Sepulveda, storia dell’uomo che ci ha aiutato a sognare

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Sepúlveda se ne è andato, stroncato da quel Coronavirus che tanto fa parlare di sé. Voleva visibilità, il dannato parassita, voleva creare un trauma, che si aggiunge a una lunga scia di lutti. Voleva impressionarci, impaurirci, forse abbatterci. Ebbene, ha scelto l’uomo sbagliato. Il trauma non è certo quello che ci resterà di questo artista straordinario.

Un grande della letteratura

Non è facile capire quando uno scrittore entra ufficialmente nel canone letterario. Quando il suo nome inizia a circolare nel novero dei classici. L’accoglienza del pubblico è un segnale importante, ma non basta a rendere un autore una leggenda. Un libro può avere grande fortuna, ma, come dimostrano tante pubblicazioni di dubbio valore artistico, un’attenta strategia commerciale può fare apparire perle dei comunissimi pezzi di vetro. E non bastano neppure i convegni, gli studi accademici, che illudono i ricercatori di essere dei pionieri, quando si occupano dello scrittore poco noto, o dei luminari, quando si accostano al grande nome della letteratura. No, no, no! Tutto questo aiuta, ma non ti fa diventare una stella del firmamento, non ti fa ricordare nel corso dei secoli. Ciò che importa è quello che resta di uno scrittore, le sue opere, tutte o una sola. E Sepúlveda, siatene certi, ci ha lasciato un patrimonio di sensazioni, pensieri, storie che non sarà spazzato via dal primo vento. Ci ha lasciato opere indimenticabili, a partire da Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, uscito in spagnolo nel 1989, che ne fanno uno degli scrittori più importanti degli ultimi trent’anni.

Luis Sepulveda

Sempre in prima linea

Ripercorrere i settant’anni di vita di Sepúlveda non è facile. Cileno di nascita e di sentimento, lo scrittore ebbe antenati spagnoli, peregrinò per vari paesi dell’America Latina (Brasile, Paraguay, Bolivia, Ecuador), soprattutto per motivi politici, e si trasferì in Europa, prima in Germania, poi in Francia, per approdare infine in Spagna, nelle Asturie, sua ultima dimora. Un autentico cittadino del mondo, insomma. E che a questo mondo, l’unico possibile, ci tenesse più di ogni altra cosa lo dimostra il suo inarrestabile impegno civile, che lo portò a credere fermamente  nel progetto di rinnovamento democratico di Salvador Allende, pagando con l’esilio la sua opposizione al successivo regime dittatoriale di Augusto Pinochet. Fu uomo di sinistra, comunista, poi socialista, ma non permise mai a un’ideologia di manipolare il suo spazio di autonomia. Le sue battaglie nascevano da dei principi, da dei valori, che più che di natura politica, risentivano di una certa impronta culturale, della sua storia personale.

“Sono anche io mapuche. Sono anche io Gente della Terra”

Sepúlveda si impegnò in prima persona per la difesa dell’ambiente, partecipando attivamente alle campagne di Greenpeace, e raccontò le emergenze e i disastri del nostro tempo come lui solo sapeva fare. Questa sensibilità gli era propria, certo, ma forse anche le origini mapuche, che gli ispireranno uno degli ultimi capolavori, Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà, ebbero un loro peso sia sul rispetto dell’ambiente, sia sulla vocazione di scrittore. Queste le parole in apertura del libro:

“[…] nel lontano Sud del Cile, in una regione chiamata Auracanía o Wallmapu, ho avuto un prozio,  Ignacio Kallfukurá, mapuche […], che al tramonto raccontava ai bambini mapuche storie nella sua lingua, il mapudungun. […] Erano storie che parlavano di volpi, puma, condor, pappagalli, ma le mie preferite erano quelle che raccontavano le avventure di wigña, il gatto selvatico. […] Ho sempre desiderato raccontare una storia ai bambini mapuche, al tramonto, sulla riva del fiume, mangiando i frutti dell’araucaria e bevendo il succo delle mele appena raccolte negli orti. Ora che mi avvicino all’età del mio prozio, Ignacio Kallfukurá, vi racconto la storia di un cane cresciuto insieme ai mapuche”.

La Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà

Uscito nel 2015, il libro racconta la storia di un trovatello, Aufman, che in lingua mapuche significa “leale e fedele”. La storia è narrata in prima persona, dall’interno, con grande coinvolgimento emotivo del lettore. La sua è la testimonianza di una vittima, che paga sulla propria pelle le logiche di un capitalismo che passa per la deforestazione e il consumo di suolo.

