“Il Divin Codino non è solo la storia del calciatore ma quella di un uomo tanto grande quanto riservato”, si apre così la conferenza stampa di lancio del film “Il Divin Codino”, disponibile dal 26 maggio su Netflix, con le parole di Letizia Lamartire, regista della biopic.
Una scelta essenziale è stata dunque fatta dalla sceneggiatrice e appoggiata dalla regista e dall’intero cast: quella di privilegiare l’aspetto di Roberto Baggio uomo, anziché quello del calciatore.
Letizia Lamartire spiega tale scelta con un ragionamento che fila liscio, senza lasciare crepe e possibilità di fraintendimenti: “la parte del Roby calciatore è stata tutta frutto di ricollocamento di immagini di repertorio, ma abbiamo preferito privilegiare la parte di Roberto uomo, perché la più emozionale da riproporre, in fondo non volevamo fare Wikipedia”.
Avendo solo 90 minuti a disposizione, essendo questa una pellicola e non una serie TV (come nel caso della recente trasposizione della carriera di Totti), bisognava fare delle scelte a livello di passaggi chiave da proporre al pubblico.
“Quando scrivi una sceneggiatura racconti la tua visione. Quando scegli di raccontare il calcio, scegli di riproporre sullo schermo qualcosa che il pubblico già sa, grazie a YouTube e a tutti i video di repertorio, quello che proviamo a fare con questo film è raccontare qualcosa di più inedito. C’è stata la scelta di sviscerare le cose dal punto di vista intimo, emozionale e profondo nella vita del Grande Campione”.
Come è avvenuta allora la selezione delle fasi iconiche da rappresentare? La sequenza di eventi persegue come tema quello di un uomo il quale ha provato ad inseguire un destino, senza raggiungerlo, ma diventando il calciatore più grande di sempre, e lo fa attraversi l’uso di tre momenti come sineddoche di una esistenza.
La sfida era trovare la chiave per raccontare qualcuno che è sfuggente, Baggio non è un brand di nessuno, non è la bandiera di nessuna squadra, ma di tutto il Paese. È la storia di un uomo che paga un prezzo altissimo per essere il campione che è, qualcosa di così struggente che ha commosso davvero tutti.
Al di la degli aspetti tecnici e di preparazione del film, a metà della conferenza stampa fa il suo ingresso anche il vero protagonista, Roberto Baggio accompagnato da Vittorio Petrone, il suo storico manager, che ha rincorso le domande di noi giornalisti insieme ad Andrea Arcangeli, che nel film lo rappresenta.
Alla domanda rivolta all’attore su quale è stata la sua reazione rispetto alla proposta di interpretare la figura dell’immenso campione, Baggio, Arcangeli ammette di aver di primo acchito pensato di dire no, ma la vicinanza di Roberto è stata fondamentale perché gli ha scaricato la responsabilità di essere lui, dando lui come unico consiglio quello di vivere al meglio questa esperienza, senza avere la pretesa di essere per forza come lui.
“Fare un “fan-service” avrebbe penalizzato me nella possibilità che ho avuto di ottenere un’esperienza così unica, cioè quella di rappresentare un campione così immenso. La chiave me l’ha data propria Baggio con l’esempio della vita. Il suo essere così geloso del suo privato, del suo nucleo, così forte emotivamente, ha avuto sempre una casa a cui tornare. Lui mi ha stimolato a trovare il mio nucleo interno, provando a non badare a ciò che succederà fuori. – sostiene Arcangeli – “L’importante alla fine è fare tutto quello che potevi fare”, è una frase che Roberto ha scritto nel suo libro. Il mio obiettivo primario era quello di fare una grande interpretazione per accontentare tutti, poi ho letto quella frase e ho spostato il focus facendo tutto quello che potevo fare, e sono tranquillo.
La domanda clou per Roberto Baggio è sul rigore sbagliato durante Italia-Brasile, finale del Mondiale del ’94: “dopo tutti questi anni come l’hai archiviato questo momento storico di una carriera storica così perfetta?”
“È una cosa che non si può archiviare. Io l’ho vissuta malissimo perché è qualcosa che ho rincorso da sempre (da quando avevo 3 anni). Arrivare lì dopo aver sognato di realizzare ciò in tutti i modi, è stato davvero devastante. Al di la di tutti gli errori che si fanno nella vita, questo non si dimentica.”
La carriera di Baggio non è segnata dall’essere il paladino di una squadra, ma quello di essere il simbolo di un’intera nazione. In questa ottica si giustifica anche l’assenza della parentesi nella Juventus.
La regista spiega questa decisione in maniera perentoria: “noi abbiamo raccontato l’amore di Roby per la maglia azzurra non per le singole squadre. Lui racconta che non ha mai tirato un rigore alto, neppure in allenamento, poi il suo sogno da bambino era di giocare una finale di mondiale, si è trovato in finale con il Brasile e ha tirato quel maledetto rigore alto, come facevamo a non raccontare ciò? Il rigore del 94 è stato anche il più complesso da girare, perché sentivamo la responsabilità di restituire anche la nostra emozione.”
Sciolta la timidezza iniziale Roberto Baggio spiega come è nata l’idea del Divin Codino e racconta i suoi passi sul set durante le riprese
“Durante il mondiale in America c’era una cameriera con le treccine di colore in albergo, le feci i complimenti e lei mi propose di farle anche a me. Dopo due ore avevo la testa piena di treccine e l’unico modo per non farmele sbattere in faccia in campo era legarle con un elastico. Insomma frutto di un gioco, che mi è piaciuto nel tempo e mi ha accompagnato per sempre.”
Il Campione è stato sul set diverse volte e racconta di alcuni momenti davvero emozionanti,in particolare durante la lettura corale del copione e alla vista di Andrea (Arcangeli) che prendeva appunti, così come quando ha portato il pallone d’oro sul set, eventi davvero commoventi perché gli hanno ricordato i momenti vissuto con accanto sua moglie nella realtà.
“Ad oggi darei qualsiasi cosa per tornare a giocare ma ho le ginocchia che non mi reggono. – ammette il super campione Baggio – Odio quando si fanno paragoni tra me e i ragazzi più giovani perché li facevano anche ai miei tempi, ci sono ottimi giocatori e ognuno ha le sue caratteristiche e bisogna dargli soltanto fiducia, senza fare confronti sterili.”
Baggio e il rapporto speciale con suo padre
Un altro punto affrontato nel film è il rapporto tra Roberto Baggio e suo padre Florindo, magistralmente rappresentato da Andrea Pennacchi, il quale è un protagonista chiave che spinge il campione a restare con i piedi saldi: “Sì il padre lo spinge molto, in modo rude ma assai protettivo del figlio, a non occuparsi della fama ma del nucleo centrale della sua vita”, sentenzia Pennacchi.
A ciò si aggancia Baggio parlando del suo rapporto col padre: “Ad un certo punto lo vedevo come un nemico per la sua rigidità ma è stato lui a spingermi a non mollare mai. L’insegnamento che vorrei trasmettere ai più giovani è quello di provare a sciogliere i tanti nodi che si vanno a creare con i genitori in nome dell’amore, perché poi quando non ci sono più ci si pente.”
Baggio a questo punto si commuove, il padre infatti era ancora vivo durante le riprese, poi è venuto a mancare.
Lo scopo del film, nonché il messaggio così chiaro, è che senza sacrifici non si ottengono vittorie. Anche sul dischetto, dopo un rigore sbagliato, non bisogna mollare mai.
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