucleari, disastri naturali, genocidi, guerre. Oppressivo, abbacinante, indimenticabile; narrativo, lugubre, ruvido: Mestarin Kynsi è il F#A# (GYBE) dell’extreme metal.  

A quanto pare, l’aver firmato con la Nuclear Blast, la major delle major nel metal, non ha intaccato la vena creativa degli Oranssi Pazuzu, che non si sono montati la testa né hanno tentato di semplificare il proprio sound.

Mestarin Kynsi è dunque l’espressione palese di quanto la musica possa ancora dare, di quanto si possa sperimentare, di quanto si possa giocare con le note, imparando lezioni dal passato, e di quanto, infine, le note possano anche essere superate come entità sonore. Uno dei migliori lavori di quest’anno infausto.

Giulia Della Pelle
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