Le vicende si articolano tra passato e presente, laddove il primo è il tempo della nostalgia di una felicità perduta, il secondo una triste epoca fatta di dolore e di schiavitù. La sorte di Aufman, del resto, è strettamente collegata a quella del popolo mapuche, che ha visto calpestare la propria dignità, deturpare la propria terra e violare diritti che nascono con l’uomo. 

Sepulveda

La storia di Aufman potrebbe essere una di quelle che il prozio di Sepúlveda raccontava ai bambini. Il cucciolo viene smarrito da un gruppo di uomini durante la traversata di uno dei tanti valichi innevati delle Ande. Qui sfugge alla morte solo grazie all’intervento di nawel, il giaguaro, che, dopo averlo rimesso in sesto, lo conduce a valle, dove sorge un piccolo villaggio mapuche. L’arrivo del cucciolo è accolto come un dono provvidenziale e tale si rivelerà nel corso della narrazione, quando a poco a poco la funzione di Aufman assumerà tratti sempre più chiari, in linea con il nome che gli è stato dato. Il cane, il miglior amico dell’uomo, divenuto giustamente simbolo di fedeltà, non dimenticherà la propria origine, non rinnegherà il proprio popolo. Sacrificherà la vita per salvare quella di Aukumañ, un compagno di giochi, un fratello, un cucciolo d’uomo.

Uno scontro di civiltà 

Lo scontro di civiltà, nel racconto, si fa doloroso e violento, edulcorato, semmai, da quel linguaggio fiabesco che ogni affezionato lettore ritrova nelle opere di Luis Sepúlveda. I wingka, conquistatori armati di fucile, sempre in contrasto fra loro, spazzeranno via il villaggio mapuche, disperdendone gli abitanti e separando il cane dall’uomo. Inizierà per Aufman un lungo periodo di tribolazioni al servizio dei suoi aguzzini e, quel che è peggio, alla ricerca del suo amato fratello, Aukumañ, sopravvissuto alla distruzione del villaggio e, per questo, meritevole di morire.

In questo atroce compito, che non porterà a termine, perché essere fedeli significa sopportare fame, frustate e umiliazioni pur di salvare la vita di chi ci ha realmente amato, Aufman diventerà esempio del sapere mapuche. Gli uomini armati temono il bosco, perché avvezzi alla violenza e un groviglio di alberi può sempre serbare un agguato. Aufman no. Per i mapuche la natura è una madre generosa in ogni sua forma. Uccidere un essere vivente per soddisfare la propria fame è più che naturale, ma comporta un atto di riverenza nei suoi confronti, perché anch’egli è parte del creato. Questo, però, gli uomini venuti dal Nord non riescono proprio a capirlo: «Quando tagliano il pane lo fanno senza rispetto, senza ringraziare il Ngünemapu [spirito della Terra] per questo cibo, e quando le loro bestie di metallo abbattono il vecchio bosco di sempre non sentono il dolore di lemu, né gli chiedono perdono per quello che fanno».

C’è tanto da imparare

Nelle storie più tenere, tradotte magistralmente in italiano da Ilide Carmignani, Sepúlveda ha sempre riservato un ruolo di primo piano ai suoi amici animali. Sono loro i veri protagonisti di questi racconti, ingiustamente etichettati “per bambini”. Da una parte c’è l’esaltazione degli animali che, nella loro apparente semplicità, si comportano da uomini, provano dolore come gli uomini; dall’altra c’è la critica, la protesta, la presa di posizione netta verso tutto ciò inquina il mondo e che, purtroppo, il più delle volte porta la mano dell’uomo. È all’uomo, infatti, che sono da imputare certi disastri che logorano il pianeta: la densa chiazza di petrolio a largo di Amburgo nella Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare; la strada asfaltata su cui trovano la morte le piccole protagoniste di Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza; la cementificazione che ingrossa le città, cancellando anche l’ultimo angolo di verde, come ci mostra la Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico.

Possiamo sempre cambiare

Leggere Sepúlveda aiuta a diventare persone migliori, e non è tanto per dire. Difficilmente vi alzerete dalle vostre sedie, una volta chiuso un suo libro, senza sentire le lacrime che premono per uscire o un tramestio che vi scombussola da dentro. Ma se un gatto può insegnare a volare, se un topo può diventare il miglior amico del suo nemico, anche noi possiamo fare qualcosa di importante. Cosa? Alzarci da quella sedia sapendo che possiamo fare la differenza. Come? Badando alle piccole cose, dando più valore a quel particolare che, sempre indaffarati, trascuriamo. Marichiweu peñi, “dieci volte vinceremo, fratello”. Ce l’hai insegnato tu, Sepúlveda, perché “è così che si saluta la Gente della Terra, senza mai dire addio”. E dopo tutto quello che ci hai dato, è proprio impossibile dirti addio.

Massimo Vitulano
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